lunedì 30 settembre 2013

Storia per una notte


Invitato da una conoscenza occasionale, pur stupito da tale invito inatteso, arrivo puntualissimo, nel tardo pomeriggio, al piccolo portone discreto e suono una sola volta, quasi con timidezza.
Mi apre un contegnoso signore, elegante, che scopro in seguito essere maggiordomo e uomo di fiducia dei Lucchini-Strozzi. Entro con un certo timore e vengo ricevuto da Antonio, l'anfitrione, che senza molte cerimonie mi invita ad entrare nel giardino interno, dove ospiti e familiari conversano tranquillamente. Vedo volti noti e meno noti, che al mio ingresso mi guardano, alcuni sorridono, altri semplicemente mi osservano con curiosità. Alberto deve aver anticipato qualche notizia sul mio conto, e del resto non avrebbe potuto invitarmi se non avesse avuto il consenso dei padroni di casa, ed è lui che ora si alza per introdurmi in quell’ambiente lontano dal mio per livello sociale e condizioni economiche.
Mi mette a mio agio, malgrado le paure provate ancora  poche ore prima, mi presenta a diverse persone e mi sembra di tornare indietro nel tempo, a secoli prima, quando i duchi, nel ‘500, ricevevano in modo simile gli ospiti ed i viaggiatori illustri di passaggio nelle loro terre, accogliendoli nelle loro ville, nelle loro delizie o nei loro splendidi giardini.

Io non sono certo un ospite illustre, sono semplicemente un amico di un loro ospite abituale, ma sento rivolti alla mia persona riguardi formali che non conoscevo, e solo con il tempo che passa mi adatto e mi rilasso, facendo cadere le impressioni iniziali del gruppo per sostituirle con nuove informazioni, con caratteri e risate, con un abito severo o con un profumo che mi distrae e mi conquista. Inizio a conoscere Angelica e Doriana, Claudio e Marcello, e Serena, che sono più o meno miei coetanei. È Alberto che mi presenta, all’inizio, ma poi sono io che tento di muovermi da solo, e vengo subito intrattenuto da Claudio, l’unico figlio di Antonio Lucchini. Lui decide che devo vedere la casa, visto che è la prima volta che entro tra quelle mura. Mi spiega che ora stiamo nel cortile interno, l’unico rimasto dei tre che in origine appartenevano a quella casa patrizia, che risale ai tempi dell’addizione erculea.
In quella dimora rinascimentale, costruita su quella che allora era via dei Prioni, pare abbiano soggiornato ambasciatori e poeti, notabili e madonne della corte estense, e, più tardi, anche Napoleone Buonaparte, durante una sua sosta in città, nel 1796. Sono seriamente colpito dal racconto di Claudio, che nota il mio sguardo e si mette a ridere.  Sono storie passate, mi spiega. Ora non c’è più il grande parco, espropriato o venduto, questo non è ben chiaro, occupato da costruzioni sin dai primi del ‘900. Pure un’intera ala del palazzo ha subito ristrutturazioni, prima che ogni ulteriore modifica venisse bloccata dalla soprintendenza per i beni architettonici. Mentre mi racconta mi fa visitare un enorme salone, un corridoio e mi fa vedere una grande scala in marmo che porta al piano superiore, che è anche l’ultimo piano. Non saliamo sopra, ma mi spiega che ci sono le camere da letto e un paio di studi, nulla di interessante.

Quando torniamo nel cortile, e Claudio si congeda da me, mi ritrovo immerso nuovamente nel chiacchiericcio a mezza voce che avevo lasciato prima, e, tra gli altri, noto una presenza nuova, una ragazza bruna, la guardo, ma sono subito chiamato da Alberto che mi vuol far conoscere ai genitori ed ai parenti di Claudio, seduti tra loro, e tutti sono interessati a sapere cosa faccio, come mi trovo in città, se conosco Alberto da molto tempo, e non mi lasciano più andare. Quando guardo l’orologio mi rendo conto che sono passate ormai più di tre ore, e per me si è fatto tardi. Domani devo partire per Venezia, il treno parte dalla stazione alle 7 e 45, e mi congedo da tutti con un sorriso ed una promessa di ritornare, alla prima occasione. Saluto per ultimi Alberto e Claudio, poi esco in strada e mi dirigo verso via Borgo dei Leoni.

Arrivo ad ora di cena, ma non ho molto appetito, e faccio in fretta a mangiare in piedi un paio di crostini di pane, un po’ di salame e un bicchiere d’acqua. Vado presto a letto, prima del solito, e per prendere sonno non trovo di meglio che leggere qualche pagina della Bellonci che descrive la vita di Lucrezia Borgia.
Come spesso mi capita non so cogliere il momento per appoggiare il libro e spegnere la luce, e continuo quindi a leggere, ad occhi chiusi, mescolando le parole della Bellonci con i discorsi del pomeriggio in casa Lucchini-Strozzi e confondo la bionda Lucrezia con la ragazza bruna che non mi è stata neppur fugacemente presentata e della quale non so nulla.

Senza stupirmene ora sono seduto a conversare con una giovane Lucrezia accompagnata da alcune dame di compagnia, tra le quali c’è lei. I nostri sguardi si incontrano spesso, sotto gli occhi divertiti della duchessa, ma poi la signora chiede a Pietro Bembo di recitare alcuni versi, e tutti restiamo muti, mentre il poeta volentieri accondiscende al suo desiderio.
Lucrezia tuttavia non vuole solo ascoltare le rime del Bembo, e l’intesa non segreta tra i due li spinge dopo un po’ ad allontanarsi dal gruppo dei cortigiani e ad isolarsi, per parlare a bassa voce, sotto l’ombra di tigli, platani, olmi e pioppi che rendono più piacevole il soggiorno a Belriguardo.

Io, il mattino dopo, sul treno diretto a Venezia, penso al Bembo, a Lucrezia ed alla bellezza bruna del pomeriggio precedente.


                                                            Silvano C.©


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

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