Chilometri zero è un inutile slogan da ecologisti della domenica, che lascia il tempo che trova e svilisce il senso generale del concetto di sviluppo sostenibile (ammesso che sia accettabile pure l’idea di sviluppo sostenibile, perché se è sviluppo sicuramente non è sostenibile. È sostenibile solo ciò che non aumenta in un ecosistema chiuso come è la nostra Terra, anzi, regredisce, quindi NON è sviluppo, ma altro).
Se un punto di ristorazione
si fregia del nome Km 0 e serve prodotti locali ma precotti e scaldati col
microonde, con piatti, bicchieri e posate di plastica, manco si fosse ad una
sagra di paese, l’idea è tradita nella stessa forma. Dal punto di vista
ecologico non ha alcun senso produrre inutilmente plastica in più da smaltire,
ed il servizio sarebbe ben diverso con stoviglie, bicchieri e posate
tradizionali. Costerebbe di più? Non lo so, sicuramente sarebbe più coerente.
È una abitudine che grida
vendetta quella di consumare acqua minerale imbottigliata in Piemonte in
Toscana, oppure viceversa. Però le acque di cerchi marchi sono diffuse sul
territorio nazionale, ed hanno proprietà che altre acque non hanno. Come
regolare questo traffico col libero mercato? Una riflessione in questo caso
sarebbe necessaria, a partire dall’acqua che esce dal rubinetto che non sempre
è gradevole all’olfatto o al gusto, anche se magari è garantita e controllata.
A Ferrara si beve l’acqua depurata e trattata del fiume Po, a circa 50 km dalla
sua foce, quindi dopo aver raccolto gli scarichi di tutta o quasi la pianura
padana. Non è propriamente acqua di sorgente, anche se è assolutamente
garantita.
Io non ho un orto, e la
frutta e la verdura la devo comprare. In alcuni mercatini si trovavo prodotti
locali e di stagione, che vengono da comuni vicini. In questo caso Km 0 ha un
senso ed a quello cerco di fare attenzione. Tuttavia sicuramente non posso avere arance allo stesso modo, o altri prodotti
simili, e il problema dello slogan si ripropone. I gruppi di acquisto solidale
pensano sia al produttore locale ma pure alle condizioni di produzione, ed al
tipo di prodotto, e non necessariamente si tratta di aziende o zone vicine. In ogni caso cerco arance italiane, mi sembra stupido farle arrivare dalla Spagna o da più lontano.
La storia dei Km 0 diventa
ridicola poi in una visiona generale. Avete mai fatto vacanze con spostamenti
nulli o quasi? Ecco. se le avete fatto, sicuramente non avete visto altri luoghi,
altre persone, altre culture. La vostra conoscenza del mondo non ne ha avuto
alcun vantaggio. Se invece avete viaggiato in aereo, chiedetevi quanto
carburante ha consumato il vostro mezzo di trasporto, e quante banane avreste
potuto far arrivare sulla vostra tavola con quello stesso tipo di inquinamento.
Km 0 è sinonimo di
autarchia, per certi versi, di chiusura al diverso, per scelta o per necessità
non cambia. Sempre chiusura è, anche se è per difendere le nostre produzioni di
eccellenza, note in tutto il mondo. Già. In tutto il mondo. Come si concilia il
Made in Italy che deve esportare se vuole essere competitivo con questa idiozia
dei Km 0?
Se si vogliono esportare in
altri paesi o in altre regioni il Parmigiano-Reggiano, il Chianti, il pomodoro
Pachino, la pasta della Basilicata, il prosciutto San Daniele, la mozzarella di
bufala campana, il pecorino sardo e così via mantenendo la vicinanza al luogo di
produzione è semplicemente impossibile.
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte. Grazie)
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