Eleonora Pazzi usciva di
rado, con abiti austeri ma sempre molto eleganti, e, alla moda del tempo, usava
cappellini con veletta che nascondevano le fattezze del suo volto ai più. La
domenica andava alla messa che si teneva alle sette nella non lontana Santa
Maria in Vado, accompagnata da una fantesca, ed era la sua maggior concessione
alla vita pubblica del quartiere.
Il Collegio per Ragazze
Orfane di Formignana, tenuto da madri di un ordine vicino alle Carmelitane,
proteggeva una ventina circa di sfortunate, dai 12 ai 20 anni, che vi erano
mantenute anche grazie alla generosità di alcuni benefattori, certi noti, come
il Conte Venturini, ma per la maggioranza anonimi.
In Via della Concia, al
numero 9, ogni mercoledì sera, per chi avesse fatto attenzione ai movimenti dei
passanti ed agli ingressi furtivi, avrebbe notato che uomini ben vestiti e
quasi sempre diversi, soli, entravano velocemente per la piccola porticina che
si apriva subito a discreti colpi sul suo legno.
Dentro, a ricevere nell'ombra il
visitatore, un omaccione corpulento, il viso segnato da una cicatrice,
sorridente ed ossequioso, ma per nulla tranquillizzante. Dava la netta impressione di
esser capace di memar la mani e di non aver paura di nulla.
La casa accoglieva incontri
clandestini, si è già capito, ma un mistero fitto la circondava, ed era necessario appartenere ad un segreto e ristretto gruppo di persone per sapere quanto occorreva per esservi introdotti.
Nella piazzetta di lato a
San Domenico in quegli ultimi mesi si notò stazionare una elegante vettura per
l’intera notte tra il mercoledì e il giovedì. Al volante un impeccabile
chauffeur, del tutto indifferente ai pochi curiosi che talvolta si
avvicinavano.
A Formignana, nel Collegio,
si conduceva una vita semplice, non da clausura ma sicuramente poco aperta al
mondo. Le ragazze si istruivano, molto più di quanto normalmente si attendesse
da giovani donne in quel periodo. Venivano seguite con amore dalle madri,
educate alle arti della casa e della vita, nel rispetto della tradizione
religiosa ma senza imposizione a quelle che dimostravano minor calore in tali
pratiche. A tutte si cercava di dare un'occasione seria e controllata di
inserimento nella società, trovando loro, in altre parole, un marito. In tutto
questo non mirando tanto al censo o alla posizione, quanto piuttosto alla
serietà della persona. E quasi tutte coloro che uscivano dal Collegio trovavano
una loro via ben meno miserabile di quella che le avrebbe attese se abbandonate, da
piccole, al loro destino.
Nella casa di via della
Concia c’era una stanza segreta, una stanza blu, con drappi alle pareti di quel
colore, con specchi e luci sapienti. V’era anche un falso specchio, che
permetteva, ad un osservatore che avesse voluto rimanere segreto, di vedere quanto
avveniva nella stanza. E a volte il visitatore effettivamente restava nell'ombra, seguendo così
tale sua inclinazione di rimanere semplice spettatore.
Altre volte si palesava, in
un secondo tempo. Oppure l’ospite, su sua richiesta, veniva immediatamente introdotto nella stanza
blu e lì raggiunto, o atteso, dalla bella Claudina.
Una vettura viaggiava per
tutto il giorno per le strade insicure della Lombardia e dell’Emilia per
portare a Ferrara da Milano un aristocratico signore, poco più che trentenne,
discendente di una antichissima e ricchissima famiglia di origini francesi.
Stazionava una notte in città, ed il giorno dopo ripartiva, per il viaggio di
ritorno.
Una bambina aveva subito
violenza da parte di una persona che avrebbe dobuto proteggerla, uno zio. Il padre aveva sorpreso il fratello, l’aveva ucciso, ma ne
era stato a sua volta ferito a morte. La madre non aveva retto al dolore ed
alla vergogna, ed era morta a sua volta in pochi mesi di crepacuore. Il nonno materno,
vedovo, aveva allora mandato la piccola in un Collegio del quale aveva avuto
informazioni molto positive, rinunciando, per amore della giovanissima nipote ad educarla di persona per allontanarla dall’ambiente che avrebbe potuto farle
ricordare il suo passato. Aveva poi amministrato con sapienza i beni che sarebbero andati a lei, raggiunta
la maggiore età. Costei, infatti, al
compimento dei 20 anni si trovò ricca e indipendente, sola al mondo (il nonno
nel frattempo era passato a miglior vita), con un legame fortissimo di
gratitudine con le madri che l’avevano accolta e fatta crescere, facendole
quasi dimenticare le ragioni che l’avevano condotta da loro.
Claudina a volte si
presentava completamente nuda, altre volte invece si denudava lentamente
lasciandosi ammirare come più faceva piacere al suo ospite. Acconsentiva senza
riserve ai desideri anche più strani, facendo intuire in questo suo fare non
semplice condiscendenza, ma una vera partecipazione. Non fingeva, Claudina, ma
provava gioia e partecipazione anche nella depravazione apparentemente più squallida.
