L’inizio al quale mi riferisco è quello immediatamente
successivo allo scontro tra sogno e realtà, il vero inizio insomma.
Prima di tutto un’ammissione doverosa. Ora i
tempi sono mutati, non è più possibile ripercorrere il mio cammino seguendo i
miei passi, perché, nella sfortuna di aver dovuto lasciare il luogo dove ero
nato, ho avuto la fortuna di averlo potuto fare nel momento adatto della mia
vita, quando ancora non avevo legami particolari né figli. Anche ora si può
iniziare la carriera di insegnante, ma molto è diventato più macchinoso,
complicato, inutilmente burocratizzato.
Tolta questa riflessione, che è anche un
riconoscimento al valore di tanti insegnanti di oggi ingiustamente
sottovalutati e non riconosciuti a livello sociale, io ammetto candidamente
che, per molti anni, mi sono molto divertito.
Prima di tutto sono stato scaraventato da una
pianura amata e nebbiosa in un luogo certo freddo ma associato al concetto che
avevo di vacanza. Aprivo le finestre e vedevo le cime delle montagne, a volte
bianche di neve. Ho pagato con la solitudine per avere però esperienze uniche,
che dalla solitudine mi hanno fatto uscire, chiudendo un ciclo a mio vantaggio.
Ma non è stata questa la vera fortuna, e neppure il vero divertimento.
Io mi riferisco alla possibilità che ho avuto di
seguire, entro alcuni limiti abbastanza rigidi e formali, esattamente la mia libertà.
Ho potuto sperimentare, nel vero senso della parola, cosa significa il contatto
con ragazzi nel momento della loro crescita, a volte rivivendo quanto io avevo
vissuto alcuni anni prima, trovando ogni volta un canale per il dialogo.
Il mio compito ufficiale era di insegnare,
quello reale di imparare. Alla fine i due ruoli hanno finito per fondersi,
senza che neppure me ne rendessi conto, e sono divenuti un modo di vivere. Innanzitutto
io per primo, cioè prima ancora dei ragazzi, apprezzavo i momenti di vacanza, quando
la burocrazia e le riunioni non erano tanti assillanti come verso la fine, e
potevo dedicarmi a scoprire il territorio, sciare, portare amici in visita a
cascate o luoghi famosi.
Poi la possibilità di provare modi personali,
sperimentare mezzi come gli ultimi ciclostile e le prime fotocopiatrici, e
vedere l’informatica entrare prima timidamente e poi con forza in tutti gli
aspetti del mestiere. Ho visto anche alcuni degli ultimi musei storicamente
organizzati in modo tassonomico, oramai estinti, con mio grande dolore. Quello che
frequentai più a lungo fu il Museo di Storia Naturale di Verona, che allora
aveva sale mitiche, ai miei occhi.
E la possibilità di provare con le classi
esperienze ora impossibili per vari motivi (non ultima la necessaria sicurezza),
come la dissezione di un coniglio, ad esempio, o la produzione di acido
solfidrico, il tentativo di produrre sapone e la sperimentazione grazie ad
oggetti poveri e di uso comune. Evito di scendere volutamente nei particolari,
eppure ricordo ogni cosa, e mi viene ancora da sorridere.
Ecco, aggiungo solo che insegnare non è mai
stata una missione, per me, è rimasta sempre e soltanto un divertimento, almeno
sino agli ultimi quattro o cinque anni. In quel senso sono sicuro di essermi
realizzato nell’ottica di Jaan Tallinn.
Silvano C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
''e mi viene ancora da ridere''....penso che sia la frase migliore da dire, raccontando una parte della propria vita, in particolare quella parte che riguarda proprio il lavoro, quel lavoro che tu hai svolto e che è uno dei più belli, dare quello che si ha del proprio sapere.
RispondiElimina''mi vien proprio da ridere'' ...penso sia anche il modo più intelligente di superare quella parte che sicuramente non è stata divertente, e che probabile non veniva proprio dalla gioventù dei ragazzi.
a volte penso che non si dica mai un ''grazie'' sufficiente a chi ci ha insegnato...quindi Grazie Profe...:-)
non posso che sorridere...è la sola risposta, ora...
Elimina