mercoledì 2 novembre 2011

Non è colpa degli altri

A volte perdo tempo, mi capita spesso. Perdo tempo per cercare di capire cose che avrei dovuto capire prima, tanto sono evidenti. Eppure perdere tempo porta a volte a risultati insperati, ed è così che ho conosciuto casualmente persone interessanti.

Ho avuto un contatto su Facebook, un contatto tra i tanti, senza nulla di approfondito. Una persona positiva perché impegnata nell’emergenza, col 118, o almeno così ritenevo io. 
Poi mi è capitata una sua frase, non cercata, ma vista negli aggiornamenti, una frase contro la "democrazia di merda". Avrei dovuto capire, e lasciar perdere. Invece mi ci sono perso. Questa persona, poi supportata da un'altra sulla sua stessa lunghezza d’onda, ai miei dubbi sulla sua frase, ha cominciato ad inneggiare al ventennio, ha scritto che tutti ci inculano, che è meglio la dittatura perché almeno in quel caso c’è uno che si prende le responsabilità. Mi ha spiegato che non vota perché tanto sono tutti uguali, ed ha condito i pochi concetti espressi con ogni genere di parolaccia, mettendomi in stato di accusa come se io difendessi chi approfitta della nostra fiducia, come se votando a sinistra votassi per persone esattamente uguali a quelle di destra, perché secondo lui nessuno si salva.
Sulla sua bacheca, poi, per farmi capire meglio la persona, commenti su una squadra di calcio e link a stupidaggini e frasi fatte come se ne trovano a migliaia, in rete.

Poi ho perso un po’ di tempo in un gruppo con un contatto vicino al movimento radicale. Qui di tempo ne ho perso di meno perché ho visto impegno politico serio, ma mi sono trovato davanti ad un altro tipo di muro, e cioè alla pretesa di poter scegliere (secondo me in modo poco corretto e decisamente anarchico) la parte politica alla quale allearsi di volta in volta, per perseguire le sue finalità nobili ed importanti ma pur sempre limitate. Per questa persona la visione d'insieme non deve necessariamente portare ad una coalizione o ad una forza di governo, cosa che per me resta importante.

Nella mia ottica sostenere a volte si ed a volte no un governo non porta a nulla di positivo, perché rende instabile qualsiasi guida del paese. Ed una forza di governo deve cercare mediazioni e compromessi, solitamente rifugge dagli estremismi, cerca il dialogo ma detta una linea.  
Altrimenti deve cedere il passo, perché ha finito il suo ciclo storico. 

Oggi siamo in questa situazione tragica, che ci porta forse alla fine di sogni nei quali abbiamo creduto, alla fine di diritti acquisiti in lunghi anni, all’insicurezza, al fallimento del nostro modo di vivere. Se abbiamo questo governo attuale, un po’ di colpa è di tutti noi. Un po’ ce la siamo cercata, insomma.  Non è colpa della globalizzazione, non di una singola parte politica, non dell’Euro, non di Sarkozy e di Merkel, non di mille entità esterne che ci odiano. O almeno non solo, perchè la colpa è anche nostra, di chi vota questi governanti assurdi, di chi non vota perché non vuole sporcarsi, e di chi vota l’opposizione dura a pura senza chiedere ai propri eletti di fare sino in fondo tutto il possibile per cercare le soluzioni e non le liti continue dalle quali emergono solo i capipopolo alla ricerca di visibilità ad ogni costo. 
Mi riferisco in particolare ai partiti che hanno un solo uomo come simbolo, e cioè i partiti ed i movimenti dei vari Casini, Di Pietro, Vendola, Grillo, Berlusconi, Fini e così via. 
Quando sono singoli uomini che impersonano una idea, e non persone elette e scelte da un partito per portare avanti quell'idea, uomini intercambiabili ed amovibili - perché l’uomo può passare, ma non l’idea che fonda ed ispira un partito o un movimento - allora si arriva su un terreno pericoloso, che crea un eroe, un campione, un difensore della fede, un salvatore o un uomo del destino. E se succede questo non è colpa degli altri.
                                                                                             Silvano C.© 


