sabato 10 gennaio 2015

Oli esausti



Abu è stanco, dopo quattro anni di lavoro con suo padre e la sua famiglia nel piccolo negozietto etnico che gestiscono in periferia, in una zona degradata, abbandonata da molti italiani o invasa da troppi stranieri, a seconda dei punti di vista.
Anche quella mattina deve ripulire il marciapiedi davanti al locale per i regali che ormai puntualmente lasciano i cani che sono addestrati a defecare esattamente a pochi passi dalla loro porta. E se non sono le merde sono le scritte sulla saracinesca o sulla vetrina, in una lingua sgrammaticata, che li invita a tornarsene a casa loro.
Quella però non c’è più. Sono scappati, hanno lasciato quasi tutto quanto avevano, anche un piccolo terreno pieno di alberi da frutto, per ritrovarsi in un nuovo ed in parte inaspettato inferno. Suo padre prima li ha portati via, per salvarli, ed ora vorrebbe riprodurre esattamente quel modello sociale che fuggiva, magari meno integralista ma pur sempre oppressivo. Di integrarsi non ci pensa per nulla.
Lui, avendo studiato in scuole italiane, ha capito cose che il suo genitore non vuole o non può capire. E soffre nel vedere le sorelle, più giovani, costrette ad una vita che non è troppo diversa da quella che conducono le loro coetanee in patria, soggette ad un regime di ubbidienza che lui inizia a rifiutare.

Quando sente della nuova retata della polizia che avrebbe scoperto nel quartiere una centrale di spaccio si sente morire dentro. Sa che i fermati, in poche ore, saranno ancora in libertà. E immagina pure che la rabbia degli intolleranti prenderà nuova forza, che scriveranno frasi oscene sui social media, che si ritroveranno nei loro bar a vomitare falsità mescolate abilmente con dati oggettivi, a creare la paura nei confronti di chi, come lui, vorrebbe solo lavorare, come tutte le persone oneste, senza cercare problemi o imporre nulla a nessuno. Ma il lavoro non c’è, è questa la questione dirompente. Ci sono persone che sino a pochi mesi prima avevano un impiego, in quella piccola fabbrica o in quella bottega o in quell’ufficio, e che da un giorno all’altro finiscono senza un sostegno per vivere. E poi c’è la moschea, in quel capannone, della quale si parla poco, ma che tutti conoscono. Lui non è credente, non gli interessa la religione, ma non può dirlo apertamente, al massimo si può permettere di non andare con regolarità, per evitare di essere emarginato anche dai suoi.

Quando dice in famiglia che intende lasciare il loro piccolo negozietto e mettersi in cooperativa con un tunisino ed un italiano, per iniziare un’attività indipendente di recupero e differenziazione di rifiuti speciali sembra che il mondo crolli. Il padre urla. La madre e le sorelle si nascondono a piangere. Viene accusato di essere un ingrato, un traditore, un miscredente, un venduto. Non può abbandonare la comunità. Non deve farlo. La vergogna dovrebbe fermarlo.
Ma lui non si ferma. Il negozio, che è aperto dalle dodici alle quattordici ore ogni giorno, può benissimo andare avanti anche senza di lui. Tutti gli altri ci lavorano. Anche se non sarebbe regolare gestire così quel piccolo bazar il modo di non rispettare le norme si trova, se si vuole, adattandosi alla furbizia dei nuovi ospiti. Lui non si sente in colpa, cercandosi una vita indipendente. Ce la faranno benissimo anche senza di lui. 

La nuova cooperativa affitta uno spazio commerciale, da destinare ad ufficio e piccolo magazzino,  prima occupato da una latteria e da un retrobottega sovradimensionato, chiusa da oltre un anno. Il canone è accettabile, perché il proprietario deve accontentarsi, e dopo essere partito con grandi pretese è sceso a più miti richieste. Ora la CRB, Cooperativa Riciclaggi Bandiera, dal cognome dell’unico socio italiano che ci ha investito quasi tutto il capitale avuto dai genitori, regolarmente registrata alla Camera di Commercio, può iniziare a cercare clienti e diventare operativa.

