mercoledì 31 luglio 2013

Lo schiaffo



Le punizioni corporali scolastiche sono un ricordo dell’infanzia, e tutto sommato abbastanza contenute, come quando il troppo vivace Carletto veniva legato al banco dalla maestra per un po’ di tempo. Chissà per quale motivo quell’insegnante puniva così quel bambino di 6 anni o poco più, ma c’era disapprovazione nei confronti di questo alunno, ormai perso nel passato, per il solo fatto di disturbare la lezione. Non aveva grande seguito di amici, non sicuramente come ne avrebbe oggi, e tutti i genitori allora erano concordi nel dire che andava punito in modo che capisse come ci si deve comportare.

Altri tempi, ormai, oggi preistoria, perché la scuola nel frattempo si è aggiornata, ha sfornato generazioni di italiani sempre meno rispettosi ed è stata superata, come entità educativa, dai mezzi di comunicazione di massa. Ora la scuola non è rispettata e in particolare quella pubblica sembra la fortezza Bastiani.  Nel senso che l’insegnante, dopo aver atteso tutta la vita il nemico, quando finalmente questi è arrivato, è lontano. Ma forse è solo un sogno quello di essersi preparato alla battaglia, senza in realtà mai impugnare una sola arma. Oppure il nemico è arrivato da tempo, poco a poco, non come un esercito di tartari organizzato e riconoscibile, ma con una invasione lenta, capillare, come in vecchio film di fantascienza: “L’invasione degli Ultracorpi”.

Ma veniamo allo schiaffo:

Premessa – Alla fine degli anni 80 del secolo scorso entrano orgogliosamente nella scuola i primi personal computer. Sono macchine ancora importanti e costose, usano il sistema operativo MS-DOS
ed il Basic è il linguaggio più in voga, almeno nel caso di chi inizia ad avvicinarsi all’informatica. Alcuni da pochi anni hanno comprato i mitici Commodore Vic-20 o Commodore 64, che funzionano collegati ad uno schermo televisivo e che se vengono spenti dimenticano tutto, salvo copiare i dati in una specie di mangianastri collegato.  Pochi hanno il denaro per un vero PC, e sicuramente non gli insegnanti senza un doppio lavoro. Costano ancora troppo, e non ci sono mai convenzioni agevolate per far acquistare queste macchine agli insegnanti, che se desiderano farlo non possono neppure scaricare l’IVA, pur essendo uno strumento di lavoro. Quando finalmente una manciata di queste macchine viene installata in un’aula speciale nasce la prima aula di informatica che il professor Piero abbia mai visto. Chi intende usarla si aggiorna in modo adeguato, e solo dopo ha l’accesso, singolarmente o con la sua classe, a questo santuario innovativo, che promette miracoli e meraviglie.

Fatto – Un pomeriggio, con un gruppo ridotto di ragazzi, dopo aver spiegato ed indottrinato per bene tutti, Piero li fa entrare in quest’aula. Chiede che ascoltino con attenzione ed eseguano le istruzioni man mano che le fornisce, perché non può verificare personalmente cosa succede ad ogni singola macchina, davanti alla quale gli alunni sono seduti in gruppi di due o tre, con l’impegno di ruotare a turno. Un PC dell’epoca è formato da una scatola che contiene il processore, da un monitor appoggiato su questa scatola e da una tastiera. Niente altro. Niente stampanti o casse, e soprattutto, niente mouse. La lezione è faticosa, Piero comincia ad avere poca voce perché un ragazzino, Mattia, disturba e lo obbliga ad interrompersi spesso ed a ripetere. Poi questo litiga con i compagni, e viene spostato di lato. Non soddisfatto inizia a battere sulla tastiera con la mano tanto per vedere che succede e come reagisce l’insegnante. Lui provoca, insomma, e Piero fa la cosa che nessun insegnante serio o preparato deve mai fare. Cade nella provocazione e gli molla un ceffone, tanto forte da far perdere sangue dal naso. Pensa, dentro di sè, come giustificazione, che sta per rompere una macchina molto costosa, una macchina di tutta la scuola, di centinaia di ragazzi. Ma è solo una giustificazione postuma, in realtà fa una cosa sbagliatissima, da denuncia. Il ragazzo scatta, urla, apre la finestra e si butta fuori (l’aula è al piano rialzato) poi scappa.

Sviluppo –  Ora i fatti sono meno nitidi, si rischia di dire inesattezze. Per un qualche miracolo non succede nulla. È l’ultima ora di lezione. Tutti vanno a casa pochi minuti dopo l’episodio. Piero è agitatissimo, anche se tenta di mantenere la calma. La notte quasi non dorme. Non sa che fare. In fondo è uscito dieci minuti prima della fine delle lezioni. In fondo stava facendo il vandalo. In fondo stava disturbando la lezione. In fondo ha solo fatto un’enorme cazzata che potrebbe costargli molto cara, perché quello è un minorenne, ed è affidato alla sua responsabilità. Ma non succede effettivamente nulla. Il giorno dopo il ragazzo, tranquillo e con l’aria di chi sa come vanno le cose del mondo si presenta a scuola e non dice una sola parola sul fatto del giorno prima. Piero non sa neppure cosa si sia detto dell’episodio tra gli alunni, ha il terrore di indagare. I giorni passano, poco a poco l’episodio diventa un ricordo. Non ci sono conseguenze di alcun tipo, se non nella coscienza del professore, che sa di aver mancato, o fallito, in un momento nel quale è stato messo alla prova.


Conclusione - Molti anni dopo Piero, che continua ad insegnare, rivede Mattia, per caso, in un supermercato. È cresciuto, si è fatto uomo, lavora nel reparto macelleria. Sorride al suo vecchio professore e, malgrado abbia in mano il coltello affilatissimo che sta usando, non lo assale. Gli ricorda l’episodio, Piero arrossisce. Lui dice sorridendo che la sberla se la meritava, che poi non ha detto niente a nessuno, né a casa né ad altre persone. Gli dice pure che ha dei bei ricordi di quegli anni, e che ha fatto impazzire molti insegnanti, non solo lui.
Passa altro tempo, e Piero visita una fiera campionaria, con la figlia. Mentre stanno curiosando tra i vari stand lo ritrova. Mattia è elegantissimo, sicuramente più di lui, e lo accoglie in un piccolo spazio dove offre un bicchiere di brut a lui ed uno di aranciata alla figlia. Dice che da anni ormai è diventato uomo di fiducia e venditore in quella ditta di infissi che opera in tutta la regione e anche in giro per l’Italia. È ormai un uomo arrivato. È sposato ed ha pure una bella casa. La scuola, a modo suo, gli è servita. Forse anche lo schiaffo, chi lo sa.

                                                                                                                Silvano C.©


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

2 commenti:

  1. mi è tornato alla mente il mio compagno Aldo,una mattina di gennaio,ricordo benissimo la causa, si è lasciato punire per salvare me da un castigo corporale. Dopo anni mi ha confessato che ricordava bene,l'aveva fatto perchè mi voleva bene,avevamo meravigliosi 8 anni.

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  2. a volte si aprono finestre nella memoria...

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