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

sabato 22 ottobre 2011

La via da percorrere è difficile

Tentare il dialogo è sempre utile ma richiede doti di intelligenza, di pazienza, di possibilità di cambiare la propria visione delle cose (che pochi hanno, io spesso no) e la capacità di immedesimarsi nella posizione dell'altra o dell'altro, non tanto per cambiare idea, ma semplicemente per cercare di capire.   
Richiede inoltre una seria preparazione e conoscenza del tema in discussione, e qui sicuramente ho le lacune maggiori; non sono una donna, non potrò mai avere una conoscenza vissuta sulla mia pelle della condizione femminile, non sono un giovane di oggi, non sono un praticante cattolico, e non sono tante altre cose.
Condivido molte delle prese di posizione anche dure delle donne, come condizione necessaria per superare le chiusure ancora presenti nella nostra società, ma noto, purtroppo, una sempre maggior radicalizzazione delle posizioni. Le stesse donne che rifiutano le posizioni di altre ne sono una prova, ed io, come uomo, resto sempre stupito di questa realtà quasi incomprensibile. 
Condivido, credo, le ansie e la rabbia dei giovani, ma non arrivo ad immedesimarmi in alcuni comportamenti estremi.
Sento mie molte delle problematiche del mondo cattolico, ma non sono un osservante e non riesco ad accettare nessuna presa di posizione integralista, senza sfaccettature, quando si parla di temi delicati, che investono la sfera privata e le posizioni etiche.
Una divisione manichea del mondo non mi piace, almeno in fase di discussione, quando servirebbe capire ed approfondire ogni posizione, prima di rifiutare ogni contributo non perfettamente in linea con le proprie posizioni di fondo.
Provo a spiegarmi con un solo esempio.
Il tentativo di dialogo col mondo integralista cattolico, che vede nella IGV (interruzione volontaria della gravidanza) il male assoluto, che rifiuta per certi versi l’utilizzo persino degli anticoncezionali, mi appare infruttuoso.Come pure poco utile si è rivelato discutere con alcune donne che vedono come un loro diritto indiscutibile l'aborto, anche se usato come mezzo anticoncezionale, ignorando una seria prevenzione.

Sono sempre più perplesso, lo confesso, nei confronti questa difficile ma necessaria via del dialogo. Vedo chiusure reciproche, tentativi di ridurre tutto ad uno slogan semplificato, mentre la realtà della vita è ben altro rispetto alle nostre costruzioni ideologiche. 
                                                                                  Silvano C.© 


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venerdì 21 ottobre 2011

vorrei capire

Io vorrei capire, ma a volte dipende anche dallo stato d'animo col quale mi pongo davanti alle questioni il livello di comprensione che posso raggiungere. Quindi c'è un livello emotivo, sempre, da considerare in ogni analisi che parte da me, visto il mio modo di ragionare. Con questa premessa prendo atto anche delle occasioni di dubbio, che ritengo parti essenziali di ogni tentativo di comprensione.
 
Mi chiedo come si sente un giovane dai 20 ai 30 anni davanti ad una situazione sempre più chiusa nei suoi confronti,  non potendo contare sull'aiuto dei genitori, senza prospettive econonomiche, che sogna una casa sua ed una famiglia sua, che non può pensare di avere figli, o neppure di avere un'auto. Come si deve sentire un giovane in queste condizioni? E' lecito immaginare che possa perdere la testa in un momento di rabbia? Può commettere gesti inaccettabili, violenze gratuite contro persone o cose estranee alla sua condizione, solo come atto di ribellione senza speranza ad una società che non lo accetta, che racconta di capirlo, ma che poi nei fatti lo abbandona senza speranze, e vede gli anni passare, con i soliti che fanno carriera sfruttando scorciatoie antiche oppure nuovissime? 
Io non so dare risposte. Sono contro la violenza, ma non sono nelle condizione di tanti giovani. Sono contro la violenza ma non sono contro chi chiede di non essere un precario a vita, e penso anche a mio figlio. Sono sempre più in difficoltà a dividere in positivo e negativo, con giudizi manichei. Resto senza modelli di paragone e di comprensione. 
Io vorrei che i giovani non cadessero vittime di cattivi maestri o di demagogie.  
Vorrei pure capire quanta violenza nasce istigata dal potere stesso, manipolata per distruggere il confronto sul progetto di società, per mantenere tutto come prima.
                                                                       Silvano C.© 


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Un numero preciso di parole

Un uomo alla nascita ha assegnato un numero limitato di parole che può pronunciare, non una di più né una di meno. Un numero prederminato, che stabilisce in modo netto la durata della sua vita. È una invenzione letteraria presente in un racconto, inverosimile, apparentemente, che però diventerebbe del tutto plausibile se noi potessimo rivedere la vita di quell’uomo a rovescio, dalla fine al suo inizio. In quella condizione si potrebbero contare in modo preciso le parole pronunciare da quell’uomo, a partire dall’ultima, per arrivare poco a poco alla prima.
La nostra vita del resto è predermitata, io credo, anche se ovviamente non ho prova alcuna di questa convinzione.  È prederminata ma non ne conosciamo gli sviluppi, non ci sono note tutte le variabili, non sappiamo valutare le interazioni tra noi e tutto ciò che non è noi. Una tale condizione potrebbe ammettere un dio, ma potrebbe pure prescindere da qualsiasi entità superiore. È del tutto ininfluente il sapere se qualcuno sa in anticipo. Anche cioè se dovessimo ammettere che una entità superiore ha interesse a modificare la realtà pre-scritta, rimarrebbe sempre l’interrogativo sul perché tale entità non avrebbe dovuto appunto prevedere ogni singolo sviluppo, prima di dover modificare il concatenarsi degli eventi, microscopici e macroscopici.
E il libero arbitro? Tutta un'invenzione, evidentemente, nessuno è mai totalmente libero, in ogni sua azione. Senza pensare agli esseri viventi di altre specie che ci accompagnano durante la nostra vita, ma limitandoci alla specie umana, noi non siamo neppure liberi di nascere o non nascere. Qualcuno apparentemente decide per noi, anche se in realtà neppure quel qualcuno può decidere sino in fondo.
Inoltrei siamo vincolati dalla nostra corporeità, solida, pesante, invadente. Il nostro corpo segue tutte le leggi fisiche di causa ed effetto. La nostra mente immateriale sembra libera, ma segue a sua volta nozioni innate, apprese, assimilate da altri che sono venuti in contatto con noi. E mai in modo casuale, ma ogni contatto è dovuto a motivazioni preesistenti.
Un richiamo olfattivo o un sorriso scatenano una reazione, che può far nascere un amore; una frase stimola un gesto di rifiuto o di approvazione; uno sguardo determina un incidente che può costare la vita.
Eppure siamo noi i colpevoli dei nostri errori, non il caso, e abbiamo il bisogno di pensarlo, perché dobbiamo premiare o punire, dobbiamo avere categorie di giudizio, dobbiamo sentire la bontà nelle persone, oppure la cattiveria.
Sentiamo il bisogno di continuare a pensare che il Sole sorge, non che invece siamo noi, sulla Terra, a ruotare attorno al nostro asse. E lo ripetiamo, come un mantra, come un rosario, come un vecchio disco 45 rovinato che non si sposta da una frase, ripetuta all’infinito.
Cerchiamo il colpevole. Cerchiamo la ragione. Giudichiamo la realtà. Ci dividiamo in favorevoli e contrari, possibilisti e indifferenti, e non pensiamo che tutti, forse, siamo parte dello stesso gioco.
                                                                        Silvano C.© 


