domenica 10 settembre 2017

vedi



Vedi, oggi è il 10 del mese. Inizio il mio conto alla rovescia, saprei ricordare molte cose su quel 10 dicembre, su quello che abbiamo vissuto prima, su quello che è accaduto poi, sul mio primo Natale senza di te, su quanto ci siamo detti, su quello che non hai voluto dirmi per non farmi soffrire ed io non volevo capire, su quello che ho fatto dopo e avrei avuto bisogno di un tuo parere.
Avrei molto da dirti. Ti racconterei della Miss Italia che nostro figlio ha conosciuto, parleremmo dei fatti di cronaca, ci confronteremmo su alcune nostre scelte politiche, ti chiederei come ti sembra la tua lapide, se abbiamo fatto una scelta adatta, se alla fine ti sarebbe piaciuta. Che discorsi assurdi, inutili.
Io pensavo ieri che una lapide è un monumento, un piccolo monumento, nel nostro caso privato, nascosto, visitato da poche persone, e provvisorio. È un monumento che dovrebbe ricordare ma che porta in sé una scadenza, come ogni cosa umana. Ed è esattamente quello che non mi piace. Lo devo accettare, non ho mezzi né possibilità di mutare la cosa, ma non mi piace.
Tu mi diresti che non ha alcuna importanza, eppure mi conosci, e sai che per me ne ha. Da miscredente ho mille dubbi, esattamente perché se accetto l’ateismo devo accettare che tu non esisti più, e questo non è vero. La mia verità personale, non certo quella con V maiuscola, mi porta a pensarla diversamente. Tu mi circondi ovunque vada, chiunque incontri, qualunque cosa dica o faccia. Mi precedi e mi aspetti. Mi segui. Mi spii. Mi dici cose quando non me lo aspetto. Poi sparisci per un po’, mi fai distrarre con la cronaca, con chi incontro, con le parole al telefono, con un libro, mentre cucino. E poi, quando faccio la spesa, non riesco a smettere di guardare quello che comprerei per te, solo per te. Quello che compravo e non compro più. Come le bustine di tè. A proposito, di queste ne ho ancora 8, nella loro scatola di cartone da 25, che scadono il 6 giugno 2019. Le altre 17 (numero maledetto), quelle che mancano, le hai consumate tu. E queste che restano le conservo. A me non piace il tè, non lo bevo mai.
Ho poco da dire, ho detto tutto. Potrei dire di molte altre cose, potrei scrivere di un personaggio ferrarese, di un palazzo roveretano, fare ricerche su una certa battaglia o su un problema etico. Una volta questo lo facevo, e con risultati apprezzabili. Non mi interessa, non riesco a farmelo entrare in testa che dovrei farlo. Tu mi distrai, sono io che voglio che tu mi distragga. A me sta bene così. Non sono passati neppure nove mesi, e tu hai sicuramente sofferto, verso la fine, per circa diciotto mesi. Forse devo farne passare pure io altri nove, non so. Matematicamente non ha senso, e neppure logicamente. Potrebbe essere simbolico, questo sì. In fondo vivo anche di simboli, di significati che diventano sostanza reale quando impostano un modo di vivere. Ogni cosa credo che troverà una risposta. Oppure scorderò la domanda. Ecco. Quando dicevo vedi intendevo questo. E vorrei sentire ancora la tua voce.

                                                                        Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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