L’insegna a forma di statua scolpita in legno di roverella rappresenta
un guerriero saraceno, a grandezza naturale, armato di tutto punto, con elmo,
corazza, scudo e lancia. La pone davanti all’ingresso della sua bottega di
falegname mastro Genesio, l’artigiano più conosciuto di tutta via Sabbioni,
noto per aver costruito mobili raffinatissimi presenti nelle più ricche dimore
cittadine. Questi è particolarmente soddisfatto di come gli è riuscito il
lavoro.
Pur essendo abbastanza avaro
e scarsamente incline a dedicare il suo tempo ad attività poco remunerative, ha una
debolezza: la vanità. Non nasce ricco, ma sesto fratello tra nove, ed impara
presto il mestiere andando come aiutante ancora giovanissimo presso un mastro che
ha la sua bottega vicino alla porta San Pietro. Rimane a lavorare ben oltre il
tempo che gli viene richiesto e non ha ancora venti anni quando supera il maestro in
abilità, precisione e fantasia, tanto che per vari anni è lui a fare i lavori
che il vecchio Mattia spaccia ancora per suoi con i clienti. Genesio desidera
che si sappia chi è l’autore dei mobili e degli scaffali, delle porte
intarsiate e delle piccole scatole in ulivo o in ciliegio che le dame e le
nobili donne fanno a gara per comprarsi, ma non può rivelare agli altri la
verità, teme di essere cacciato e di ritrovarsi senza un lavoro né un posto per
guadagnarsi da vivere.
Mattia è vecchio, non
intende ritirarsi, e non intende neppure lasciare a lui la sua bottega. Pensa al suo
figlio maggiore, che tuttavia è
incapace di distinguere un pioppo da un noce, ed è altresì assolutamente negato
per gli affari, capace solo di spendere in vino, gioco e donne il denaro che
gli passa il padre. È stata dura, agli inizi, pensa Genesio. Ed è solo verso
i 24 anni che ha la fortuna di essere chiamato per la costruzione del monastero
di San Benedetto, poiché la fama della sua abilità non è ormai più un segreto
per nessuno.
Da quel momento la sorte muta il suo corso. Inizia a lavorare prima dentro il monastero in costruzione, poi ottiene
uno spazio solo suo, in via Sabbioni, dove riesce ad assumere due garzoni che svolgono i lavori più pesanti e meno
creativi, e, cosa per lui ben più importante, si sposa con Caterina, bellissima figlia
del ricco lanaiolo di via Salinguerra, realizzando l’antico desiderio di pavoneggiarsi col popolo e godere dell’invidia
che suscita in chi lo guarda passare, al fianco della bella e giovane moglie,
salutato da ricchi e potenti, finalmente con una bottega tutta sua.
Le opere a San
Benedetto sono fonte di ricchi guadagni per lui, ed il suo carro che trasporta
porte ed altri ornamenti lignei per il monastero comincia ad essere
riconosciuto lungo le vie che dalla vecchia Ferrara portano alla nuova zona progettata dal
Rossetti, l’architetto di Corte. Lui personalmente vuole che il tragitto passi
accanto al fossato del Castello di San Michele, in modo da ottenere
maggior fama dal suo lavoro.
È la vanità che
lo spinge a costruire quella statua, come se fosse lui il guerriero che ha vinto
i nemici in terra stranera. Non rappresenta propriamente un guerriero
cristiano, ma in quella via non molti anni prima passavano i cavalieri che
andavano alla giostra, alcuni in abiti ed armi saracene. In ogni caso è pensando
alla sua fortuna che espone questa statua, ed è guardandola che viene colpito
da un attacco fortissimo al cuore che lo lascia senza vita, davanti
all’ingresso del suo regno faticosamente conquistato, pochi giorni prima di
compiere il trentaquattresimo anno.
(Storia parzialmente ispirata a fatti ferraresi, non necessariamente avvenuti come immaginati dal sottoscritto)
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte. Grazie)
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