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lunedì 10 ottobre 2011

Grazie mamma

Mi hai desiderato, voluto, ed a un certo punto sono arrivato. Non ricordo assolutamente come è successo,  e non so neppure se mi interessava arrivare. Non mi avevi chiesto nulla. Ma non potevi neppure chiedermi nulla, come potevi fare, visto che non c’ero?
Quali sono stati i miei primi momenti mi è difficile capirlo, so solo che tu avevi molte aspettative che mi riguardavano. Mi sono sentito atteso, credo, forse amato, forse eri pure preoccupata, per il tuo lavoro, per papà che c’era e non c’era, per la tua salute, per i soldi che non bastano mai, perché avevi smesso di fumare proprio pensando a me, e perché cercavi di mangiare le cose buone che potevano farmi crescere bello e sano.
Non sapevi neppure se sarei stato un bambino o una bambina. All’inizio era troppo presto. Se fossi stato un maschietto, che a te sarebbe tanto piaciuto, già avevi pronti alcuni giochi, che avevi iniziato a comprare. Immaginavi che mi avresti insegnato tante cose, a correre, a cercare i fiori, a giocare con la sabbia, a nuotare, a fare amicizia con gli altri bambini.
Avevi paura di non potermi dedicare tutto il tuo tempo, ma sapevi che per me non avresti badato a sacrifici. Ed io non capivo nulla, io stesso ero ancora nulla o quasi, ma mi sembrava di stare bene.
Poi è successo qualcosa. Ad un certo punto tu eri preoccupata, lo percepivo e forse pensavo di essere te, non sapevo di essere altro da te. Ma si era spezzato qualcosa, e non capivo che cosa.

Ora so cosa è successo, mamma. Hai avuto la notizia che avrei avuto una malformazione molto grave, che non sarei mai stato capace di correre come gli altri bambini, non avrei mai giocato con la sabbia, non avrei mai imparato a nuotare.
Ti hanno detto che sarei cresciuto quasi come tutti gli altri, per pochi anni, e che poi mi sarei ammalato, quando avrei potuto iniziare a conoscere gli altri. Ti hanno detto che sarei stato cosciente, che avrei capito la mia situazione, che avrei sofferto per questo.

E tu, mamma, che mi hai sempre voluto bene, hai deciso di fare la cosa che ti avrebbe uccisa, che ti avrebbe distrutta per sempre, mentre io non capivo e non sapevo neppure se c’ero oppure no, cos’ero, cosa facevo.

Hai deciso di fermare per sempre il mio cuore che già batteva, perché non avresti mai voluto vedermi soffrire, per risparmiarmi un dolore immenso,  in quel momento nel quale ancora non capivo cosa sarei stato. Hai voluto solo per te il dolore che sarebbe toccato a me.

Grazie mamma, per avermi amato come nessuna ha mai amato. Per avermi dato il tuo amore prima ancora che io potessi capirlo. Per avermi salvato da una vita di dolore e di difficoltà. Grazie per avermi amato tanto.

                                                                                                 Silvano C.©  
 ( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

giovedì 6 ottobre 2011

Questo è amore?

