Vedi, oggi è il 10 del mese. Inizio il mio
conto alla rovescia, saprei ricordare molte cose su quel 10 dicembre, su quello
che abbiamo vissuto prima, su quello che è accaduto poi, sul mio primo Natale
senza di te, su quanto ci siamo detti, su quello che non hai voluto dirmi per
non farmi soffrire ed io non volevo capire, su quello che ho fatto dopo e avrei
avuto bisogno di un tuo parere.
Avrei molto da dirti. Ti racconterei della Miss
Italia che nostro figlio ha conosciuto, parleremmo dei fatti di cronaca, ci
confronteremmo su alcune nostre scelte politiche, ti chiederei come ti sembra
la tua lapide, se abbiamo fatto una scelta adatta, se alla fine ti sarebbe
piaciuta. Che discorsi assurdi, inutili.
Io pensavo ieri che una lapide è un monumento,
un piccolo monumento, nel nostro caso privato, nascosto, visitato da poche
persone, e provvisorio. È un monumento che dovrebbe ricordare ma che porta in sé
una scadenza, come ogni cosa umana. Ed è esattamente quello che non mi piace. Lo
devo accettare, non ho mezzi né possibilità di mutare la cosa, ma non mi piace.
Tu mi diresti che non ha alcuna importanza,
eppure mi conosci, e sai che per me ne ha. Da miscredente ho mille dubbi,
esattamente perché se accetto l’ateismo devo accettare che tu non esisti più, e
questo non è vero. La mia verità personale, non certo quella con V maiuscola,
mi porta a pensarla diversamente. Tu mi circondi ovunque vada, chiunque
incontri, qualunque cosa dica o faccia. Mi precedi e mi aspetti. Mi segui. Mi spii.
Mi dici cose quando non me lo aspetto. Poi sparisci per un po’, mi fai
distrarre con la cronaca, con chi incontro, con le parole al telefono, con un
libro, mentre cucino. E poi, quando faccio la spesa, non riesco a smettere di
guardare quello che comprerei per te, solo per te. Quello che compravo e non
compro più. Come le bustine di tè. A proposito, di queste ne ho ancora 8, nella
loro scatola di cartone da 25, che scadono il 6 giugno 2019. Le altre 17
(numero maledetto), quelle che mancano, le hai consumate tu. E queste che
restano le conservo. A me non piace il tè, non lo bevo mai.
Ho poco da dire, ho detto tutto. Potrei dire di
molte altre cose, potrei scrivere di un personaggio ferrarese, di un palazzo
roveretano, fare ricerche su una certa battaglia o su un problema etico. Una volta
questo lo facevo, e con risultati apprezzabili. Non mi interessa, non riesco a
farmelo entrare in testa che dovrei farlo. Tu mi distrai, sono io che voglio
che tu mi distragga. A me sta bene così. Non sono passati neppure nove mesi, e
tu hai sicuramente sofferto, verso la fine, per circa diciotto mesi. Forse devo
farne passare pure io altri nove, non so. Matematicamente non ha senso, e
neppure logicamente. Potrebbe essere simbolico, questo sì. In fondo vivo anche
di simboli, di significati che diventano sostanza reale quando impostano un
modo di vivere. Ogni cosa credo che troverà una risposta. Oppure scorderò la
domanda. Ecco. Quando dicevo vedi intendevo questo. E vorrei sentire ancora la tua voce.
Silvano C.©
(La
riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte,
grazie)
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