Dalla nostra abbiamo una grande debolezza che
può diventare una grande forza. L’abitudine che ci fa seguire un metodo.
Noi mettiamo in campo varie forme di
apprendimento, importantissime nelle prime fasi della vita e che restano importanti
sino alla fine, seppure in maniera tristemente decrescente.
Fondamentale (E chiedo scusa della parentesi) è
però non confondere la forma di apprendimento con l’apprendimento stesso.
Quest’ultimo rimane essenziale, sino agli ultimi istanti, sino a quando cioè abbiamo
un futuro, più o meno lungo che sia.
Ritorno alla nostra debolezza, l’abitudine. Ne
abbiamo bisogno, è tranquillizzante, gratificante, insostituibile quando
diventa automatismo (Se mentre guido una persona mi attraversa la strada io devo
frenare senza prima dover decidere quale piede usare), ma pure una trappola
pericolosa.
Quando per qualche motivo ho in testa un’idea
sbagliata, costituita magari solo da una parola (le parole pesano, non sono
innocenti), e la uso in modo acritico, posso fare grossi danni. Ad esempio
posso danneggiare intere categorie di persone, posso fare scelte politiche
sbagliate, posso proseguire nell’errore e costruire un castello di emerite
idiozie (che mi sembrano tuttavia perfettamente logiche ed assolutamente
naturali). Divento cioè ottuso ed acritico, ammesso che sia in buona fede.
Un esempio? Eccone tre: puttana, finocchio e ciccione. Se
non capisci perché le cito lascia perdere, non intendo perdere tempo a
spiegartelo.
L’abitudine diventa un’arma pericolosa se usata
male, ma resta sempre un’arma, e le armi esistono da sempre, sin dai tempi del
primo sasso usato per rompere una noce, e solo dopo, credo, per rompere una
testa (di uomo o animale non so). Ecco quindi
dove entra in gioco l’abitudine, a proposito del metodo.
È esattamente quello che succede quando un
bambino viene educato, senza insistere mai troppo, a mangiare più verdura e
frutta al posto di altri alimenti. Se non ama il cavolo nulla di male, le
carote vanno benissimo, poi il cavolo lo scoprirà, oppure resterà per sempre un
suo rifiuto. Importante che si abitui e che gli piaccia pure quello che mangia.
Difficilmente da adulto perderà questa abitudine, a meno che non si trasferisca
tra gli Inuit.
Quindi l’abitudine ha una forza importante, ci
guida, ci aiuta a ripetere gesti vantaggiosi.
Quando ci rendiamo conto invece che un’abitudine
è sbagliata, dettata solo da bisogno di quieto vivere, spinte egoistiche,
semplice procedere su una via, o, ancora, sono altri che ce lo fanno capire,
magari con una lezione che ci ferisce, scatta il bisogno di scordarla quell’abitudine,
e di trovarne un’altra.
Se sono abituato a mangiare troppi dolci e mi
ammalo devo perdere quella pessima abitudine. Se offendo chi non conosco solo perché,
appunto, non lo conosco, devo cambiare. Se ho l’abitudine
di non pagare le tasse, è sperabile che mi si faccia capire che sbaglio.
Qualcuno sostiene che in 21 giorni, massimo 30,
siamo in grado di perdere molte delle nostre abitudini e riprogrammarci verso un nuovo comportamento. Nulla vieta, in
seguito, di ripensare a quanto è avvenuto, a quanto abbiamo deciso, ma è
importante non dare per scontato che una cosa che abbiamo sempre fatto in un
modo sia fattibile sempre e solo in quel modo.
Credo sia tutto un fatto di metodo, alla fine,
e per metodo suggerisco la definizione che riguarda il metodo scientifico,
intesa come ammissione della nostra inadeguatezza nel raggiungimento di una
verità assoluta.
Se noi rinunciamo a qualche abitudine sbagliata
perdiamo sicurezze inconsistenti per esporci costantemente al dubbio.
È questa l’unica certezza che offre il metodo,
e scusa se è poco.
e sopra i mari di quell'universo
mentre
pensava a se stesso pensante
in
mezzo a quel buio si sentì un po' perso.
(cit)
Silvano C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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