Da adolescente ho commesso una stronzaggine indegna, della quale in seguito mi sono pentito, e per la quale ancora oggi non cerco scusanti. Ho detto a mia madre che non doveva mettermi al mondo.
Ora so cosa significavano quelle parole, ma allora non lo sapevo, ero perfettamente convinto di essere nel giusto. Tra l’essere in uno stato di dolore e di malessere esistenziale e il non essere io allora giudicavo di gran lunga migliore il non essere. 
Ancora oggi questa mia idea di fondo non mi ha lasciato del tutto. Se stare al mondo significa soffrire, se sappiamo che durante la vita affrontiamo cose che non vorremmo mai affrontare, perché mettere al mondo un altro essere sapendo quello che lo aspetta, in modo cosciente, quasi come se fosse un atto di amore?
Ho vissuto in modo molto conflittuale il mio rapporto con la fede, allontanandome sempre di più, provando un interesse crescente per gli aspetti filosofici della nostra esistenza, cercando di ridurre a parametri riconoscibili il problema di fondo sul perché delle cose, sentendo la teologia come una aspirazione verso l’umano più che verso il divino. Raramente mi sento trascendente e lontano dalla carne nella quale mi ritrovo confinato, anche se spessissimo la dimentico, ed altrettanto spesso cado preda delle sue debolezze, anche se in misura tutto sommato abbastanza modesta e mediocre.
Non ho ancora capito sino in fondo, ora, in età avanzata, se ho voluto un figlio, ed uno solo, per un supremo atto di amore o per un semplice atto di egoismo, come la realizzazione di una mia aspirazione o di un mio desiderio.
Forse è stata la volontà di completare il rapporto con mia moglie, ma pure questo è egoistico, nei confronti di mio foglio. In definitiva sono abbastanza scettico, poco sicuro delle mie scelte.
D’altro canto non mi sono ancora pentito di averlo fatto, non ho mai pensato di abbandonare mio figlio perché stanco o deluso di lui. Io ho sempre fatto il possibile, compresi tanti errori, per cercare di dargli tutto quanto potevo, nei limiti delle mie possibilità. Ho anche rimandato il momento della pensione per lui, perché da pensionato non guadagnerò mai come ora che sono ancora al lavoro, e vorrei aiutarlo al meglio possibile prima di abbandonare quello che ancora un po’ mi interessa ma che ormai inizio a non sopportare più perché la burocrazia, la stupidaggine degli uomini e la mia minor resistenza fisica mi rendono sempre più pesante.
Non so se basta questo per amare un figlio, e se è sufficiente averlo voluto, cercato di farlo nascere sano e crescere nel modo più adatto (forse troppo protetto) per dire che è stato un atto di amore.
In proposito ho sempre forti dubbi. Sono certo che è stato anche un atto di amor proprio, di egoismo, e anche di razzismo, forse, e di rifiuto del diverso.
Prima di tutto abbiamo cercato le garanzie possibili che potesse nascere sano, con le analisi prenatali, ed eravamo teoricamente pronti ad effettuare un aborto in caso di gravi malformazioni genetiche o nello sviluppo embrionale. Non volevo un bambino con handicap, forse sempre per egoismo, ma anche per non far vivere con menomazioni un nuovo essere umano. Questo ancora oggi, fa parte della mia filosofia di vita.
Non ho voluto poi che avesse un fratello o una sorella. Abbiamo evitato altre gravidanze, con mia moglie, senza alcun bisogno di aborti, per fortuna. La motivazione è tutta nei miei pessimi rapporti con mio fratello, col quale ormai non mi vedo da anni, e, pure per telefono, ci sentiamo raramente.  Non volevo per mio figlio nulla di potenzialmente negativo o problematico.
Ho pure riflettuto sulle adozioni, nel caso fossimo stati nelle condizioni di fare questa scelta. E, qui viene fuori la mia indole razzista forse, non avrei mai adottato un bambino straniero scuro di pelle, o asiatico, o, comunque diverso.  Non volevo, appunto, che si potesse sentire diverso.
Ogni nuovo essere umano che arriva al mondo dovrebbe, se generato con un atto di volontà, e non se arrivato per caso o per un incidente, ritrovarsi le migliori potenzialità, le migliori opportunità concesse dalle condizioni economiche e sociali della famiglia.
Ho sentito recentemente parlare uno studioso che riferiva come nelle società più evolute e benestanti (la nostra, ad esempio)  la tendenza sia quella di fare meno figli, perché si riflette anche sui costi che un figlio comporta, cosa costa mantenerlo cioè sino ad aiutarlo a compiere studi a livello superiore o universitario e poi ad aiutarlo prima che diventi indipendente. Nelle società in via di sviluppo basta meno per allevare un figlio, e se ne fanno tanti, crescono quasi da soli, in strada. Cosa c’entra l’amore in tutto questo, in questa realtà demografica inconfutabile, e che la Chiesa senza incertezze definisce appunto egoismo?
Io ho tanti dubbi, troppi dubbi. Sono a favore della legge 194 senza aver mai dovuto far riscorso alla interruzione volontaria della gravidanza. Sono a favore perché non posso negare a nessuno la libertà di una scelta in coscienza.  Non accetto nessuna imposizione dogmatica o fideistica. Se appena intuisco queste impostazioni, se sento parlare di valori indisponibili, scatta la mia opposizione in tutti i modi leciti e possibili e la mia avversione umana e filosofica diventa netta.
L’amore è, per me, cercare di dare qualità alla vita. È tentativo di far raggiungere la felicità. È disponibilità anche materiale di aiutare chi amiamo. 
Far nascere un infelice non è e non sarà mai un atto di amore. Portare alla coscienza la propria natura di essere umano che non potrà mai vedere come gli altri, correre come gli altri, sentirsi come gli altri è crudele. Meglio che l’embrione non arrivi mai allo stadio della coscienza di sé, che non percepisca mai l’abisso di dolore nel quale la sua vita più o meno lunga lo ha predestinato. Non odio Dio per questo dolore che viene regalato a tante persone, perchè probabilmente neppure esiste. M anon lo ritengo un atto di amore.
                                                                         Silvano C.© 


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lunedì 3 ottobre 2011

Dove stanno gli animalisti?


