lunedì 2 settembre 2013

Il Nibbio


Tanto tempo fa, a Porotto, un paesino di poche migliaia di anime non lontano da Ferrara viveva un ragazzino timido e cicciotello. La madre aveva paura che lui avesse problemi di salute, era molto apprensiva nei suoi confronti, ed eccessivamente protettiva. Nessun genitore è privo di difetti, e quella donna aveva i suoi difetti, come ogni donna ed ogni madre, e la sua apprensione  finì col pesare nei rapporti di quel ragazzino con i suoi coetanei, molto più abituati a cavarsela da soli, a fare a botte, a giocare a calcio e a non aver paura di quello che pensavano i loro genitori.
La situazione di partenza di quel ragazzino poi era ulteriormente aggravata dal fatto di aver vissuto i suoi primi anni senza un contatto diretto con coetanei maschi, ma solo con femmine.
In ogni caso, per tutto il periodo delle scuole elementari, lui si trovò sistemato nella fila dei bravi, seguito negli ultimi anni da quel maestro che poi sarebbe stato ricordato nella targa della scuola, amato da generazioni di suoi allievi e seguito da esperti a livello internazionale per i suoi studi sulle epigrafi e sui testi antichi. Fuori dalle lezioni però non godeva di molta stima da parte dei compagni, incapace di lottare e di giocare a calcio, di scalare gli alberi e di vincere una gara in bicicletta, per la paura di cadere e di sporcarsi.
Furono anni tutto sommato subiti, anche se in parte vissuti, è innegabile, e che lo avrebbero segnato nel futuro.
Le medie furono quindi una liberazione (le medie, si badi bene, non l’avviamento professionale, e la scelta di quell’ordine di scuole fu dovuta ai consigli di quel maestro poi divenuto l’orgoglio del paese). Furono l’occasione per ricominciare, come se le antiche derisioni non avessero mai avuto luogo. Fu per lui il momento, finalmente, dopo liti in famiglia, di avere i pantaloni lunghi. Anche per i pantaloncini corti veniva deriso, dai coetanei, e quindi, tassello dopo tassello, ogni cosa andava poco a poco al suo posto.
Mancava tuttavia un’esperienza, vitale per un ragazzino, una tra le tante. Non quella della scoperta del sesso, ben più importante ma rimandata ancora per molti anni, purtroppo, ma quella dei rapporti di forza nei gruppi. Il caso volle che in classe alle medie ci fosse, con lui, un ex compagno delle elementari, uno che allora neppure vedeva, uno un po’ strano, chiuso, ma autonomo, ed apparentemente senza paura degli altri. Assieme avevano l’interesse del modellismo navale, ma, cosa che interessa maggiormente in questa breve storia, avevano assieme una forza nuova, la capacità di imporsi, in qualche modo, senza subire sempre come il ragazzino aveva vissuto sino a quei giorni.
Per farla breve, iniziarono a prendere in giro un loro compagno di classe, uno grande e grosso ma buono come il pane, tranquillo e senza nessun apparente motivo per diventare oggetto dei lori scherzi sempre più pesanti.
In quel periodo stavano studiando in classe “I promessi sposi”, e il personaggio del Nibbio li colpì, tanto che quasi subito quella loro vittima divenne “Il Nibbio”. Ogni mattina trovavano nuovi motivi per deriderlo, addirittura iniziarono a tenere una sorta di diario giornaliero di come vestiva, del colore delle calze, di cosa mangiava a merenda. Prepararono come due idioti una specie di Enciclopedia del Nibbio, insistendo nel loro gioco crudele. Il ragazzino di Porotto ora era meno ragazzino, ed avrebbe dovuto capire che era una cosa stupida, che andava fermata. Ma aveva sofferto troppo, negli anni prima, e sentiva il bisogno di una sorta di vendetta, di riparazione dei torti subiti. Un giorno il “Nibbio” mise nell’angolo il ragazzino, in classe, stanco di essere deriso, ed iniziò a pestarlo di brutto, con pugni e calci. Lui però era talmente sicuro di se stesso che invece di fuggire o lamentarsi iniziò a ridere, sino a far smettere il povero malcapitato, che stava facendogli male, ma si vedeva senza armi per far smettere la sua tortura, ed infatti, pur avendo lui il vantaggio e le capacità per avere il sopravvento, si ritirò, sconfitto.
La cosa durò quindi senza apparenti cambiamenti ancora un po’, sino a quando, un giorno, alla fermata dell’autobus, il ragazzino venne avvicinato da un adolescente più deciso e grande del “Nibbio”. Si presentò come suo cugino. Gli assestò alcuni pugni dati con forza e cattiveria. Gli disse esplicitamente che o la piantava o finiva male sul serio. E poi lo lasciò dolorante, appoggiato ad un albero, umiliato davanti a quelli che avevano visto la scena.
Da quel momento iniziarono a cambiare alcune cose. Il ragazzo ora aveva avuto una lezione importante, e ne avrebbe fatto tesoro per tutto il resto della vita.
Avrebbe evitato con attenzione sia le occasioni per farsi vittima che quelle per diventare a sua volta carnefice, avrebbe perso per sempre ogni velleità di comando o di potere, ed avrebbe finalmente capito che l’esser vissuto i primi anni della sua infanzia con compagne femmine non sarebbe più stato un problema, ma una occasione, che gli altri non avevano avuto.

                                                                               Silvano C.©


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

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