I primi mesi sono duri: solo spese e nessun guadagno. Dopo, grazie ad una conoscenza dello zio di Ennio Bandiera, ottengono in subappalto la gestione di un giro di smaltimento di oli esausti alimentari con un discreto numero di clienti. Le cose sembrano finalmente prendere la strada giusta. Abu, Ennio ed Omar, col loro furgone, iniziano a macinare chilometri su chilometri, perché la zona che devono coprire è enorme, ed anche a macchia di leopardo; la concorrenza è agguerrita e il guadagno è minimo, quasi vicino allo zero, ma almeno iniziano a non stare sul mercato in perdita.

Quando Abu torna dai suoi il padre quasi non lo saluta, la madre lo accarezza in testa ma resta muta, e le sorelle tengono lo sguardo basso, sempre più soggiogate dalla volontà paterna. Vorrebbe aiutarle, ma sa di non essere ancora pronto a farlo, prima deve diventare economicamente autonomo, e spera di iniziare a risparmiare, pure per loro.

Qualche nuovo cliente intanto si aggiunge, lentamente, poiché cominciano a farsi conoscere per la loro serietà ed i prezzi bassi. Quando arrivano le bollette o le scadenze ora hanno meno paura. Ennio ovviamente trattiene la parte maggiore dei magri guadagni, per rientrare dell’investimento iniziale, ma anche Abu ed Omar vedono un po’ di Euro.
La concorrenza però, come prevedibile, non prende in modo sportivo questi nuovi arrivati, e una ditta che appartiene alla persona sbagliata ed alla quale rubano un cliente comincia a reagire. Una mattina, ad esempio, il loro furgone si ritrova con due pneumatici forati.
Qualche giorno dopo arriva il controllo di un paio di agenti della finanza, in divisa, che controlla registri e documentazione.
In seguito, durante il consueto viaggio settimanale per raggiungere una zona abbastanza fuori mano, una pattuglia li ferma, e controlla il loro mezzo. Il motore, è evidente, produce fumi non esattamente a norma, ed il prelievo di un campione di carburante conferma, circa un mese dopo, che mischiavano nel normale diesel anche una percentuale non proprio bassa di oli che avrebbero dovuto riciclare secondo le norme.

È l’inizio della fine. Il mezzo viene sequestrato e l’attività sospesa in attesa di ulteriori indagini. I tre si ritrovano con accuse penali abbastanza gravi ed hanno bisogno di un avvocato, che però non possono permettersi. Anche alcune bollette non vengono pagate, e il padrone dei locali inizia a lamentarsi dell’affitto che non riceve.

Abu torna in famiglia, non ha alternative, e deve subire lo sfogo del padre senza poter ribattere. Ha vinto lui, almeno per alcune ore.
La prima notte del suo rientro nella casa paterna due persone, che fuggono subito dopo con una motoretta, spaccano con una sbarra la parte della vetrina non protetta dalla saracinesca, e lanciano all’interno del bazar un volantino nel quale li invitano gentilmente a smettere di vendere le loro cianfrusaglie. Usano parole un po’ diverse, per essere precisi, ma il senso è quello.

La comunità, in seguito al grave fatto, non è solidale con la famiglia colpita, e questo perché il figlio maggiore non ha tenuto un comportamento rispettoso.
Anche i clienti iniziano a calare, e nel giro di pochi mesi tutta la famiglia è praticamente ridotta quasi sul lastrico, senza alcuna prospettiva di poter migliorare la situazione, o tornare almeno alle condizioni di un anno prima.
La sola prospettiva attuabile, prima di arrivare alla fine di ogni residuo risparmio, è fuggire una seconda volta, per cercare un nuovo paese disposto ad accettarli.
                                                                                           
                                                                                   Silvano C.©


( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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