Io non sono vegetariano, ma condivido molti sentimenti e molte tesi dei vegetariani. Non sono neppure un animalista, ma non amo sofferenze inutili negli animali. Gli animali sono esseri viventi come noi, credo solo meno evoluti, ma non mi addentro in questi temi, piuttosto propongo una riflessione.
Nei giorni scorsi il bacino artificiale che imbriglia il torrente Leno, sopra Rovereto di Trento, è stato svuotato per lavori di manutenzione. Tutti i pesci che vivevano in quel lago sono morti. Solo i pescatori avevano ipotizzato un tentativo di salvarli, bloccati poi dalle condizioni di oggettivo pericolo per le persone. Ora non ho letto, sulla stampa locale, o visto appesi in giro cartelli di denuncia di questo fatto. Nessuna associazione ambientalista o animalista ha detto nulla, che io sappia. 
Forse che i pesci sono figli di un dio minore e non soffrono? Non mi convince questa cosa, ma mi fermo qui, perchè io ho solo dubbi, in proposito, e poche idee sicure. 
                                                                                Silvano C.©
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domenica 2 ottobre 2011

Sono un illuso

Se penso ai problemi che il mondo politico non riesce a risolvere, anzi, complica e rende cronici, mi viene prima rabbia, e poi depressione.  Vedo intrallazzi specialmente da una parte politica, anche se pure le altre non ne sono immuni, purtroppo, e vedo le speranze di una vita migliore per mio figlio ridursi sempre di più. Provo paura per gli anni della mia vecchiaia, e sento impotenza per quello che faccio nel mio lavoro, perché ammetto che certe volte ancora mi diverte, ma lo avverto sempre più inutile, sprecato, svuotato di significato e di valore sociale.
Credo però che il lavoro, o l’impegno personale in qualche ambito, sia la sola salvezza che rimane ad una persona. Puntare al denaro ed al successo non so dove porta, magari soddisfa pure quello, o gratifica. Solo che io non so gestire gli affari che esulano dal quotidiano, non sono un abile commerciante, e non so vendere assolutamente nulla. Se io puntassi al denaro dovrei ammettere il fallimento. Non un fallimento completo, ovviamente, perché qualcosa ho messo da parte, ma sempre un fallimento, perché vivo del mio stipendio dipendente, avrò una pensione che proporzionalmente sarà più bassa di quella di mio padre, anche se io ho studiato più a lungo, e mio figlio l’avrà, se l’avrà, molto più bassa della mia. Per il fisco io appartengo al ceto medio-basso, credo, o forse medio, volendo essere ottimisti. Esenzioni praticamente non ne ho, se non per patologie di tipo sanitario. Mio figlio forse supererà il reddito dei quasi 3000 euro annui e quindi pure lui è ufficialmente autonomo, non sarà più a mio carico, visto che i circa 200 euro lordi di guadagno mensile lo rendono evidentemente indipendente.
Eppure lavoro ancora, e ci credo, pur vedendo le ingiustizie folli che mi sovrastano. Sono un illuso.
                                                                    Silvano C.©
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Cosa ci spinge a fare le cose?

