mercoledì 9 dicembre 2015

era decisamente irascibile




Era lì da ere geologiche, nato da lenti depositi a poca distanza da una foce sul fondo di un oceano ora prosciugato, o, per meglio dire, migrato. Poi spostato solo dai capricci tettonici, innalzato sopra la media delle terre emerse (troppa grazia…) protetto da alcuni strati un po’ più giovani, ed ora finalmente libero, all’aria fresca della notte, al sole del giorno, alle piogge estive ed alle nevi ed ai ghiacci dell’inverno.

A dire il vero lui stava bene, per fatti suoi, non era curioso del mondo, per nulla. Dormiva. Sentiva la pace dentro di sé, dopo un inizio incerto, indeciso se diventare quello che era o se disperdersi altrove. Non avrebbe voluto imparare a pensare, ma la disgrazia gli era successa, in modo inspiegabile, e che disgrazia. Ma non era meglio essere materia e basta, senza problemi, senza scelte, senza obblighi, senza dolori e speranze, o sogni? I sogni lo stavano distruggendo, poco a poco.

Non erano le gelate notturne ed il lento penetrare dell’acqua di giorno, non erano i pochi fulmini che si era preso, come se avesse scelto lui di stare su quella parete, e non erano neppure quei pazzi con corde e moschettoni che, ogni tanto, gli si arrampicavano sopra per fermarsi pochi metri più in altro, ché non avevano le ali, e lì dovevano fermarsi, per forza, quando non cadevano in basso. No. A distruggerlo erano i sogni.

Ma chi aveva inventato i sogni, perché quella maledizione, quei desideri camuffati da leggerezze, apparentemente ingenui, alla sua portata e tali da renderlo insoddisfatto di ogni cosa? Senza sogni lui sarebbe stato felice, senza sapere di esserlo, ovviamente, ma lo sarebbe stato. Ora invece sapeva di essere infelice ed incompleto, temporaneo e instabile, legato al tempo ed ai capricci del caso.

Dire che il suo umore stava scurendosi è solo una parte della verità. Provava una crescente insofferenza per tutto. Le nuvole gli facevano rabbia, libere di andare dove volevano (ma non pensava al vento). La valle gli faceva invidia, calma, verde, tranquilla, immersa nella pace (ma non sapeva nulla della valle). La pioggia e la neve erano più fortunate; cadevano scendevano, penetravano, evaporavano (ma perdevano la loro purezza, si sporcavano con la vita).

Era sempre più innervosito quando, circa 400 metri sotto di lui, costruirono una strada facendo tremare la sua montagna. Lo disturbarono a lungo, a volte anche di notte, quando di solito il silenzio era più facile da avvertire, e gli sembrava di poter tornare alle sue origini, protetto, dentro le altre rocce. Sempre più insofferente di tanta agitazione tentò di fare qualche cosa, ma questo a lui non era permesso, sembrava destinato ad altro, ma non sapeva ancora cosa.

Passarono decenni, e lui non poté nulla, solo sentire un rumore crescente durante le giornate estive prodotto da piccoli oggetti mobili che non riusciva a distinguere con precisione.
Poi, finalmente, ad un certo momento, avvertì che le cose erano mutate, che ora aveva la possibilità di realizzare la sua vendetta contro tutto. Ora era convinto che dipendeva solo da lui la scelta del momento. E pensò a lungo, programmò con attenzione, affinò tutti i sui sensi, e capì esattamente cosa fare e quando agire, senza incertezze.

Dario e Roberta, in moto, stavano scendendo lungo quella strada piena di curve e tornanti, ammirando il paesaggio dolomitico, felici di quella vacanza che si stava concludendo dopo aver rinsaldato il loro legame. Quel viaggio sarebbe stato il primo di tanti, solo il primo. All’improvviso una frana cadde a poca distanza davanti a loro, e solo la fortuna permise a Dario di non farsi travolgere in pieno, ma la ruota anteriore investì un grosso pezzo di roccia ed entrambi furono sbalzati a terra. La moto proseguì la corsa, e precipitò verso il basso, mentre loro due se la cavarono miracolosamente, distruggendo le tute da motociclista che li protessero nella lunga scivolata sull’asfalto.

La polizia che intervenne per i rilievi constatò che la loro velocità non era elevata, e solo grazie a quella si erano salvati dalla frana. Un agente poi disse loro che erano stati fortunati doppiamente, malgrado la perdita della moto. Oltre la curva l’asfalto era coperto da una grossa macchia di olio che li avrebbe certamente fatti scivolare senza possibilità di rallentare come avevano potuto fare con la frana. Quindi la roccia, cadendo, li aveva salvati.

E lei, la roccia, prima di perdere il senso di ogni cosa, aveva tentato di colpire chi la stava infastidendo da troppo tempo, vendicandosi in una sola volta di tutto quello che ormai non sopportava più.
Il destino tuttavia si era divertito con lei, ma senza cattiveria. Le aveva tolto la coscienza, e prima l’aveva fatta sentire per qualche secondo felice, permettendole di realizzare il suo desiderio più profondo. Lei così era sparita, in frantumi, e questo era ciò che voleva. 
E mentre lei otteneva questo aveva chiuso il cerchio di un disegno che le sfuggiva, e che forse non avrebbe mai potuto capire.


                                                                                                        Silvano C.©   

(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

Nessun commento:

Posta un commento

I commenti offensivi o spam saranno cancellati. Grazie della comprensione.

Post più popolari di sempre

Post più popolari nell'ultimo anno

Post più popolari nell'ultimo mese

Post più popolari nell'ultima settimana