lunedì 27 marzo 2017

Il baratro

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La sensazione è quella di vivere in una specie di bolla senza tempo, fuori anche dallo spazio. Le persone vengono avvertite come filtrate, attutite, deformate da trasposizione e immaginazione, oltre che da preconcetti e pregiudizi. Si avverte in lontananza il rumore come di una cascata di enorme potenza che è bene lasciare a debita distanza per non essere attirati nello spostamento d’aria che genera. Prima di tutto per non farsi trascinare nella sua folle corsa verso il basso, verso le rocce del fondo, e poi per evitare anche gli spruzzi, o l’acqua nebulizzata, capace di infettare come un batterio aerobico tutto ciò che incontra attraversando l’aria.

Dentro c’è sicurezza, tutto continua come prima, si opera la negazione del reale e la reazione obbligata è la fuga dalle persone, almeno in certi momenti della giornata. Il dialogo impossibile continua come se fosse naturale, il tempo passa ma lo si ignora e si vuol tornare alla situazione precedente. Ogni fase che si attraversa del difficile cammino sull’orlo del baratro si avverte come una liberazione e anche come una minaccia. Liberazione dal dolore ma contemporanea minaccia di perdere in modo definitivo un legame che si vuole mantenere, fissato, inalterabile ed inalienabile, trasformato in monumento.

Ogni reazione ha suoi tempi fisiologici e patologici. Il baratro è oggettivo. Caderci è soggettivo. Capire se si sta cadendo o se semplicemente si sta camminando sul bordo, al suo limite, perché così è naturale che avvenga, è dato alla sensibilità di ognuno. Forse qualcuno nasce con un bagaglio di difese innate e si allontana dal pericolo senza bisogni particolari mentre altri necessitano di stimoli esterni. Impossibile dare regole, come già ho scritto sul tema, siamo nel caso della più completa individualizzazione delle risposte possibili.

Certo che dover ammettere la necessità di un nuovo progetto e buttare al macero anni di preparazione per qualche cosa che non avverrà più non è facile. Prima di tutto è ingiusto, perché occorre salvare tutto quanto è recuperabile ed è necessario mantenere il rispetto per chi ha condiviso il progetto. E poi è difficile. Fa uscire allo scoperto dopo che ci si era costruito un comodo rifugio, ed esattamente mentre è scoppiato un temporale fortissimo.

Nel gorgo che si genera in una vasca piena d’acqua quando si toglie il tappo sul fondo nulla sfugge di quello che è imprigionato nel liquido o vi galleggia sopra. Solo alzandosi sopra la sua superficie non si è raggiunti dalla forza del gorgo e si può osservare a distanza la rovina senza esserne toccati. La rovina è visibile, percepibile, intuibile, ma rimane sotto, sotto controllo. È un equilibrio spesso precario e da ripristinare appena ci si sbilancia, o da correggere appena si avverte maggior forza dentro di noi.

E da dove viene la forza che ci potrebbe salvare allora? Io una mezza idea me la sto facendo.

                                                                             Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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