Perché si fa una cosa? Cosa ci spinge ad iscriverci ad un corso di lingue, ad andare in vacanza in un certo posto, cosa ci fa cercare una persona oppure frequentare una certa associazione sportiva?
E perché tante persone sentono il bisogno di scrivere un blog, di comunicare ad altri, in rete, le proprie emozioni o le proprie idee?
Io ricordo una esperienza giovanile, quando un amico mi ha introdotto in una società sportiva parrocchiale, forse impietosito dal vedermi spesso perdere tempo in giro per fatti miei, in un gesto che ora devo riconoscere di vera amicizia, anche se allora mi sentivo sinceramente lo stupido della coppia (di amici), quando andavamo in giro assieme. È stato l’ultimo atto della nostra amicizia, perché poi ci siamo persi definitivamente di vista (i nostri caratteri erano troppo diversi).  Spigliato e sicuro con le ragazze, lui, pure un po’ porco, se devo essere sincero; assolutamente inadeguato io, con esperienze prossime allo zero.
Quindi io ho iniziato a frequentare un luogo che per i successivi tre o quattro anni avrebbe modificato la mia vita, in modo completo. Io, assolutamente non sportivo in una società sportiva, vagamente ateo in una parrocchia, timido e solitario sparato tra la gente, tra i coetanei.
Cosa mi spingeva tra quella gente? Ora posso dirlo, la voglia di vivere, finalmente. La possibilità di esprimermi in una forma meno criptica, e di realizzare piccole soddisfazioni, di sentirmi in qualche modo importante o almeno cercato.
E cosa spingeva gli altri? Difficile dirlo con sicurezza. L’amico che mi aveva introdotto, pochi mesi dopo ha lasciato la società sportiva. A lui interessava giocare al calcio, però non brillava come giocatore, e si ritrovava a volte a dare passaggi con l’auto ad altri che all’ultimo momento lo avrebbero sostituito nella squadra. Si è stancato e non l’ho più visto.
L’allenatore della squadra faceva il fornaio, era stanco di alzarsi tutte le notti, voleva una spinta per avere un posto diverso e sperava che il parroco lo potesse aiutare.
Un responsabile che teneva in piedi la società era un impiegato di banca, un ragioniere, legato alla parrocchia, motivato dalla voglia di sentirsi utile.
Alcuni giocatori avevano come mira esclusivamente il poter giocare, il farsi conoscere, magari poter arrivare ad altre società più blasonate. Altri ancora forse cercavano solo un modo per fare un po’ di sport.
 Ed ora cosa mi spinge a provare a scrivere un blog?  Mica lo so con certezza.
                                                                          Silvano C.© 


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sabato 24 settembre 2011

Sulla legge 194 - Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza

 
È faticoso, lo è sempre, cercare di difendere i diritti e la verità che sentiamo dentro di noi. 
E parlo di verità che si sente, che si vive, che non si vuole imporre agli altri se non come richiesta di accettare una diversa visione della vita, non certo di condividerla o di farla propria. 
Non mi riferisco cioè alla Verità, quella con la V maiuscola, quella che discende da una fede religiosa, da un dogma indiscutibile, perché io credo che nessun essere umano possa arrogarsi il diritto di portare la Verità, accusando praticamente tutti di essere in errore se non si condivide tale rigida posizione.
In altre parole non accetto che, per motivi di presunta superiorità morale, si possano chiamare assassini coloro che sostengono la Legge dello Stato 194, in pratica almeno il 50% degli italiani.

Chi vuole a tutti i costi imporre la propria visione legata all’insegnamento della Chiesa Cattolica, o alla sua coscienza, togliendo agli altri, implicitamente, il diritto di avere la propria coscienza, compie un atto di arroganza abissale, si rivela un estremista,  nega la libertà altrui

Io non accetto, da sempre, chi semina odio. E autodefinirsi pro-vita significa esattamente questo, seminare odio sotto le mentite spoglie di persone umili e rispettose. Significa definire chi la pensa diversamente pro-morte.  
Che dialogo sarà mai possibile con chi mi reputa un assassino, un delinquente, con chi cioè è prevenuto a tal punto contro di me?

Eppure la legge 194 è una legge fondamentale per un paese civile e laico, è una legge da difendere con ogni mezzo, è uno strumento di progresso conquistato dalle donne e da chi le ha sostenute alla fine degli anni 70, dopo lotte e innumerevoli tragedie personali.

Voglio però sgombrare il campo da equivoci. L’aborto non è un successo, non è una conquista, non è una cosa del quale andare orgogliosi, né come donne né come uomini.  
Il vero scopo della legge è la libertà, è il superamento delle censure sul corpo femminile, è la dignità della donna, della coppia, della famiglia e dei figli. 
Il fine ultimo non è far abortire, è esattamente l’opposto, cioè permettere una maternità consapevole e non imposta da leggi tribali, è la libertà di avere un figlio desiderato, amato, cercato, con un nido pronto ad accoglierlo, e non una situazione tragica, un handicap grave che lo segnerà tutta la vita, o l’affido del proprio figlio ad altri genitori partendo da una situazione personale comunque drammatica, ignorando cosa prova una madre o una donna che non vuole o non può essere madre.

Se chi giudica abortista chi difende la 194 cominciasse ad ammettere una sana educazione sessuale in ogni ordine  di scuole (cosa frenata da molte associazioni di famiglie cattoliche di stretta osservanza), se queste persone chiedessero una volta per tutte ai preti di pubblicizzare i mezzi anticoncezionali, che sicuramente non uccidono nessuno, se smettessero di proibire la distribuzione dei preservativi tra gli studenti, se facessero opera di educazione seria delle ragazze di recente immigrazione senza barricarsi nelle scuole private cattoliche dove gli stranieri sono praticamente assenti (come del resto gli handicappati), e se alle ragazze incinta si creassero le condizioni non per la carità, ma per un vero aiuto di Stato, allora sicuramente calerebbero ancora di più gli aborti ancora oggi praticati. 
Diffido dei politici ipocriti divorziati e di quanti in privato tradiscono ed abbandonano ma che si dicono pubblicamente a favore della famiglia.

Le donne che fanno un uso anche tre volte l’anno della pillola del giorno dopo vanno educate, perché certi comportamenti non sono accettabili, occorre dirlo. Quella pillola non è un anticoncezionale normale, ma questo deve essere spiegato, e l’educazione deve essere capillare, non casuale, affidata a qualche medico o a qualche insegnante volonteroso.

