giovedì 26 settembre 2013

Bene comune


Tanti anni fa, veramente tanti, a Porotto, quando ero un ragazzino, talvolta ho gettato piccole cose, spazzatura in pratica, in un paio di piccoli corsi d’acqua che scorrevano davanti e dietro  la casa dove allora abitavo, la prima che mio padre ha acquistato grazie all’aiuto di una persona generosa che gli ha fatto un prestito sulla fiducia, senza firme né cambiali. Mi veniva normale buttare cose così, non pensavo ai danni ambientali, e non riflettevo sulle conseguenze del mio comportamento, in particolare non riflettevo su quello che sarebbe successo se tutti si fossero comportati allo stesso modo.

Diversi anni dopo, con un amico, ho scoperto la laguna di Venezia nella sua parte più meridionale. Da Chioggia-Sottomarina ci siamo imbarcati sul traghetto che porta a Pellestrina, e lì siamo scesi, a visitare quel luogo magico, sospeso tra cielo, mare e terra. La laguna interna, vicino al paese, era una enorme distesa di spazzatura, con sacchetti, bottiglie cassette, copertoni, galleggianti per imbarcazioni e tanto altro per un’aera impressionante. Abbiamo mangiato panini ed io ho buttato la carta in laguna, senza pensarci molto. Il mio amico invece ha puntigliosamente ed assurdamente portato i suoi rifiuti più avanti, verso il paese, dove c’era un cestino, o un bidone, ora non ricordo.

Quando ero disoccupato, e cercavo lavoro, ho commesso alcuni piccoli furti ai danni di una grossa società pubblica. Mi serviva, quel materiale, per organizzare la mia ricerca, e mi sono sentito giustificato in questo mio appropriarmi di una cosa non mia ma che mi era utile visto che la società non mi aiutava, che mi abbandonava, mentre altri, con amicizie o spinte potenti, trovavano un impiego o una posizione. La mia depressione o disperazione mi giustificava, o almeno ne ero convinto, anche se non avrei mai confessato in giro quello che facevo. Solo a quel mio amico l’ho detto, e lui non ci ha messo molto a segarmi col suo giudizio.

Passano altri anni, e durante alcune vacanze su spiagge libere, in Italia, a volte inizio a pulire, invece di sporcare a mia volta. Raccolgo addirittura schifezze col retino in mare, invece di pescare poveri pesciolini, oppure circondo una famiglia di zozzoni e raccolgo senza dir nulla piatti e bottiglie di plastica che questi hanno seminato attorno a loro. Quella volta, in effetti, ho rischiato di essere malmenato, anche se non ho detto nulla, ma solo per alcuni miei sguardi.

Oggi, percorrendo con una certa frequenza la Transpolesana da Verona all’uscita per Canda, vedo che ogni area di sosta è invasa da rifiuti di ogni genere, da mattoni a lavandini, da materassi a sacchetti di umido, da bottiglie a tutto quello capita per le mani a chi passa. Tali rifiuti ovviamente vanno a sporcare pure i piccoli canali o fossi che costeggiano in qualche punto la strada, e molti non rispettano i divieti che non mancano.

Nelle passeggiate che mi succede di fare un po’ ovunque ormai ho preso l’abitudine di raccogliere qualcosa da terra o di staccare qualche adesivo appiccicato in giro quando mi capita. Non sopporto più queste cose.

Vedo attorno a me disperazione, molta più di un tempo. Vedo gente che si sente abbandonata. Vedo furbi che teorizzano sul non pagare le tasse allo Stato ladrone, mentre sono loro i primi ladroni, e rubano a me, a tutti quelli che le tasse le pagano e, cosa ancor più grave, rubano a tutti i deboli che avrebbero bisogno dell’aiuto pubblico, come anziani, malati, persone con handicap e disoccupati o giovani che cercano lavoro.

Rompere una fioriera, urlare di notte accanto ad un bar solo perché è estate ed il centro storico non deve morire, rubare le biciclette che il Comune mette a disposizione di tutti, sporcare muri e carrozze ferroviarie sono piccoli gesti di maleducazione e di disprezzo degli altri. Ma tutti questi comportamenti in fondo sono infantili, di protesta o di immaturità.
Quando invece arrivano la piena consapevolezza e l’interesse personale ai danni degli altri le cose divengono dirompenti, anche se maggiormente tollerate dalla massa perché non viste come atti di uno sporco anarchico o di un immigrato approfittatore o di un giovane delinquente. È tollerato chi possiede auto di lusso comprate non pagando il fisco, è tollerato chi va a pregare in chiesa la domenica ma non paga i suoi dipendenti o li assume in nero, ed è tollerato il politico furbo e ladro perché si spera di averne vantaggi personali (che al massimo sono le briciole di quanto lui ha rubato). 
Sono tollerati il ricco guru o l’ancor più ricco imprenditore che pontificano di libertà per tutti, di democrazia in rete o di sete di giustizia quando la vera libertà sono essi stessi a tradirla, sono sempre loro che svendono la democrazia per i giochi di potere e sono ancora loro che la giustizia non l’accettano quando li colpisce direttamente, trovando scappatoie ed ogni modo per sfruttare a loro comodo quanto tutti i comuni mortali sono costretti a subire.
Una vera giustizia non dovrebbe mai arrivare alla prescrizione, togliendo quel poco che i danneggiati vorrebbero avere da chi ha loro procurato lutti o perdite economiche.
Ma una giustizia che non funziona è il segnale d’allarme più grave a dimostrazione che abbiamo perso il senso del bene comune.

                                                            Silvano C.©


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

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