martedì 21 luglio 2015

Credo nel due



Non è una professione di fede, sia subito chiaro. Non vuole neppure essere un segno di fiducia totale in un numero naturale in quanto numero di un insieme matematico, e neanche la condivisione, ma questo pensiero un po’ mi intriga, dell’idea pitagorica (per i pitagorici, il due definirebbe il genere femminile mentre il tre corrisponderebbe al maschile).

Il due mi piace per una serie di riflessioni. Prima di tutto non è la solitudine. Il due è la presenza, accanto, vicino, nelle azioni, col pensiero, emotivamente o fisicamente, è condivisione e confronto paritetico, è empatia. Il due è coppia, e ogni membro della coppia perde la sua qualità se manca l’altro membro (due amici, due amanti, due che costituiscono il nucleo della famiglia, due che parlano, due che ballano…).

Il due, poi, è estensione del singolo, dell’uno, riempie vuoti, completa in modo naturale, e sicuramente non pensa alle leggi, alla burocrazia o alle convenzioni.

Nel due nessuno ha ragione da solo, la ragione è un compromesso, oppure è una conferma reciproca, e quando capita è molto più divertente e gratificante, forse, perché pure discutere non è male, e permette modifiche, miglioramenti, adattamenti.

Il due è divisibile, separabile nelle sue parti, non è un’entità inalterabile, subisce gli insulti del tempo e delle vicende umane, oltre che naturali. Il due insomma è mutamento, o possibilità di mutamento.

Il due si contraddice, è ambiguo, come i pesci che vanno in direzioni opposte, a volte si presta al doppiogioco, al tradimento, alla schizofrenia, all’ambivalenza. Questo comporta indecisioni, ma anche prese di posizione forti, a volte però non durevoli.

A me piace pensare che il due è bellissimo perché nessuno dei due può coalizzarsi contro l’altro. Se avviene uno scontro, nessuno resta solo da solo, ma la conseguenza della separazione tocca entrambi. Il due, cioè mette alla pari.

Che il due sia femminile, dicevo prima, mi intriga. E che il tre sia maschile diventa subito evidente, dopo quanto detto per il due. Il tre prevede che due possano prevalere sul terzo, che uno dei tre sia minoranza,  e penso ad un tre divino, ancora una volta maschile, perché le religioni sono quasi tutte maschili, e l’essere femminile si pone quasi sempre in condizione di inferiorità. Già il pensare al tre come maschile ed al due come femminile è indicativo, in questo senso.

Io però non mi interesso di fede, non ne so nulla. Io gioco coi numeri, e questi mi permettono di seguire idee, di rappresentare la realtà come se fosse misurabile, sondabile, conoscibile. So che non è vero, oggi, ma vedo che qualche tassello nuovo di conoscenza si aggiunge, ogni giorno, al castello instabile di quanto conosciamo. E poi, dopo il due, il tre, il quattro, il cinque, il sei e il sette vengono tanti altri numeri. Perché limitare la fantasia?

                                                                                                         Silvano C.©   


( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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