E poi si arriva al punto che i cattolici non accetteranno mai, ma che occorre puntualizzare. Una cellula fecondata, cioè uno zigote, non è un essere umano. Io non credo che arrivi un’anima a renderlo tale, al momento del concepimento. Non ci credo. E’ mia libertà non crederci.

Se nelle fasi iniziali dello sviluppo embrionale e fetale, prima che il sistema nervoso inizi a provare sensazioni non meccaniche, non vegetative, prima che arrivi il dolore insomma, o la coscienza, si cade in uno dei motivi per interrompere la gravidanza previsti dalla legge, è perfettamente lecito farlo. Non si commette alcun omicidio, non si uccide nessun essere umano. Un essere umano è tale dal momento della nascita, non al terzo o al quarto mese. In quella fase è solo parte della donna che lo sta formando e nutrendo, non è capace di vita autonoma, neppure di respirare. Né di nutrirsi. Non parliamo poi di capacità superiori.

La legge è chiara sulle motivazioni che possono dare diritto alla interruzione volontaria della gravidanza, e parla di condizioni “per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito”. Più chiara di così non potrebbe essere. Non si parla di semplice cambio di umore, o di paura di smagliature nella pelle. Si parla di salute fisica, e di difficili condizioni. Molte di queste condizioni potrebbero essere superate e prevenute da uno Stato sociale serio, o da una seria informazione, ma lo Stato è assente e l’informazione è negata.

E poi viene il problema degli obiettori, che pretendono di svolgere un ruolo nelle strutture pubbliche ma senza applicare una legge dello Stato. E non rinunciano, per questo, a parte dello stipendio, per la parte di funzione che non svolgono. E le stesse strutture pubbliche sono colpevoli perchè non garantiscono, con un adeguato numero di medici non obiettori, il servizio in tutto il territorio nazionale. Qui il gioco diventa veramente squallido. Un medico in una clinica cattolica, ovviamente, verrà invitato ad essere obiettore. Allo stesso modo come un insegnante di religione designato dalla curia sarà invitato a rispettare i principi cattolici (mai conosciuto un insegnante cattolico in servizio divorziato, ad esempio). Nelle strutture pubbliche la cosa è ancora controllata in parte dai cattolici, e, a parte questo, non viene garantita una quota di medici non abortisti. Alcuni medici, culturalmente non obiettori, in certe condizioni si dichiarano obiettori per evitare di essere costretti a praticare solo aborti per tutto il loro tempo professionale. Ed è insomma una sorta di diritto concesso ai medici negandolo in contemporanea alle donne.

Ci sono poi i casi assurdi di medici abortisti uccisi dai pro-vita, negli USA, terra di libertà e contraddizioni.
Potrei continuare, in questo sintetica esposizione, e magari se avrò altri spunti lo potrò anche fare, ma vorrei concludere con la realtà che c’era in Italia prima del 1978. Non so quanti aborti clandestini venissero praticati. Ci sono solo stime, che per alcuni non sono attendibili. E non so neppure quante donne più fortunate andassero in cliniche private o in Svizzera. So però che anche una sola donna, anche una sola madre morta in questo modo non era accettabile, perché lasciava figli, marito, affetti. Ed era una persona che avrebbe potuto dare ed avere ancora tanto dalla vita. Una donna solitamente giovane, sana. 
Io, di fronte a questa realtà, non ho dubbi. Meglio eliminare un grumo di cellule (che forse un giorno avrebbero potuto diventare un essere umano) che uccidere una donna. E meglio ancora prevenire tutto questo, per non obbligare alcune donne al dramma doloroso di un aborto, che le segnerà comunque per tutta la vita, perché nessuna donna seria pensa all’aborto con leggerezza, mai.  Questo lo possono fare certi uomini, ma solo certi uomini.
                                                                                                                Silvano C.©
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

giovedì 22 settembre 2011

anche i musei diverranno virtuali?


Era freddo, poco illuminato, anche un po’ cadente. I soffitti altissimi, in un vecchio palazzo vicino al municipio, a Rovereto. Io ci andavo con i ragazzi, mi piaceva, lo conoscevo in tutte le sue sale, e le lezioni mi venivano leggere. Le vetrine erano sistematiche, ordinate, e anche se le collezioni non erano enormi svolgeva in modo onorevole il suo ruolo.
Poi lo hanno chiuso, hanno spostato tutto il materiale nella nuova sede, bella, moderna, piena di sale di rappresenta, un bookshop, diversi laboratori per fare lezioni con i ragazzi, un cortile accogliente. Però le vecchie sale sono sparite. Le collezioni che si potevano ammirare nella antica sede sono state rinchiuse nelle cantine, raccolte in enormi scaffalature mobili e visibili solo per gli esperti. Le vetrine tradizionali si sono ridotte di numero ed importanza, messe quasi in modo casuale, come se non ci fosse l’intenzione di far vedere gli insetti, i mammiferi, i pesci, gli uccelli in modo sistematico, ma a campione. Un po’ di questo, un po’ di quello, e poi mille altre iniziative, ma senza il museo reale e tradizionale, meglio il museo virtuale.

