Invitato da una conoscenza occasionale, pur stupito da tale invito inatteso, arrivo puntualissimo, nel tardo pomeriggio, al piccolo portone discreto e suono una sola volta, quasi con timidezza.
Mi apre un contegnoso
signore, elegante, che scopro in seguito essere maggiordomo e uomo di fiducia
dei Lucchini-Strozzi. Entro con un certo timore e vengo ricevuto da Antonio, l'anfitrione, che senza molte cerimonie mi invita ad entrare nel giardino
interno, dove ospiti e familiari conversano tranquillamente. Vedo volti noti e meno noti, che al mio ingresso mi guardano,
alcuni sorridono, altri semplicemente mi osservano con curiosità. Alberto deve
aver anticipato qualche notizia sul mio conto, e del resto non avrebbe potuto
invitarmi se non avesse avuto il consenso dei padroni di casa, ed è lui che ora
si alza per introdurmi in quell’ambiente lontano dal mio per livello sociale e
condizioni economiche.
Mi mette a mio agio,
malgrado le paure provate ancora poche
ore prima, mi presenta a diverse persone e mi sembra di tornare indietro nel
tempo, a secoli prima, quando i duchi, nel ‘500, ricevevano in modo simile gli
ospiti ed i viaggiatori illustri di passaggio nelle loro terre, accogliendoli
nelle loro ville, nelle loro delizie o nei loro splendidi giardini.
Io non sono certo un ospite
illustre, sono semplicemente un amico di un loro ospite abituale, ma sento
rivolti alla mia persona riguardi formali che non conoscevo, e solo con il
tempo che passa mi adatto e mi rilasso, facendo cadere le impressioni iniziali
del gruppo per sostituirle con nuove informazioni, con caratteri e risate, con
un abito severo o con un profumo che mi distrae e mi conquista. Inizio a
conoscere Angelica e Doriana, Claudio e Marcello, e Serena, che sono più o meno
miei coetanei. È Alberto che mi presenta, all’inizio, ma poi sono io che tento
di muovermi da solo, e vengo subito intrattenuto da Claudio, l’unico figlio di
Antonio Lucchini. Lui decide che devo vedere la casa, visto che è la prima
volta che entro tra quelle mura. Mi spiega che ora stiamo nel cortile interno,
l’unico rimasto dei tre che in origine appartenevano a quella casa patrizia,
che risale ai tempi dell’addizione erculea.
In quella dimora
rinascimentale, costruita su quella che allora era via dei Prioni, pare abbiano
soggiornato ambasciatori e poeti, notabili e madonne della corte estense, e,
più tardi, anche Napoleone Buonaparte, durante una sua sosta in città, nel
1796. Sono seriamente colpito dal racconto di Claudio, che nota il mio sguardo
e si mette a ridere. Sono storie
passate, mi spiega. Ora non c’è più il grande parco, espropriato o venduto,
questo non è ben chiaro, occupato da costruzioni sin dai primi del ‘900. Pure
un’intera ala del palazzo ha subito ristrutturazioni, prima che ogni ulteriore
modifica venisse bloccata dalla soprintendenza per i beni architettonici.
Mentre mi racconta mi fa visitare un enorme salone, un corridoio e mi fa vedere
una grande scala in marmo che porta al piano superiore, che è anche l’ultimo
piano. Non saliamo sopra, ma mi spiega che ci sono le camere da letto e un paio
di studi, nulla di interessante.
Quando torniamo nel cortile,
e Claudio si congeda da me, mi ritrovo immerso nuovamente nel chiacchiericcio a
mezza voce che avevo lasciato prima, e, tra gli altri, noto una presenza nuova,
una ragazza bruna, la guardo, ma sono subito chiamato da Alberto che mi vuol
far conoscere ai genitori ed ai parenti di Claudio, seduti tra loro, e tutti
sono interessati a sapere cosa faccio, come mi trovo in città, se conosco
Alberto da molto tempo, e non mi lasciano più andare. Quando guardo l’orologio
mi rendo conto che sono passate ormai più di tre ore, e per me si è fatto
tardi. Domani devo partire per Venezia, il treno parte dalla stazione alle 7 e
45, e mi congedo da tutti con un sorriso ed una promessa di ritornare, alla
prima occasione. Saluto per ultimi Alberto e Claudio, poi esco in strada e mi
dirigo verso via Borgo dei Leoni.
Arrivo ad ora di cena, ma
non ho molto appetito, e faccio in fretta a mangiare in piedi un paio di
crostini di pane, un po’ di salame e un bicchiere d’acqua. Vado presto a letto,
prima del solito, e per prendere sonno non trovo di meglio che leggere qualche
pagina della Bellonci che descrive la vita di Lucrezia Borgia.
Come spesso mi capita non so
cogliere il momento per appoggiare il libro e spegnere la luce, e continuo
quindi a leggere, ad occhi chiusi, mescolando le parole della Bellonci con i
discorsi del pomeriggio in casa Lucchini-Strozzi e confondo la bionda Lucrezia
con la ragazza bruna che non mi è stata neppur fugacemente presentata e della quale non so
nulla.
Senza stupirmene ora sono
seduto a conversare con una giovane Lucrezia accompagnata da alcune dame di
compagnia, tra le quali c’è lei. I nostri sguardi si incontrano spesso, sotto
gli occhi divertiti della duchessa, ma poi la signora chiede a Pietro Bembo di
recitare alcuni versi, e tutti restiamo muti, mentre il poeta volentieri
accondiscende al suo desiderio.
Lucrezia tuttavia non vuole
solo ascoltare le rime del Bembo, e l’intesa non segreta tra i due li spinge
dopo un po’ ad allontanarsi dal gruppo dei cortigiani e ad isolarsi, per
parlare a bassa voce, sotto l’ombra di tigli, platani, olmi e pioppi che
rendono più piacevole il soggiorno a Belriguardo.
Io, il mattino dopo, sul
treno diretto a Venezia, penso al Bembo, a Lucrezia ed alla bellezza bruna del
pomeriggio precedente.
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte. Grazie)
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti offensivi o spam saranno cancellati. Grazie della comprensione.