Quanto
dolore inutile, incomprensioni, egoismi, chiusure, dispetti e vere e proprie
violenze, anche se non fisiche.
Io
non so, dopo anni, tantissimi anni, se abbia un senso riflettere su
comportamenti che si sono tenuti addirittura durante l’adolescenza o nei primi
momenti di età adulta. Io uso questo spazio per riflettere, a volte, e a me
serve, non poco. Mi rivedo tornare indietro, costretto dalla macchina del tempo
a ripetere quelle azioni, a ridire quelle parole o a risentirne altre, a
pensare le identiche cose. E non posso modificare nulla, in alcun modo. Non posso
chiedere scusa neppure di un grave torto, che ora scopro aver commesso. Non serve dire che alcune cose le capisco solo ora, perché così implicitamente
ammetto che quando sarebbe stato il momento io pensavo solo al mio ombelico,
non agli altri, a chi mi stava attorno.
Neppure
le viltà e le cattiverie altrui sono una giustificazione, e ci sono state,
è chiaro, come le mie.
Ma
tu perché non ti siedi a tavola con noi a mangiare, invece di stare sempre in
cucina, cosa ti abbiamo fatto? Non appoggiare la testa sulla poltrona in quel
modo, si sporca tutta, metti sotto un asciugamano. In bagno l’hai fatta fuori. Neppure
quello sai far bene? Se non era per colpa tua noi qui non ci venivamo. Avremmo preso
un appartamento all’ultimo piano, senza quelli che ci camminano sopra la testa,
adesso, ed io ho mal di testa, non ce la faccio più. Tu inviti i tuoi amici ed
io devo andare a dormire sul divano. Ma perché intesti la casa a nostro figlio
e non a me, perché io no? Tu stattene nella tua stanza, non ti voglio più
vedere in cucina. Solo lui mi ha accettata, anche se poi dopo quella operazione
non ero più la stessa. Noi abbiamo lavorato, ci siamo massacrati di fatica, e i
tuoi cosa ti hanno dato, ti hanno fatto uscire di casa con le pezze al culo, e
basta. Perché mi avete fatto nascere? Io non l’ho chiesto. Io resto con loro,
so che è importante, e quando non ci saranno più saprò che loro hanno avuto
questi momenti. Andiamo tutti assieme a pranzo domenica, tu, tua moglie, lui e
la sua? Perché no? Noi ci siamo sacrificati, tuo padre quasi muore cadendo da
quella impalcatura. Non aver paura, anche tu troverai la tua strada, non star
male per questo. Tu ascolti solo i genitori degli altri, non noi. Solo gli
altri sanno fare le cose come si deve. Lui resta con noi, tu te ne sei andato. E
lui ha più bisogno di te. Perché non telefoni? Cosa ti abbiamo fatto? Non spostare
tutte le cose quando torni, questa è casa nostra, non casa tua. Non mangiare in
quel modo, dai fastidio, piantala! Passa tutto il tempo in giro, e noi lo
manteniamo, e per colpa sua ci siamo rovinati. Ecco, prendi questi soldi, credo
che ti aiuteranno. È giusto che siano tuoi. Sei un egoista, lo sei sempre
stato. Tu devi sparire, non ti voglio più vedere.
Che
dire adesso? Nulla, assolutamente nulla. Nulla a chiarimento di frasi scolpite
nella memoria, che andrebbero ricoperte almeno di umana pietà, ricondotte al
sentimento vero e sincero che ci stava dentro, malgrado l’apparenza dura. Ma qualcuno
ha sofferto per ognuna di quelle parole, a volte per anni, perché un po' se le
meritava, ma non sempre.
Invece
una cosa va detta. Tutte quelle parole non sono state inutili, sono state il
cemento di una famiglia, un cemento strano e malgrado questo resistente, nel
tempo.
Ed
ora molto si stempera, si diluisce, mostra che sotto la superficie c’era altro,
molto altro, che rimane, unito ad un tardivo senso di gratitudine, solo in
parte manifestato
Silvano C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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