Non
amo il calcio professionistico per come è vissuto ed usato in Italia, e mi
astengo da giudizi allargati al resto del mondo.
Non lo
amo perché deforma e falsa il mio concetto ideale di sport sano e formativo,
completamento della personalità, pratica utile ad ogni età, modello di vita
insomma.
Sono
cresciuto senza coetanei maschi e quindi non mi sono rapportato nei primissimi
anni con questa pratica, non ne ho ricevuto l’imprinting, ho
avuto il tempo di sviluppare dei forti
anticorpi e questi, in seguito, mi hanno fatto sentire un
isolato ed un diverso, quando ho tentato di recuperare un ruolo tra
amici delle elementari e delle medie, ma il danno era ormai fatto.
Poi ho ritentato di appassionarmi negli anni della grande Inter, quella di Helenio Herrera. Per più di un anno ho pensato finalmente di essere "normale", come tutti gli amici maschi. Macchè. I calciatori che avevo iniziato ad amare pochi anni dopo hanno preso altre vie, sono stati venduti ad altre squadre. Ma come è possibile affezionarsi ad una persona e poi abbandonarla, venderla? No, il calcio professionistico, avevo capito, è profondamente ingiusto, fondamentalmente sbagliato.
Poi ho ritentato di appassionarmi negli anni della grande Inter, quella di Helenio Herrera. Per più di un anno ho pensato finalmente di essere "normale", come tutti gli amici maschi. Macchè. I calciatori che avevo iniziato ad amare pochi anni dopo hanno preso altre vie, sono stati venduti ad altre squadre. Ma come è possibile affezionarsi ad una persona e poi abbandonarla, venderla? No, il calcio professionistico, avevo capito, è profondamente ingiusto, fondamentalmente sbagliato.
In seguito sono entrato in una società sportiva parrocchiale. Toccavo con mano il
sudore in campo, le ansie, il senso di sconfitta o di vittoria, i preparativi e
la vita di tutti i giorni di un dilettante. Ma io non giocavo. Seguivo la
squadra, stavo ai bordi del campo, mi rendevo utile. Ho capito l’importanza di
tutto questo, insostituibile.
Ora distinguo
in modo pignolo il tifoso ed il praticante; il primo lo accetto solo se
segue la squadra ma resta nei limiti del buon senso, se non arriva ad atti di
violenza contro persone o cose. Ma lo accetto solo ad un’altra condizione, che
cioè il tifo calcistico non lo distragga dalla vita seria, dalla politica,
dalla società, dai grandi e più incisivi temi che ci toccano. Se vedo che un
tifoso passa il tempo al bar giocando con le slot o leggendo solo quotidiani
sportivi ed organizzando scommesse legate alle partite, oltretutto sparlando
delle donne o lanciandosi in sequenze di luoghi comuni su ogni tema mi vengono
forti sospetti di inadeguatezza della sua persona.
Il
calcio professionistico è funzionale al potere politico, distoglie, distrae, fa
perdere tempo. Questo non lo accetterò mai. È il peggior servizio che può fare
al Paese. Di contro, in alcuni momenti, unifica, ci fa sentire italiani,
nazione insomma, ma sempre in modo populistico, anche se a
tifare è un grande, come il compianto Pertini, che un pò populista in questo lo era, inutile negarlo, malgrado la sua indiscutibile grandezza e coerenza umana.
In
tutto questo io ignoro volutamente il doping, che interessa maggiormente altri
sport, o la disonestà di calciatori che vendono partite, o i compensi
inaccettabili dei campioni, e tanto altro. Del resto so benissimo che non
esiste uno sport ideale, neppure a livello olimpico. Ma qui mi fermo. Viva
lo sport praticato dai ragazzi e dai giovani, occasione di amicizia,
competizione corretta e vita sana.
Silvano
C.©
( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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