Una era vedova e l’altra
orfana di Gaspare Chemola, bottaio di Cavalese, precipitato anni prima dal
sentiero col suo carro mentre portava due botti finite ad un contadino del
posto.
Due inverni particolarmente
rigidi avevano portato fame e miseria in tutta la valle, ed alla messa della
domenica il nuovo frate predicatore da poco mandato in sostituzione del vecchio
parroco tuonava con sempre maggiore forza contro i malefici del Maligno che
ordiva continui piani per asservire il popolo di Dio. Il frate, Galateo da
Torbole, aveva studiato e mandato quasi a memoria il “Malleus maleficarum”,
scritto dai domenicani Jakob Sprenger e Heinrich Institoris, dove si spiegava come
individuare e riconoscere le streghe che vivevano tra i cristiani, nascondendo
il loro orrendo mestiere.
Erano anni terribili, quelli
della fine del ‘400, dopo che Papa Innocenzo VIII, con Bolla Papale pubblicata
il 5 dicembre 1484, aprì nel mondo cristiano quella che venne poi chiamata
caccia alle streghe. Bastava una denuncia anonima perché una donna, sospettata
di aver stretto un patto col demonio, venisse catturata e sottoposta alle più
inumare torture affinché confessasse la sua colpa, e ponesse fine così alla sua
sofferenza spesso col supplizio, o col rogo, che solo le più fortunate
affrontavano ormai morte.
Un disgraziato, che aveva
ricevuto il rifiuto di sottostare alle sue voglie da parte di Caterina Chemola,
iniziò a diffondere la voce che costei fosse una strega. Giurò di averla vista
accoppiarsi col demonio, lei ignuda con questo immondo caprone, davanti alla
sua stessa figlia. La voce giunse alle orecchie di frate Galateo, prontissimo a
cogliere in questi racconti inventati la conferma alle sue convinzioni, e un
giorno, dopo aver radunato un folto numero di paesani, parti verso la dimora di
Caterina e Domenica, con litanie e preghiere pronunciate a voce altissima.
Le due donne, messe in
allarme da queste voci, fuggirono dalle loro mura, ma non sufficientemente
veloci da non farsi scorgere dai primi del gruppo raccolto dal frate. La madre,
capendo che non avrebbe potuto nascondersi da costoro, disse alla figlia di
prendere un’altra via, di salire sulla montagna e nascondersi, separandosi da lei.
Il resto della storia, come
si legge nei pochi testi scritti di quel periodo sulla vicenda, narra di come
Caterina venne presto catturata e di come invece Domenica, allora solo
quattordicenne, miracolosamente riuscì a raggiungere non vista né seguita il
maso isolato di un vecchio soprannominato Zaneto, di origini austriache, che la
nascose a coloro che in seguito la cercarono anche presso di lui, e che la
protesse meglio che se fosse stato suo padre o suo nonno, nascondendole anche
il destino che aveva subito la madre, e che Domenica solo anni dopo conobbe.
Caterina, appena catturata,
venne imprigionata a Cavalese, nelle segrete del Palazzo Vescovile, il Grotòn.
Le vennero rasati i lunghi capelli, fu spogliata per cercare su ogni parte del
suo corpo il segno del Demonio, il capezzolo dal quale si nutriva, un indizio
qualsiasi a riprova delle accuse di aver portato tanta disgrazia nella valle di
Fiemme.
Nulla fu trovato. Fu allora
torturata, le vennero spezzati polsi e caviglie, fu costretta a confessare
davanti al frate ed agli emissari del Principe Vescovo che, a dire il vero,
aveva allora problemi politici enormi
da affrontare, e non si interessava al destino di una semplice strega.
La fine di Caterina seguì il
tragico copione di tante esecuzioni capitali di innocenti donne in quel periodo
storico del quale la Chiesa non chiederà mai a sufficienza perdono.
Il processo durò pochi
giorni, la condanna arrivò puntuale, e la sentenza eseguita subito dopo aver
dato sufficiente pubblicazione al popolo delle decisioni ecclesiastiche.
Il giorno stabilito venne
fatta uscire dalle stanze segrete dove era stata tenuta rinchiusa e portata
sulla piazza davanti al Palazzo Vescovile, e poi, davanti a tutti gli abitanti
(era prevista un multa di 20 ducati per chi avesse ignorato l’obbligo di
assistere al supplizio), issata sulla catasta di legna pronta per bruciarla,
legata al palo, spogliata davanti al popolo per mostrare il suo corpo
martoriato ed infine, acceso il fuoco, arsa viva.
(Storia parzialmente ispirata a fatti tragici
reali, ma non necessariamente avvenuti come qui raccontati dal sottoscritto)
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte. Grazie)
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