Mi creda. La sua è una situazione molto comune e tutti l’abbiamo attraversata almeno in qualche momento della vita. In questi giorni di festa si riacutizza o può comparire come recidiva anche quando sembrava superata.
Di cosa si tratta dice?
Se non se ne è reso conto è la somatizzazione di un
senso di inadeguatezza alla vita misto al vuoto che si ritiene di dover colmare,
all’attesa di eventi risolutivi unita al timore che questi non arrivino mai ed
all’errata convinzione che gli altri siano felici mentre noi non lo siamo.
Le è chiaro?
Esatto, l’errata convinzione che gli altri siano
felici mentre noi non lo siamo è la sintesi della sindrome.
Come mai quel nome mi chiede?
Eppure lei per primo dovrebbe saperlo e potrebbe addirittura
darmi una lezione ricca di esempi su questo tema.
Lei recentemente ha camminato da solo in una strada
semideserta, la sera, con la notte ancora all’inizio… No, non mi interrompa,
cerchi di capire il senso…Stava camminando dicevo, ed è passato sotto una
finestra con le luci accese. Dalla strada in basso non poteva vedere bene all’interno
ma ha intuito che nella stanza vi fossero diverse persone, ha pensato ad una
festa, ha visto poi qualche addobbo per le festività ed ha immaginato parenti
ed amici riuniti attorno ad un tavolo, a ridere e scherzare. Ha visto la
felicità, o l’ha più semplicemente immaginata. Ha pensato che loro avevano
quello che le mancava scordando che tutti noi esseri umani siamo portatori di
dolore e nessuno ne è immune. Ed ha scordato la cosa più importante, credo,
cioè che se rivuole la sua felicità deve rischiare per averla.
La SdFI è una costruzione artificiale che deve
combattere, la lasci andare via e trattenga invece le persone. Anche quelle che
pensa di aver perduto.
Silvano C.©
(La
riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte,
grazie)
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