Quando
nacque, ultimo di 10 fratelli, senza nulla da mangiare, nulla per vestire, non
un letto per dormire e nessuno tra genitori, nonni, zii e fratelli disposto a
tenere in famiglia una bocca da sfamare in più, fu venduto subito, ancor prima
di succhiare il primo latte, ad un villano che passava per strada col suo
somaro, in cambio di dodici uova. Fu venduto senza nome, per toglierselo di
torno; le dodici uova un prezzo giusto.
Il
villano, rozzo quanto basta, ma per nulla stupido, lo portò alla moglie,
ignorante come poche ma generosa e dotata di atavica furbizia. Lei appena lo
vide e l’ebbe preso in braccio se ne innamorò, disse al marito che aveva fatto
bene, e che Ottavino sarebbe cresciuto assieme a Settimo, il loro figlio più
piccolo, di un solo anno. Ed avrebbe portato bene alla loro famiglia. Ad
esempio le aveva già evitato una faticosa gravidanza, perché un altro figlio
maschio lo desiderava, ed ora se lo trovava sfornato di fresco come un buon
pane dal forno. Per il latte, che lei non aveva più da molti mesi, sarebbe
bastata Erminia, la loro testarda capra, che in questo genere di faccende
solitamente usava più il sentimento delle corna.
È
così, dopo la sfortuna di esser nato in una famiglia che non lo voleva, ebbe la
fortuna di trovare due onesti genitori, sette fratelli, una capra ed una grande
stanza dove tutti dormivano assieme. Anche la capra.
Piero,
il somaro, preferiva la stalla, che a sua volta condivideva con un provvisorio
maiale, molte galline, qualche faraona, un paio di tacchini maschi e un numero
imprecisato di conigli ed altri animali in ordine sparso.
Piero,
il più saggio di tutta la famiglia allargata, cercava di non dare confidenza al
povero maiale, non voleva affezionarsi. Ne aveva visti troppi passare. Con le
galline non c’era dialogo e con le faraone ancora peggio. A volte queste ultime
erano convinte di saper volare, si alzavano in aria all’improvviso, giravano
attorno all’aia e poi andavano a sbattere contro il muro della stalla. Ogni
volta una di loro non si rialzava più, rimaneva stecchita a terra, e il villano
non doveva neppure far la fatica di rincorrerle per trovare l’invitata a pranzo
la domenica sulla loro tavola.
Toldo
e Taldo, i tacchini, non facevano che litigare tra loro, ed i conigli, di tutte
le tonalità di grigio e marrone possibili, non davano confidenza a nessuno.
Erano in tanti e discutevano solo tra loro. Le loro parentele non erano note.
Dimenticato nessuno? Uno, a dire il vero: Astraco, il
gallo. Ma lui era un gallo particolare, refrattario alle convenzioni. Odiava le
levatacce e non andava a letto con le galline. Non in quel senso, dovete
capirmi, ma in quell’altro. In conseguenza di questo non cantava mai all’alba,
e nessuno ne sentiva la necessità. Gli animali si sapevano benissimo regolare
per conto loro senza un rompiscatole a dar fastidio, ed il villano possedeva un
ottimo orologio sveglia a molla che caricava invariabilmente ogni sera e che teneva
compagnia a lui, alla moglie ed a tutti gli altri, la notte, col suo tranquillizzante
ticchettio amplificato dal comò sul quale se ne stava appoggiato.
Quattro anni dopo la sua nascita Ottavino
neppure sapeva di non essere fratello e figlio in quella famiglia di
lavoratori, era uno di loro, e veniva trattato come tale. Il primo incarico che
si era preso era quello di seguire il pollaio, ed era diventato il solo, tra
tutti, in grado di comunicare con Astraco. Per lui era Ataco, ma il gallo non
ci faceva caso. Durante i lunghi pomeriggi d’estate trascorrevano ore assieme (A dirsi cosa forse poi ve lo spiego).
La notte del suo quarto compleanno avvenne un
fatto grave nella piccola fattoria. Per non si sa quale motivo una brace nel
camino non si era spenta completamente. Il fuoco era ripreso e, per colmo di
sfortuna, un tizzone scoppiettante aveva appiccato il fuoco ad una sedia
impagliata a poca distanza. Il fumo però, prima del vero e proprio fuoco, aveva
messo in allarme Astraco, che notoriamente seguiva orari non convenzionali per
riposare, e così il gallo aveva iniziato a cantare con tutto il fiato che aveva
in corpo, aveva svegliato tutti e il fuoco, non senza una certa fatica, era
stato spento. Erano andate distrutte poche cose, in cucina, e tutte le pareti
erano annerite, ma nessuno si era fatto male e la casa non aveva avuto altri
danni.
Ottavino il giorno successivo rimase ore a
farsi raccontare dal gallo cosa era successo, mentre tutta la famiglia
rimetteva a posto la cucina e riparava i danni. Stava sotto ad un fico
con Astraco quando vide passare sulla stradina accanto alla loro casa alcune persone. Erano
i suoi genitori veri, con un paio di suoi fratelli, che lui ovviamente non
riconobbe, e che in ogni caso incontrò per l’ultima volta nella sua vita. Il destino,
sempre strano e sorprendente, aveva portato alla rovina quelli che non lo
avevano voluto sfamare quando era nato, ed ora se ne stavano andando da quelle
terre abbandonando quello che loro restava.
La sua nuova famiglia invece, sistemando la
cucina annerita, aveva trovato con molto stupore, sotto una mattonella del
pavimento, un piccolo sacchettino di monete, di origine assolutamente ignote.
Non era certamente un tesoro, ma una somma
sufficiente a portare migliorie alla casa ed alla stalla, dopo aver riparato i
danni. Inoltre capitava a proposito per dare una buona dote a due sorelle di
Ottavino che erano prossime a nozze.
Astraco, in fondo, sapeva che non sono le
grandi fortune a far la differenza, ma quelle giuste al momento giusto. Ed era
assolutamente convinto che non è necessario cantare all’alba ogni giorno, ma
solo quando serve sul serio, ed è esattamente questo che andava raccontando ad Ottavino quando si
ritrovavano nei pomeriggi estivi.
Silvano C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte,
grazie)
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