Talvolta semplicemente
danzava, offrendo il suo corpo senza veli allo sguardo dell’uomo che ospitava per quella notte. Altre volte
si concedeva come una modella per un artista del colore, e le pose più lascive erano
quelle che meno sembravano porle pensieri.
Accettava anche di essere toccata, senza far mistero del piacere che
questo le procurava, e, ovviamente, offriva il suo corpo per ogni rapporto
intimo, senza negare nulla.
La casa di via della Concia,
quella dove si trovava la stanza blu, aveva una via di accesso segreta, che
partiva da un androne anonimo posto quasi di fronte a Palazzo Bentivoglio e
passava per un cortile interno e stretti corridoi. Attraverso quella via
giungeva o ripartiva la giovane che si faceva chiamare Claudina, in ore sempre diverse, e
conservando sino alla fine il mistero sulla sua vera identità.
Il giovane Andrea aveva
saputo di quella donna in modo curioso, dalla confidenza di un suo ex compagno
di studi, che l’aveva descritta bellissima e prima di ogni tipo di pudore.
Aveva insistito per avere
particolari, aveva ottenuto non senza fatica indicazioni precise, ed era
riuscito a fissare un incontro, al quale si era recato con un lungo viaggio,
senza dir nulla delle sue intenzioni ai suoi genitori.
In fondo a via Sant’Andrea
la bella Eleonora Pazzi viveva ormai da circa 10 anni, e nessuno dei vicini
aveva avuto confidenza, pur trattando lei con cortesia ogni persona che
incontrava. Il cortile interno della casa a due piani del resto le consentiva
di vivere all’aperto, quando la stagione lo permetteva, ma sempre in modo molto
riservato. Nessuno avrebbe potuto dire se lei fosse in casa o meno, visto che
non era solita ricevere visite e considerato, cosa ben più importante, che pure
quella casa aveva un ingresso secondario. Non proprio segreto, certo, ma
sicuramente fuori dalla vista di molti, in una rientranza di via Scandiana.
Alcuni avvenimenti senza
legame apparente si succedettero dopo circa 10 anni di permanenza di Eleonora a
Ferrara:
La bella Pazzi abbandonò la
sua casa di via Sant’Andrea con tutta la servitù, senza lasciare alcuna traccia dietro di sè. Nessuno seppe mai quale fosse divenuta la sua nuova dimora.
Andrea De Bois, a Milano,
sposò nella piccola chiesa di Santa Maria della Consolazione la bellissima Isotta
Gualtieri, alla presenza della famiglia di lui, di pochi altri invitati ed
amici intimi.
Al Collegio di Formignana arrivò un documento notarile che
trasferiva a quella benefica Istituzione la proprietà di due immobili situati nel
vicino capoluogo ed una notevole somma depositata nella locale Cassa di Risparmio.
Nessuno riuscì più a vedere o ad avere notizie della misteriosa Claudina, che all'improvviso sparì per sempre da Ferrara.
Un corpulento portiere, col viso segnato da una vistosa cicatrice e dall'aspetto poco raccomandabile, prese
servizio da un giorno all'altro a palazzo De Bois.
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte. Grazie)
Ciò che risalta di più per mia comprensione in questo lavoro è,l'affinità di questo tema con altre storie che si somigliano fra di loro ma si svolgono in contesti molto diversi e geograficamente distanti assai.Cosa voglio dire:dico che anche dalle mie parti in un passato non molto lontano si raccontava di "case"e di frequentazioni che venivano "coperte"dalla discrezione,molte volte complice o quanto mai reticenti.Non vado oltre,perché quello che vorrei dire non riguarda il racconto in se ma un'altra considerazione che faccio non senza difficoltà.Vedo con grande piacere la mole di notizie,racconti,foto e quant'altro riesci a mettere a disposizione di tutti.Ma un pensiero mi rimugina in testa e lo voglio confessare.Io credo che l'Uomo abbia estremo bisogno di ricordare per se stesso e per gli altri.Una vita senza ricordi è una vita senza passione,scialba: la persona che la "vive"non ha vera cognizione del tempo che ha vissuto,immemore del suo passato,appiattito nel presente,timoroso del tempo che verrà.Io diceva Gesualdo Bufalino(ritengo che nessuno senza memoria possa scrivere un libro,che l'uomo sia nessuno senza memoria).Sono della stessa opinione.Se avrò la possibilità se mi sarà concessa,tornerò a parlarne.Quello che mi preme di più è che tu (scusa il tu) sappia che ti seguo con interesse e partecipazione. mazzeoli@eliodoro948
RispondiEliminagrazie Eliodoro. certo che questa ricorda altre storie che si somigliano, io scrivo non solo sulla mia memoria,ma anche sulla memoria di quello che ho letto, cioè di altri autori molto più importanti e noti di me.ci ho aggiunto un pò di mia fantasia e di visione del mondo,e di amore per le donne e per Ferrara. per il resto il tu è perfetto...Silvano C.
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