Abu è stanco, dopo quattro anni di lavoro con suo padre e la
sua famiglia nel piccolo negozietto etnico che gestiscono in periferia, in una
zona degradata, abbandonata da molti italiani o invasa da troppi stranieri, a
seconda dei punti di vista.
Anche quella mattina deve ripulire il marciapiedi davanti al
locale per i regali che ormai puntualmente lasciano i cani che sono addestrati
a defecare esattamente a pochi passi dalla loro porta. E se non sono le merde
sono le scritte sulla saracinesca o sulla vetrina, in una lingua sgrammaticata,
che li invita a tornarsene a casa loro.
Quella però non c’è più. Sono scappati, hanno lasciato quasi
tutto quanto avevano, anche un piccolo terreno pieno di alberi da frutto, per
ritrovarsi in un nuovo ed in parte inaspettato inferno. Suo padre prima li ha
portati via, per salvarli, ed ora vorrebbe riprodurre esattamente quel modello
sociale che fuggiva, magari meno integralista ma pur sempre oppressivo. Di
integrarsi non ci pensa per nulla.
Lui, avendo studiato in scuole italiane, ha capito cose che
il suo genitore non vuole o non può capire. E soffre nel vedere le sorelle, più
giovani, costrette ad una vita che non è troppo diversa da quella che conducono
le loro coetanee in patria, soggette ad un regime di ubbidienza che lui inizia
a rifiutare.
Quando sente della nuova retata della polizia che avrebbe
scoperto nel quartiere una centrale di spaccio si sente morire dentro. Sa che i
fermati, in poche ore, saranno ancora in libertà. E immagina pure che la rabbia
degli intolleranti prenderà nuova forza, che scriveranno frasi oscene sui
social media, che si ritroveranno nei loro bar a vomitare falsità mescolate
abilmente con dati oggettivi, a creare la paura nei confronti di chi, come lui,
vorrebbe solo lavorare, come tutte le persone oneste, senza cercare problemi o
imporre nulla a nessuno. Ma il lavoro non c’è, è questa la questione
dirompente. Ci sono persone che sino a pochi mesi prima avevano un impiego, in
quella piccola fabbrica o in quella bottega o in quell’ufficio, e che da un
giorno all’altro finiscono senza un sostegno per vivere. E poi c’è la moschea,
in quel capannone, della quale si parla poco, ma che tutti conoscono. Lui non è
credente, non gli interessa la religione, ma non può dirlo apertamente, al
massimo si può permettere di non andare con regolarità, per evitare di essere
emarginato anche dai suoi.
Quando dice in famiglia che intende lasciare il loro piccolo
negozietto e mettersi in cooperativa con un tunisino ed un italiano, per
iniziare un’attività indipendente di recupero e differenziazione di rifiuti
speciali sembra che il mondo crolli. Il padre urla. La madre e le sorelle si
nascondono a piangere. Viene accusato di essere un ingrato, un traditore, un
miscredente, un venduto. Non può abbandonare la comunità. Non deve farlo. La
vergogna dovrebbe fermarlo.
Ma lui non si ferma. Il negozio, che è aperto dalle dodici
alle quattordici ore ogni giorno, può benissimo andare avanti anche senza di
lui. Tutti gli altri ci lavorano. Anche se non sarebbe regolare gestire così
quel piccolo bazar il modo di non rispettare le norme si trova, se si vuole,
adattandosi alla furbizia dei nuovi ospiti. Lui non si sente in colpa,
cercandosi una vita indipendente. Ce la faranno benissimo anche senza di lui.
La nuova cooperativa affitta uno spazio commerciale, da
destinare ad ufficio e piccolo magazzino,
prima occupato da una latteria e da un retrobottega sovradimensionato,
chiusa da oltre un anno. Il canone è accettabile, perché il proprietario deve
accontentarsi, e dopo essere partito con grandi pretese è sceso a più miti
richieste. Ora la CRB, Cooperativa Riciclaggi Bandiera, dal cognome dell’unico
socio italiano che ci ha investito quasi tutto il capitale avuto dai genitori,
regolarmente registrata alla Camera di Commercio, può iniziare a cercare
clienti e diventare operativa.
