È casa tua, nostra, lo è stata sin dall’inizio
e tale resterà sino alla fine, o quantomeno alla mia fine. Il resto conta molto
poco. Dopo di me di questo sentimento non mi interessa che rimanga alcun ricordo.
A quel punto finisca ogni cosa, ma non prima. Non intendo lasciare in eredità
ciò che penso e credo e voglio. Magari altro, certamente, magari questo stesso
appartamento che chiamo casa nostra, se possibile, ma non quanto vivo adesso. È
vero che nessun oggetto è importante come una persona, che tutto quanto
possiedo non vale la tua vita, o la mia, o la sua. Già il senso di possedere
qualche cosa porta in sé un che di profondamente sbagliato, toglie agli altri
e mette steccati, crea la proprietà privata, pone le basi della differenza e
dell’ingiustizia. Eppure viviamo in questa società, e una modifica profonda che
tocchi quest’aspetto mi sembra improbabile. Ma questa è una digressione, non è il
tema che mi preme.
Tu non ci sei, non ci sei più. Ed allora io non
riesco a smettere di cercare segni che mi possano conciliare con il mio bisogno
della tua presenza. Metto in ordine senza esagerare. E così facendo recupero un
vecchio copriletto di scarsa qualità che i miei mi portarono da utilizzare nel
primo appartamento che affittai, quello dove ci ritrovammo a vivere assieme all’inizio.
Quel copriletto lo avevo trasferito altrove e lasciato nel dimenticatoio per anni.
Da alcuni mesi è tornato sul nostro letto, a riprodurre quell’emozione, quel
senso di casa, quel bisogno di tenerti. Da allora dormire sul letto mi fa
sentirti vicina, da perfetto idiota, come se un copriletto avesse questo potere
magico. E vicina non solo nello spazio e nel tempo, ma in un spazio generico,
esattamente quello, ed in quel tempo. Del resto cosa mi impedisce, ora, di
cercarti dove mi fa più piacere, e mi procura anche dolore?
Credi che il dolore mi spaventi? Per nulla. Credi
invece che lo cerchi? Neppure, ma mi ci trovo racchiuso. Tornando indietro
a quando tu camminavi in casa, ci vivevi fisicamente, il dolore arriva come
effetto collaterale. Lo controllo, per quanto posso, e se non posso lo accetto.
Ora qui ti ci porto a forza, e mi fai pensare
che forse vorresti smettere di star male per colpa mia. A volte credo persino
tu me lo voglia far capire. Ed io non smetto.
Ricordo una litigata con te per una mia strana
gelosia. Una delle ultime discussioni con arrabbiatura reciproca, quando avevamo
molte paure ma eravamo pieni di speranze. Non ero geloso di quella visita, e perché
poi? No. Lo ero di chi mi rubava la tua presenza, mentre mi faceva piacere che
tu vedessi altre persone. Credo che mi arrabbierei ancora oggi allo stesso
modo, in questo non sono cambiato per nulla, né ho mutato idea.
Ed allora mi terrò, sino a quando non si
dissolverà, il vecchio copriletto pieno di pelucchi che si attaccano a
qualsiasi cosa. Quando vi appoggio sopra un maglione poi devo controllarlo, per
non uscire pieno di piccole palline arancione. Ma non è un problema. Se ora ti
capitasse di guardare il letto credo che sorrideresti, almeno un po’. E questo
non dovrebbe farmi piacere?
Silvano C.©
(La
riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte,
grazie)
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