Le punizioni corporali
scolastiche sono un ricordo dell’infanzia, e tutto sommato abbastanza
contenute, come quando il troppo vivace Carletto veniva legato al banco dalla
maestra per un po’ di tempo. Chissà per quale motivo quell’insegnante puniva
così quel bambino di 6 anni o poco più, ma c’era disapprovazione nei confronti
di questo alunno, ormai perso nel passato, per il solo fatto di disturbare la
lezione. Non aveva grande seguito di amici, non sicuramente come ne avrebbe
oggi, e tutti i genitori allora erano concordi nel dire che andava punito in
modo che capisse come ci si deve comportare.
Altri tempi, ormai, oggi
preistoria, perché la scuola nel frattempo si è aggiornata, ha sfornato
generazioni di italiani sempre meno rispettosi ed è stata superata, come entità
educativa, dai mezzi di comunicazione di massa. Ora la scuola non è rispettata
e in particolare quella pubblica sembra la fortezza Bastiani. Nel senso
che l’insegnante, dopo aver atteso tutta la vita il nemico, quando finalmente
questi è arrivato, è lontano. Ma forse è solo un sogno quello di essersi
preparato alla battaglia, senza in realtà mai impugnare una sola arma. Oppure
il nemico è arrivato da tempo, poco a poco, non come un esercito di tartari
organizzato e riconoscibile, ma con una invasione lenta, capillare, come in
vecchio film di fantascienza: “L’invasione degli Ultracorpi”.
Ma veniamo allo schiaffo:
Premessa – Alla fine degli
anni 80 del secolo scorso entrano orgogliosamente nella scuola i primi personal
computer. Sono macchine ancora importanti e costose, usano il sistema operativo
MS-DOS
ed il Basic è il linguaggio
più in voga, almeno nel caso di chi inizia ad avvicinarsi all’informatica.
Alcuni da pochi anni hanno comprato i mitici Commodore Vic-20 o Commodore 64,
che funzionano collegati ad uno schermo televisivo e che se vengono spenti
dimenticano tutto, salvo copiare i dati in una specie di mangianastri
collegato. Pochi hanno il denaro per un vero PC, e sicuramente non gli
insegnanti senza un doppio lavoro. Costano ancora troppo, e non ci sono mai
convenzioni agevolate per far acquistare queste macchine agli insegnanti, che
se desiderano farlo non possono neppure scaricare l’IVA, pur essendo uno
strumento di lavoro. Quando finalmente una manciata di queste macchine viene
installata in un’aula speciale nasce la prima aula di informatica che il
professor Piero abbia mai visto. Chi intende usarla si aggiorna in modo
adeguato, e solo dopo ha l’accesso, singolarmente o con la sua classe, a questo
santuario innovativo, che promette miracoli e meraviglie.
Fatto – Un pomeriggio, con
un gruppo ridotto di ragazzi, dopo aver spiegato ed indottrinato per bene
tutti, Piero li fa entrare in quest’aula. Chiede che ascoltino con attenzione
ed eseguano le istruzioni man mano che le fornisce, perché non può verificare
personalmente cosa succede ad ogni singola macchina, davanti alla quale gli
alunni sono seduti in gruppi di due o tre, con l’impegno di ruotare a turno. Un
PC dell’epoca è formato da una scatola che contiene il processore, da un
monitor appoggiato su questa scatola e da una tastiera. Niente altro. Niente
stampanti o casse, e soprattutto, niente mouse. La lezione è faticosa, Piero
comincia ad avere poca voce perché un ragazzino, Mattia, disturba e lo obbliga
ad interrompersi spesso ed a ripetere. Poi questo litiga con i compagni, e
viene spostato di lato. Non soddisfatto inizia a battere sulla tastiera con la
mano tanto per vedere che succede e come reagisce l’insegnante. Lui provoca,
insomma, e Piero fa la cosa che nessun insegnante serio o preparato deve mai
fare. Cade nella provocazione e gli molla un ceffone, tanto forte da far
perdere sangue dal naso. Pensa, dentro di sè, come giustificazione, che sta per
rompere una macchina molto costosa, una macchina di tutta la scuola, di
centinaia di ragazzi. Ma è solo una giustificazione postuma, in realtà fa una
cosa sbagliatissima, da denuncia. Il ragazzo scatta, urla, apre la finestra e
si butta fuori (l’aula è al piano rialzato) poi scappa.
Sviluppo – Ora i fatti
sono meno nitidi, si rischia di dire inesattezze. Per un qualche miracolo non
succede nulla. È l’ultima ora di lezione. Tutti vanno a casa pochi minuti dopo
l’episodio. Piero è agitatissimo, anche se tenta di mantenere la calma. La
notte quasi non dorme. Non sa che fare. In fondo è uscito dieci minuti prima
della fine delle lezioni. In fondo stava facendo il vandalo. In fondo stava
disturbando la lezione. In fondo ha solo fatto un’enorme cazzata che potrebbe
costargli molto cara, perché quello è un minorenne, ed è affidato alla sua
responsabilità. Ma non succede effettivamente nulla. Il giorno dopo il ragazzo,
tranquillo e con l’aria di chi sa come vanno le cose del mondo si presenta a
scuola e non dice una sola parola sul fatto del giorno prima. Piero non sa neppure
cosa si sia detto dell’episodio tra gli alunni, ha il terrore di indagare. I
giorni passano, poco a poco l’episodio diventa un ricordo. Non ci sono
conseguenze di alcun tipo, se non nella coscienza del professore, che sa di
aver mancato, o fallito, in un momento nel quale è stato messo alla prova.
Conclusione - Molti anni
dopo Piero, che continua ad insegnare, rivede Mattia, per caso, in un
supermercato. È cresciuto, si è fatto uomo, lavora nel reparto macelleria.
Sorride al suo vecchio professore e, malgrado abbia in mano il coltello
affilatissimo che sta usando, non lo assale. Gli ricorda l’episodio, Piero
arrossisce. Lui dice sorridendo che la sberla se la meritava, che poi non ha
detto niente a nessuno, né a casa né ad altre persone. Gli dice pure che ha dei
bei ricordi di quegli anni, e che ha fatto impazzire molti insegnanti, non solo
lui.
Passa altro tempo, e Piero
visita una fiera campionaria, con la figlia. Mentre stanno curiosando tra i
vari stand lo ritrova. Mattia è elegantissimo, sicuramente più di lui, e lo
accoglie in un piccolo spazio dove offre un bicchiere di brut a lui ed uno di
aranciata alla figlia. Dice che da anni ormai è diventato uomo di fiducia e
venditore in quella ditta di infissi che opera in tutta la regione e anche in
giro per l’Italia. È ormai un uomo arrivato. È sposato ed ha pure una bella
casa. La scuola, a modo suo, gli è servita. Forse anche lo schiaffo, chi lo sa.
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte. Grazie)
mi è tornato alla mente il mio compagno Aldo,una mattina di gennaio,ricordo benissimo la causa, si è lasciato punire per salvare me da un castigo corporale. Dopo anni mi ha confessato che ricordava bene,l'aveva fatto perchè mi voleva bene,avevamo meravigliosi 8 anni.
RispondiEliminaa volte si aprono finestre nella memoria...
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