I primi mesi sono duri: solo spese e nessun guadagno. Dopo,
grazie ad una conoscenza dello zio di Ennio Bandiera, ottengono in subappalto
la gestione di un giro di smaltimento di oli esausti alimentari con un discreto
numero di clienti. Le cose sembrano finalmente prendere la strada giusta. Abu,
Ennio ed Omar, col loro furgone, iniziano a macinare chilometri su chilometri,
perché la zona che devono coprire è enorme, ed anche a macchia di leopardo; la
concorrenza è agguerrita e il guadagno è minimo, quasi vicino allo zero, ma
almeno iniziano a non stare sul mercato in perdita.
Quando Abu torna dai suoi il padre quasi non lo saluta, la
madre lo accarezza in testa ma resta muta, e le sorelle tengono lo sguardo
basso, sempre più soggiogate dalla volontà paterna. Vorrebbe aiutarle, ma sa di
non essere ancora pronto a farlo, prima deve diventare economicamente autonomo, e spera di iniziare a risparmiare, pure per loro.
Qualche nuovo cliente intanto si aggiunge, lentamente,
poiché cominciano a farsi conoscere per la loro serietà ed i prezzi bassi.
Quando arrivano le bollette o le scadenze ora hanno meno paura. Ennio
ovviamente trattiene la parte maggiore dei magri guadagni, per rientrare
dell’investimento iniziale, ma anche Abu ed Omar vedono un po’ di Euro.
La concorrenza però, come prevedibile, non prende in modo
sportivo questi nuovi arrivati, e una ditta che appartiene alla persona
sbagliata ed alla quale rubano un cliente comincia a reagire. Una mattina, ad
esempio, il loro furgone si ritrova con due pneumatici forati.
Qualche giorno dopo arriva il controllo di un paio di agenti
della finanza, in divisa, che controlla registri e documentazione.
In seguito, durante il consueto viaggio settimanale per
raggiungere una zona abbastanza fuori mano, una pattuglia li ferma, e controlla
il loro mezzo. Il motore, è evidente, produce fumi non esattamente a norma, ed
il prelievo di un campione di carburante conferma, circa un mese dopo, che
mischiavano nel normale diesel anche una percentuale non proprio bassa di oli
che avrebbero dovuto riciclare secondo le norme.
È l’inizio della fine. Il mezzo viene sequestrato e
l’attività sospesa in attesa di ulteriori indagini. I tre si ritrovano con
accuse penali abbastanza gravi ed hanno bisogno di un avvocato, che però non
possono permettersi. Anche alcune bollette non vengono pagate, e il padrone dei
locali inizia a lamentarsi dell’affitto che non riceve.
Abu torna in famiglia, non ha alternative, e deve subire lo
sfogo del padre senza poter ribattere. Ha vinto lui, almeno per alcune ore.
La prima notte del suo rientro nella casa paterna due
persone, che fuggono subito dopo con una motoretta, spaccano con una sbarra la
parte della vetrina non protetta dalla saracinesca, e lanciano all’interno del
bazar un volantino nel quale li invitano gentilmente a smettere di vendere le
loro cianfrusaglie. Usano parole un po’ diverse, per essere precisi, ma il
senso è quello.
La comunità, in seguito al grave fatto, non è solidale con
la famiglia colpita, e questo perché il figlio maggiore non ha tenuto un
comportamento rispettoso.
Anche i clienti iniziano a calare, e nel giro di pochi mesi
tutta la famiglia è praticamente ridotta quasi sul lastrico, senza alcuna
prospettiva di poter migliorare la situazione, o tornare almeno alle condizioni
di un anno prima.
La sola prospettiva attuabile, prima di arrivare alla fine
di ogni residuo risparmio, è fuggire una seconda volta, per cercare un nuovo
paese disposto ad accettarli.
Silvano C.©
( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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