Evita Peron, che ha ispirato
ad Andrew Lloyd Webber e Tim Rice un musical di successo
ed una canzone indimenticabile, e che è viva ancora oggi nel mito popolare del
suo Paese, è l’esempio funesto dal quale voglio partire, per scrivere del
populismo che ha preso il nome di peronismo, e che non è mai morto, sicuramente
non in Italia, dove ancora oggi fa strage di cuori e distrugge lo spirito
critico.
Peron era un dittatore che
affamava il suo popolo, ma bastava scrivere ad Evita, sua seconda moglie, e impietosirla,
per avere un aiuto per curare un figlio, per trovare un lavoro, per comprare
una dentiera o un cappotto nuovo. E i giornali di regime la esaltavano come la
donna buona, che tutti sentiva e tutti aiutava. La sua morte prematura ha
contribuito a farne un'icona intoccabile, una santa, un esempio immortale.
Oggi viviamo ancora quella
triste stagione, nulla è mutato nelle intenzioni subdole e depistanti di tanti
che potrebbero aiutare ad aprire gli occhi, ma vivono pure loro alle e sulle
spalle di tanti illusi. E chi sono questi disonesti epigoni di Evita (che in
ogni caso non è stata la prima a sfruttare questa modalità di abuso del potere,
occorre ammettere. Già Mussolini usava sistemi simili, e tanti ancor prima di
lui, andando indietro nella storia), chi sono costoro?
Prima di tutto i più beceri
e tristi, i più venduti, certi noti personaggi televisivi che vivono sulla
pietà e sul voyeurismo popolare, che sbattono sulla piazza mediatica l’orfano,
il disoccupato, il malato, l’abbandonato. Fingono interesse e carità, ma non
applicano il dettato evangelico che impone: “non sappia le destra cosa fa la
sinistra”. E perché dovrebbero? Per perdere il loro pubblico ed i loro lauti
guadagni?
Poi vengono molti politici,
molti di destra e centro o contrari a questa separazione tra destra e sinistra,
ma purtroppo anche di sinistra. Dichiarano a parole interesse personale, mossi
apparentemente da umanità e giustizia, mentre in realtà non intendono mutare il
sistema che genera questa ingiustizie sociali, perché sarebbero i primi a dover
rinunciare ai loro privilegi, che chiamano diritti acquisiti, se sono i loro,
mentre li tolgono senza pietà a donne che non possono più andare in pensione
come prima, a lavoratori che non ricevono quanto dovrebbero o vengono
licenziati, a giovani destinati ad essere disoccupati e anziani abbandonati
senza un sostegno dignitoso.
Non dimentico quindi le mille
campagne benefiche per la raccolta di fondi, ognuna con scopi nobilissimi,
contro la distrofia, contro i tumori, per aiutare le donne oggetto di violenza,
per i poveri cani abbandonati, per i ciechi, perché occorre essere ciechi per
non vedere questa enorme ed interessata attività che da lavoro prima di tutto
ai benemeriti benefattori, o permette loro di restituire solo le briciole di
quanto hanno guadagnato con attività esattamente all’opposto della carità e
della bontà.
Infine, per non allungare
troppo l’elenco, vedo in questa nutrita assemblea le molte persone pie che
fanno della carità la loro bandiera ed il loro credo, letteralmente. Sono in
buona fede queste persone? Non lo so, molte sicuramente si, in modo acritico,
per adesione vissuta ad una visione religiosa del mondo che non mi appartiene.
La carità per sfamare chi muore letteralmente di fame, o per accogliere in un
luogo caldo chi, fuori, morirebbe congelato. Come posso dire che non servano
queste brave persone?
Eppure lo dico, anche se al
condizionale. Non dovrebbero servire. Dovrebbe essere uno Stato laico e giusto
a dare ad ognuno i mezzi onesti per vivere, facendo pagare le tasse ai ricchi
che le evadono o che non vogliono neppure versare un contributo annuale al loro
comune per la loro villa di 10 stanze più piscina e parco. Dovrebbe essere
l’ente pubblico, e non la comunità religiosa e quindi confessionale a dare
aiuto a chi ne ha bisogno, prevenendo i bisogni stessi, con un vero Stato
sociale.
Invece, esattamente con la
tecnica usata da Al Qaeda, qualcuno attira con piccoli regali nuovi bisognosi
sostenitori, creando le basi per una carità di stato, non per uno Stato moderno
e civile.
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte. Grazie)
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