Basta
così poco per rompere un equilibrio, per far pendere il piatto della bilancia
da un lato o dall’altro. Gli strumenti più sensibili, un tempo quelli di orafi
e farmacisti, oggi quelli elettronici digitali, quasi alla portata di tutti,
sanno registrare mutamenti minimi, e far così spostare la decisione finale anche
all’ultimo secondo. Questione di riflessi, di modo di pensare svelto, di
decisionismo, tanto caro ad alcuni.
Il
fatto è che la bilancia non ha troppi parametri da valutare per poter dare il
suo responso, e che ha a che fare con semplici misure quantitative. Nei rapporti
umani stabilire il punto esatto nel quale un equilibrio si rompe è quantomeno
illusorio, o soggettivo. A volte se ad essere coinvolte sono solo due persone
capita pure che uno dei due abbia raggiunto quel punto, e l’altro ancora no. Che
complicazione i sentimenti, che illusione i sogni, che perdita di tempo i
progetti di vita quando tutti sappiamo che basta un nulla per mandare al
naufragio la nave più grande e potente. Il re Gustavo II Adolfo di Svezia ne ebbe la prova, ma non so
che lezione seppe trarne, e come curò il suo orgoglio ferito.
Poi però la spinta a provare di nuovo è
dietro l’angolo, nascosta, che aspetta tempi migliori, lascia affondare un
sogno ma ne ha tanti altri pronti, a soffia poco a poco da sotto, muove verso l’alto
il piatto che vuole rendere meno importante, più leggero. Bara, ovviamente, e
ci inganna, ma lo fa da maestra, e ancora una volta la spunta. Quello che prima
era impossibile improvvisamente appare meno lontano, rientra tra le
alternative, è una nuova via che si potrebbe tentare.
Mi ha sempre affascinato il mare in tempesta,
osservato da riva, al sicuro. Non ho mai navigato sopra un oceano arrabbiato,
quindi ho osservato il mare solo da dietro la porta, anche se mi ci sono immerso
ed ho nuotato, al largo, sopra profondità che non potevo vedere. Un oceano in
tempesta deve essere incredibile per un terricolo, spaventoso, adatto solo a
chi ha vero coraggio. Eppure, sotto la sua superficie, sotto il livello della
sua massa coinvolta nel moto ondoso è calmo, tranquillo, indifferente a quanto
avviene in alto. Sotto la vita continua in una notte perenne, perché neppure la
luce del sole scende oltre un certo limite, e per orientarsi servono altri
sensi, che noi non abbiamo.
Mi lascio andare, in verticale, dopo aver
svuotato i polmoni ed essermi così appesantito. Tanto non devo respirare, non
mi serve per un po’. Se avessi le branchie sarebbe diverso, ma non le ho,
quindi mi devo accontentare di una breve immersione. Scendo e osservo attorno a
me, mentre i suoni diventano più lontani, filtrati dall’acqua, ma ugualmente
percepibili. Arrivo quasi subito sul fondo, sono pochi metri, e guardo verso l’alto.
La superficie di separazione sembra argento, o meglio, mercurio, e devo
aspettare per vederla un po’ più tranquilla. Resto seduto, e sono leggero,
incuriosito, parte temporanea di un mondo che non mi appartiene ma che mi
accoglie. Non penso a quello che vivrò dopo un anno, dopo dieci, o dopo tutti
quelli che sono passati, e l’assenza di tempo, assieme alla perdita della
gravità e dei soliti punti di riferimento rimane come in una fotografia, che
poi, tanto tempo dopo, sfogliando il mio album dei ricordi, ritroverò. Allora la
bilancia aveva una lancetta che indicava chiaramente una direzione, eppure non
ne avevo coscienza, e pensavo che ogni cosa sarebbe stata possibile, anche che il
Vasa avrebbe potuto navigare sicuro e che io sarei diventato…
Silvano C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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