Tanto tempo fa, a Porotto,
un paesino di poche migliaia di anime non lontano da Ferrara viveva un
ragazzino timido e cicciotello. La madre aveva paura che lui avesse problemi di
salute, era molto apprensiva nei suoi confronti, ed eccessivamente protettiva.
Nessun genitore è privo di difetti, e quella donna aveva i suoi difetti, come
ogni donna ed ogni madre, e la sua apprensione
finì col pesare nei rapporti di quel ragazzino con i suoi coetanei,
molto più abituati a cavarsela da soli, a fare a botte, a giocare a calcio e a
non aver paura di quello che pensavano i loro genitori.
La situazione di partenza di
quel ragazzino poi era ulteriormente aggravata dal fatto di aver vissuto i suoi
primi anni senza un contatto diretto con coetanei maschi, ma solo con femmine.
In ogni caso, per tutto il
periodo delle scuole elementari, lui si trovò sistemato nella fila dei bravi,
seguito negli ultimi anni da quel maestro che poi sarebbe stato ricordato nella
targa della scuola, amato da generazioni di suoi allievi e seguito da esperti a
livello internazionale per i suoi studi sulle epigrafi e sui testi antichi.
Fuori dalle lezioni però non godeva di molta stima da parte dei compagni,
incapace di lottare e di giocare a calcio, di scalare gli alberi e di vincere una
gara in bicicletta, per la paura di cadere e di sporcarsi.
Furono anni tutto sommato
subiti, anche se in parte vissuti, è innegabile, e che lo avrebbero segnato nel
futuro.
Le medie furono quindi una
liberazione (le medie, si badi bene, non l’avviamento professionale, e la
scelta di quell’ordine di scuole fu dovuta ai consigli di quel maestro poi
divenuto l’orgoglio del paese). Furono l’occasione per ricominciare, come se le
antiche derisioni non avessero mai avuto luogo. Fu per lui il momento, finalmente,
dopo liti in famiglia, di avere i pantaloni lunghi. Anche per i pantaloncini
corti veniva deriso, dai coetanei, e quindi, tassello dopo tassello, ogni cosa
andava poco a poco al suo posto.
Mancava tuttavia
un’esperienza, vitale per un ragazzino, una tra le tante. Non quella della
scoperta del sesso, ben più importante ma rimandata ancora per molti anni,
purtroppo, ma quella dei rapporti di forza nei gruppi. Il caso volle che in
classe alle medie ci fosse, con lui, un ex compagno delle elementari, uno che
allora neppure vedeva, uno un po’ strano, chiuso, ma autonomo, ed
apparentemente senza paura degli altri. Assieme avevano l’interesse del
modellismo navale, ma, cosa che interessa maggiormente in questa breve storia,
avevano assieme una forza nuova, la capacità di imporsi, in qualche modo, senza
subire sempre come il ragazzino aveva vissuto sino a quei giorni.
Per farla breve, iniziarono
a prendere in giro un loro compagno di classe, uno grande e grosso ma buono
come il pane, tranquillo e senza nessun apparente motivo per diventare oggetto
dei lori scherzi sempre più pesanti.
In quel periodo stavano
studiando in classe “I promessi sposi”, e il personaggio del Nibbio li colpì,
tanto che quasi subito quella loro vittima divenne “Il Nibbio”. Ogni mattina trovavano
nuovi motivi per deriderlo, addirittura iniziarono a tenere una sorta di diario
giornaliero di come vestiva, del colore delle calze, di cosa mangiava a
merenda. Prepararono come due idioti una specie di Enciclopedia del Nibbio,
insistendo nel loro gioco crudele. Il ragazzino di Porotto ora era meno
ragazzino, ed avrebbe dovuto capire che era una cosa stupida, che andava
fermata. Ma aveva sofferto troppo, negli anni prima, e sentiva il bisogno di
una sorta di vendetta, di riparazione dei torti subiti. Un giorno il “Nibbio”
mise nell’angolo il ragazzino, in classe, stanco di essere deriso, ed iniziò a
pestarlo di brutto, con pugni e calci. Lui però era talmente sicuro di se
stesso che invece di fuggire o lamentarsi iniziò a ridere, sino a far smettere il
povero malcapitato, che stava facendogli male, ma si vedeva senza armi per far
smettere la sua tortura, ed infatti, pur avendo lui il vantaggio e le capacità
per avere il sopravvento, si ritirò, sconfitto.
La cosa durò quindi senza
apparenti cambiamenti ancora un po’, sino a quando, un giorno, alla fermata
dell’autobus, il ragazzino venne avvicinato da un adolescente più deciso e
grande del “Nibbio”. Si presentò come suo cugino. Gli assestò alcuni pugni dati
con forza e cattiveria. Gli disse esplicitamente che o la piantava o finiva
male sul serio. E poi lo lasciò dolorante, appoggiato ad un albero, umiliato
davanti a quelli che avevano visto la scena.
Da quel momento iniziarono a
cambiare alcune cose. Il ragazzo ora aveva avuto una lezione importante, e ne avrebbe
fatto tesoro per tutto il resto della vita.
Avrebbe evitato con
attenzione sia le occasioni per farsi vittima che quelle per diventare a sua
volta carnefice, avrebbe perso per sempre ogni velleità di comando o di potere,
ed avrebbe finalmente capito che l’esser vissuto i primi anni della sua infanzia
con compagne femmine non sarebbe più stato un problema, ma una occasione, che
gli altri non avevano avuto.
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte. Grazie)
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