Non è una professione di fede, sia subito chiaro. Non vuole
neppure essere un segno di fiducia totale in un numero naturale in quanto
numero di un insieme matematico, e neanche la condivisione, ma questo pensiero
un po’ mi intriga, dell’idea pitagorica (per i pitagorici, il due definirebbe il genere femminile mentre il tre corrisponderebbe al maschile).
Il due mi piace per una serie di riflessioni. Prima di tutto
non è la solitudine. Il due è la presenza, accanto, vicino, nelle azioni, col
pensiero, emotivamente o fisicamente, è condivisione e confronto paritetico, è empatia. Il
due è coppia, e ogni membro della coppia perde la sua qualità se manca l’altro
membro (due amici, due amanti, due che costituiscono il nucleo della famiglia,
due che parlano, due che ballano…).
Il due, poi, è estensione del singolo, dell’uno, riempie
vuoti, completa in modo naturale, e sicuramente non pensa alle leggi, alla
burocrazia o alle convenzioni.
Nel due nessuno ha ragione da solo, la ragione è un
compromesso, oppure è una conferma reciproca, e quando capita è molto più
divertente e gratificante, forse, perché pure discutere non è male, e permette
modifiche, miglioramenti, adattamenti.
Il due è divisibile, separabile nelle sue parti, non è
un’entità inalterabile, subisce gli insulti del tempo e delle vicende umane,
oltre che naturali. Il due insomma è mutamento, o possibilità di mutamento.
Il due si contraddice, è ambiguo, come i pesci che vanno in
direzioni opposte, a volte si presta al doppiogioco, al tradimento, alla
schizofrenia, all’ambivalenza. Questo comporta indecisioni, ma anche prese di
posizione forti, a volte però non durevoli.
A me piace pensare che il due è bellissimo perché nessuno
dei due può coalizzarsi contro l’altro. Se avviene uno scontro, nessuno resta
solo da solo, ma la conseguenza della separazione tocca entrambi. Il due, cioè
mette alla pari.
Che il due sia femminile, dicevo prima, mi intriga. E che il
tre sia maschile diventa subito evidente, dopo quanto detto per il due. Il tre
prevede che due possano prevalere sul terzo, che uno dei tre sia
minoranza, e penso ad un tre divino,
ancora una volta maschile, perché le religioni sono quasi tutte maschili, e
l’essere femminile si pone quasi sempre in condizione di inferiorità. Già il
pensare al tre come maschile ed al due come femminile è indicativo, in questo
senso.
Io però non mi interesso di fede, non ne so nulla. Io gioco
coi numeri, e questi mi permettono di seguire idee, di rappresentare la realtà
come se fosse misurabile, sondabile, conoscibile. So che non è vero, oggi, ma
vedo che qualche tassello nuovo di conoscenza si aggiunge, ogni giorno, al
castello instabile di quanto conosciamo. E poi, dopo il due, il tre, il
quattro, il cinque, il sei e il sette vengono tanti altri numeri. Perché
limitare la fantasia?
Silvano C.©
( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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