sabato 13 luglio 2013

Domenica, figlia di strega

Vivevano, in una povera casa di Carano, Caterina e la figlia Domenica, coltivando un piccolo orto ed allevando alcune capre, conigli e pollame. Alla madre si rivolgevano a volte le donne del paese quando dovevano partorire, e più o meno tutti quando avevano bisogno di qualche erba per curare piccoli problemi del corpo.
Una era vedova e l’altra orfana di Gaspare Chemola, bottaio di Cavalese, precipitato anni prima dal sentiero col suo carro mentre portava due botti finite ad un contadino del posto.

Due inverni particolarmente rigidi avevano portato fame e miseria in tutta la valle, ed alla messa della domenica il nuovo frate predicatore da poco mandato in sostituzione del vecchio parroco tuonava con sempre maggiore forza contro i malefici del Maligno che ordiva continui piani per asservire il popolo di Dio. Il frate, Galateo da Torbole, aveva studiato e mandato quasi a memoria il “Malleus maleficarum”, scritto dai domenicani Jakob Sprenger e Heinrich Institoris, dove si spiegava come individuare e riconoscere le streghe che vivevano tra i cristiani, nascondendo il loro orrendo mestiere.

Erano anni terribili, quelli della fine del ‘400, dopo che Papa Innocenzo VIII, con Bolla Papale pubblicata il 5 dicembre 1484, aprì nel mondo cristiano quella che venne poi chiamata caccia alle streghe. Bastava una denuncia anonima perché una donna, sospettata di aver stretto un patto col demonio, venisse catturata e sottoposta alle più inumare torture affinché confessasse la sua colpa, e ponesse fine così alla sua sofferenza spesso col supplizio, o col rogo, che solo le più fortunate affrontavano ormai morte.

Un disgraziato, che aveva ricevuto il rifiuto di sottostare alle sue voglie da parte di Caterina Chemola, iniziò a diffondere la voce che costei fosse una strega. Giurò di averla vista accoppiarsi col demonio, lei ignuda con questo immondo caprone, davanti alla sua stessa figlia. La voce giunse alle orecchie di frate Galateo, prontissimo a cogliere in questi racconti inventati la conferma alle sue convinzioni, e un giorno, dopo aver radunato un folto numero di paesani, parti verso la dimora di Caterina e Domenica, con litanie e preghiere pronunciate a voce altissima.

Le due donne, messe in allarme da queste voci, fuggirono dalle loro mura, ma non sufficientemente veloci da non farsi scorgere dai primi del gruppo raccolto dal frate. La madre, capendo che non avrebbe potuto nascondersi da costoro, disse alla figlia di prendere un’altra via, di salire sulla montagna e nascondersi, separandosi da lei.

Il resto della storia, come si legge nei pochi testi scritti di quel periodo sulla vicenda, narra di come Caterina venne presto catturata e di come invece Domenica, allora solo quattordicenne, miracolosamente riuscì a raggiungere non vista né seguita il maso isolato di un vecchio soprannominato Zaneto, di origini austriache, che la nascose a coloro che in seguito la cercarono anche presso di lui, e che la protesse meglio che se fosse stato suo padre o suo nonno, nascondendole anche il destino che aveva subito la madre, e che Domenica solo anni dopo conobbe.

Caterina, appena catturata, venne imprigionata a Cavalese, nelle segrete del Palazzo Vescovile, il Grotòn. Le vennero rasati i lunghi capelli, fu spogliata per cercare su ogni parte del suo corpo il segno del Demonio, il capezzolo dal quale si nutriva, un indizio qualsiasi a riprova delle accuse di aver portato tanta disgrazia nella valle di Fiemme.
Nulla fu trovato. Fu allora torturata, le vennero spezzati polsi e caviglie, fu costretta a confessare davanti al frate ed agli emissari del Principe Vescovo che, a dire il vero, aveva allora  problemi politici enormi da affrontare, e non si interessava al destino di una semplice strega.

La fine di Caterina seguì il tragico copione di tante esecuzioni capitali di innocenti donne in quel periodo storico del quale la Chiesa non chiederà mai a sufficienza perdono.
Il processo durò pochi giorni, la condanna arrivò puntuale, e la sentenza eseguita subito dopo aver dato sufficiente pubblicazione al popolo delle decisioni ecclesiastiche.
Il giorno stabilito venne fatta uscire dalle stanze segrete dove era stata tenuta rinchiusa e portata sulla piazza davanti al Palazzo Vescovile, e poi, davanti a tutti gli abitanti (era prevista un multa di 20 ducati per chi avesse ignorato l’obbligo di assistere al supplizio), issata sulla catasta di legna pronta per bruciarla, legata al palo, spogliata davanti al popolo per mostrare il suo corpo martoriato ed infine, acceso il fuoco, arsa viva.


(Storia parzialmente ispirata a fatti tragici reali, ma non necessariamente avvenuti come qui raccontati dal sottoscritto)

                                                                                          Silvano C.©


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

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