Ho pensato di scrivere per dire della mia paura, poi
non ne sono più stata capace. Volevo mandare auguri di Natale ma negli ultimi
giorni non riuscivo più a scrivere senza errori. Avevo un appuntamento e la
data era scritta giusta, poi ho sbagliato a leggerla, come hai capito dopo, e
siamo andati prima del tempo. Non inutilmente, perché così abbiamo fatto gli ultimi
piccoli acquisti pensando ai domani ed alle feste ed alle persone e al nostro
piacere di regalare.
Da tempo temevo di cadere muovendomi anche solo per
casa e mi aiutavo con le stampelle che tu comprasti anni prima per un tuo
intervento al ginocchio. Per poche volte, tre in tutto, avevamo usato quella
carrozzina che nessuno voleva prestarci e che tu hai voluto costringermi a provare
e poi a comprare per usarla, pensavi, per mesi e mesi, e che poi mi è servita solo
per poche ore, belle però, perché mi sono distratta.
Il medico ha storto la testa quando ha saputo, dopo,
che l’avevi voluta comprare. Per lui è stata una cosa inutile. Non per te. Neppure
per me, credimi. Per lui era tutto chiaro. Io mi stavo spegnendo e noi non lo
stavamo capendo. Io poi la carrozzina non la volevo in casa tra i piedi, non
mi piaceva vederla. E stava in cantina. L’hai recuperata solo quando è servita e poi
caricata in auto per quelle ore fuori casa.
Dopo hai pensato di rivenderla, poi di regalarla. Ed ora non puoi fare a meno di tenerla.
Sembra che tu creda che io possa tornare. Sembra che io stessa creda ancora che quel giorno tu mi abbia aiutata a mettermi a letto in attesa di star meglio, come se aspettassimo che mi passasse una grossa febbre o il solito dolore alla schiena.
Dopo hai pensato di rivenderla, poi di regalarla. Ed ora non puoi fare a meno di tenerla.
Sembra che tu creda che io possa tornare. Sembra che io stessa creda ancora che quel giorno tu mi abbia aiutata a mettermi a letto in attesa di star meglio, come se aspettassimo che mi passasse una grossa febbre o il solito dolore alla schiena.
E non ci siamo mai salutati come avremmo dovuto, non
lo abbiamo fatto.
Eppure ci salutavamo per molto meno quando partivi tu o quando partivo io, e dopo averlo fatto recuperavamo un po’ della nostra antica indipendenza.
Lo star soli dopo i saluti era un momento di pace e di recupero di antiche abitudini, di tempi scanditi solo da noi, non dalle necessità reciproche. Ci bastava una telefonata, se serviva. Un messaggio. Arrivato. Tutto bene. Torno domani. Vieni verso le cinque. Ciao. Sono in quel ristorante. Sono arrivata a casa.
Eppure ci salutavamo per molto meno quando partivi tu o quando partivo io, e dopo averlo fatto recuperavamo un po’ della nostra antica indipendenza.
Lo star soli dopo i saluti era un momento di pace e di recupero di antiche abitudini, di tempi scanditi solo da noi, non dalle necessità reciproche. Ci bastava una telefonata, se serviva. Un messaggio. Arrivato. Tutto bene. Torno domani. Vieni verso le cinque. Ciao. Sono in quel ristorante. Sono arrivata a casa.
Non ci siamo salutati perché lo avremmo fatto dopo.
Nessuno stava partendo, io solo stavo morendo, poco a
poco, ma sempre più velocemente. Capivo ma avevo sonno. I farmaci ogni giorno più
forti mi alleviavano il dolore e mi toglievano la paura. Mi sembrava di essere
un’altra, mi sognavo diversa. Ma sognavo e non facevo che sognare, spesso il
nulla.
Non ci siamo detti molte parole, ma erano inutili,
ora ne sono certa. Sarebbero state di dolore insopportabile e invece,
tacendole, abbiamo avuto bei momenti ancora, prima degli ultimi. Abbiamo mangiato
le cose che mi piacevano, sino a quando ho potuto. Ho persino festeggiato il
mio compleanno se ricordi, e un po’ ho sorriso. Fingevamo perché dovevamo. Avevamo
davanti un tempo senza fine, e così vivevamo.
Un anno fa non ho potuto far colazione, volevo
tornare a letto ma mi hai detto di restare sul divano, era mattino. Mi sarei
ripresa, ma non era vero. Erano le mie ultime ore e non ti ho detto nulla di
importante, di essenziale, da ricordare.
Ora è il tempo di raccontarti quello che sai già. Lo hai
capito ed ancora non ci credi. Io sono partita trecentossantaquattro giorni fa
e tu aspetti ancora che io ritorni e dica: Ciao, sono qui, non c’è nessuno? Sono
il lupo. Silvano?
Silvano C.©
(La
riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte,
grazie)
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