Permetta
che mi presenti, mi chiamo Bonanno, sono il ragionier Ermete Bonanno. Dovrei dire che ero ragioniere, ma cosa vuole, ancora mi chiamano così, ed io mi sono adeguato. Mai cognome
venne più a proposito, vero? Ed è pure la sera giusta per raccontarle quello che
mi capitò ormai più di due decadi orsono, quando ancora lavoravo come contabile
per la premiata ditta di installatori termoidraulici F.E.I.R. (Ferrioli, Enci,
Iazzetta e Romagnosi).
Era
la sera del 31 dicembre 1991, e dovevo chiudere i conti per poi andare a casa e
festeggiare l’arrivo del 1992 con la mia famiglia ed una coppia di amici,
finalmente, dopo una giornata intera trascorsa in quel piccolo ufficio per
trascrivere spese, entrate, registrare scontrini e mettere ordine nel caos che
i quattro soci regolarmente riuscivano a creare. Erano ormai le otto di sera, e
tra Dare ed Avere mi ritrovavo la differenza inaccettabile di 1000 Lire. Era ormai la terza volta che rifacevo
calcoli, e non riuscivo a venirne a capo. Passò in ufficio Emanuele, o meglio,
il signor Iazzetta, e mi chiese come mai stavo ancora là. Quando gli spiegai il
problema lui aprì il portafogli e mi diede una banconota da 1000 Lire dicendomi
di metterla nella colonna giusta e di andare a casa. Sorrisi, ringraziai e non
replicai. Sarebbe stato fiato sprecato, non avrebbe capito. Lo salutai e gli dissi
(sapevo di mentire) che avrei comunque finito in pochi minuti, e gli augurai
buon anno.
Quando
lui uscì ed anche la sua auto, una grossa Audi, si fu allontanata dal cortile,
finalmente tornò il silenzio, e potei concentrarmi nei miei conteggi, deciso a
venirne a capo. Stavolta, in quasi 50 minuti, riuscii a trovare l’errore, lo
corressi e cominciai a mettere in ordine le altre cose dell’ufficio, chiusi i
libri contabili e tutta la documentazione nell’armadio metallico e mi sedetti
qualche minuto, guardandomi attorno. Quello era l’ultimo ultimo dell’anno alla
F.E.I.R, sarei andato in pensione nell’aprile ’92, e mi venne da ricordare i
tanti anni trascorsi in quel posto, come se già fossi arrivato all’ultimo
giorno. Difficile controllare i bilanci nella
mente quando scattano alla traditora, e ti obbligano a tirare le somme della partita
doppia della vita. Si chiudeva un ciclo, lo sapevo. Mia figlia stava per
sposarsi e si sarebbe trasferita in una città del Piemonte dove abitava il
futuro marito e dove, assieme, avrebbero gestito un negozio all’ingrosso di
giocattoli. Lo avevo visto quel negozio, una sola volta, e mi era sembrato
bello e ben avviato. Ero felice perché sarebbe piaciuto pure a me un lavoro
simile, tutto il giorno fra trenini e pistole giocattolo, bambole e
costruzioni, modellini di auto e scatole di Lego. E poi
giochi anche di grandi dimensioni, come automobiline a pedali ed elettriche,
tende da indiani, tricicli e barche telecomandate. Ma non avrei più avuto
vicino la mia Laura, e 350 e passa chilometri erano tanti per pensare di
poterla vedere spesso. Quelle erano le ultime feste trascorse con lei.
Non
riuscii a trattenere le lacrime, mi creda. Non è vero che gli uomini non piangono,
è una vera stupidaggine, io iniziai a piangere e non fui capace di smettere. Mi
costrinsi ad alzarmi, ad andare in bagno a lavarmi il viso e poi ad uscire e a chiudere
tutto, dopo aver inserito l’allarme. Allora avevo una vecchia Uno a metano,
rossa, con i tappettini che ancora facevano odore di nuovo dopo 9 anni che li
avevo messi. Misteri degli accessori auto. Fuori, al freddo pungente, con una
nebbia che stava scendendo e sembrava intenzionata a rimanere sino all’anno
nuovo, mi ripresi. Salii in auto, accesi il motore con un po’ di fatica e uscii
dal cortile del piccolo capannone. Di nuovo mi fermai, chiusi il cancello, e
finalmente mi diressi verso casa. Mi stavano aspettando, allora non avevo il
telefonino, e avevo avvisato che sarei arrivato un po’ in ritardo dal telefono
dell’ufficio, ma questo ormai più di mezz’ora prima.
Viaggiai
piano, le strade forse erano gelate, e mi guardai le case illuminate, le luci
intermittenti e gli alberi di natale pieni di colori che, nella notte,
adornavano i giardini di molte delle villette del quartiere. Quando arrivai a
casa nostra diedi un piccolo colpo col clacson, per avvisare che ormai stavo
per mettere l’auto nel garage e in pochi minuti sarei entrato dalla porta d’ingresso.
Per fortuna riuscii a nascondere che avevo pianto, non era il caso di rovinare
la serata, era la notte di capodanno, e bisognava essere allegri.
Come
dice? Perché le ho raccontato queste cose senza importanza? Che vuole che le
dica, signore? Lei forse ha ragione a giudicare senza valore questi piccoli
fatti, eppure, mi creda, la nostra vita, quelle delle persone come me e come
lei, è fatta di queste cose, di queste nostalgie, di questi dolori e anche di
alcune gioie. Ora ho due nipotini, a casa, che mi aspettano, e quindi la
saluto, augurandole buon anno. Anche lei ha un nipotino? Allora mi può capire,
lo so, e mi perdoni se l’ho disturbata. A volte mi piace raccontare le cose, ma
questo lo ha già capito, immagino. Buon anno, la saluto, e speriamo che sia
veramente un buon anno.
Silvano C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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