Capisco che ormai devo andare in pensione, e che sono a mia volta un dinosauro da museo, o meglio, da cantine di museo, perché non credo che sarei un bello spettacolo se fossi esposto. Lo capisco dal fatto che mi sento superato dai tempi, e dal fatto che non sento nessuno lamentarsi di quello che succede a queste nostre bellissime istituzioni, ammesso che ancora non chiudano per mancanza di fondi.

Questi luoghi di cultura sono mutati, si sono evoluti in qualcosa che non riconosco più. Una sala bellissima di invertebrati marini, in un altro museo, a Verona, è sparita, per lasciare il posto a esposizioni diverse, a spazi laboratoriali, a simulazioni di ambienti naturali. Non è giusto modificare in questo modo ciò che era, annullare il passato, sostituirlo con il nuovo senza lasciare quasi traccia di ciò che era.

La scuola viene sacrificata nelle sue ora di insegnamento, viene mortificata nelle sue risorse sempre più limitate, e la scuola pubblica deve convivere con problemi enormi di alunni sempre più lontani dall’idea di impegno e di insegnanti che sono considerati falliti o incapaci, e sono sottopagati. La professione viene considerata sempre meno strategica dal nostro Paese miope. E poiché la scuola ora non ha i tempi o i mezzi per svolgere appieno le sue lezioni di scienze trova i musei pronti ad integrare con allettanti proposte didattiche, trasformando i musei in surrogati delle scuole stesse.

Non so se tutto questo è giusto. Sicuramente so che non mi piace.

                                                                                                    Silvano C.©
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

lunedì 19 settembre 2011

costumi che cambiano (o restano immutabili nel tempo)



Il moralismo porta ad una visione distorta dei fatti.  Penso alla prostituzione che è vista, se praticata in ambienti di un certo livello sociale, con occhio sempre più benevolo, cioè come libertà di ogni donna, se lo vuole.
Non intendo limitare tale libertà, tuttavia ci sono paletti invalicabili che vanno tenuti presenti.
Un primo punto fermo è che in nessun caso le ragazze minorenni devono essere coinvolte in attività legate alla prostituzione o comunque al sesso con adulti che le pagano (o che le obbligano).
Un altro punto fermo è che se esistono leggi che puniscono i reati legati al mondo della prostituzione, queste leggi vanno rispettate, oppure vanno abrogate.
Un ultimo punto fermo è legato al giro di affari mostruoso che si nasconde dietro queste attività. Occorre combattere in ogni modo la malavita che sfrutta questo mondo ai margini, che a tutti è noto, che occorre in qualche modo portare alla luce del sole per i suoi aspetti economici. 
Chi parla di libertà e accusa gli altri di moralismo quanto tratta questi temi può indurre un intero mondo giovanile e precario a cercare in tal modo apparentemente facili guadagni, spesso in nero, facilitando il degrado sociale e proponendo modelli per lo meno discutibili.
                                                                                       Silvano C.© 
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

domenica 18 settembre 2011

non sarò mai il più forte


Non sono il più forte, non credo di esserlo mai stato.
Non ho coraggio, non ne ho mai avuto.
Conosco i miei limiti, ed alcuni di questi ormai non mi pesano neppure più, li accetto e mi sembrano solo un mio modo di essere.
So però che tu mi hai aiutato,
mi hai aiutato distruggendo il mio schermo, tanti anni fa (e con esso alcuni miei schemi)
oppure facendomi sentire più vivo,  vero, sincero.
Mi hai consolato, mi hai dato amore e amicizia, mi hai accettato.
Mi hai anche rifiutato, criticato o semplicemente dimenticato.
Di tutto questo ti ringrazio, anche di quello che non capisco, perché non sei sempre la stessa, e a volte mi confondo, mi perdo, e so che non sarò mai il più forte.
                                                                                             Silvano C.© 
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

giovedì 15 settembre 2011

onanismo emotivo

(Quelle che seguono sono riflessioni personali che probabilmente non interessano a nessuno. Ignorarle tranquillamente quindi è pienamente corretto)
Non cerco nuovi amori né nuove emozioni, spero di non cercare troppo di sembrare diverso da quello che sono, non voglio mentire alle persone, non voglio neppure essere migliore, perché sono un po’ vigliacco e so di esserlo. Ho commesso errori, in passato, ed altri ne commetto ogni giorno, a volte facendo soffrire inutilmente perché non valuto che posso ferire, allo stesso modo nel quale posso essere ferito. Mi illudo di essere capito, ma non è sempre così, come del resto io non sempre capisco o sono pronto a capire. Ho tagliato molti ponti col mio passato, o perso molte persone, e sono un solitario che vorrebbe stare in mezzo alla gente, contraddicendomi ad ogni mio atto, stupendo chi non mi conosce, assumendomi alcune mie responsabilità, rifiutandone altre. A volte mi rendo conto della difficoltà dei rapporti umani, di quanto investimento chiedono, e non capisco come possono vivere alcune persone tra tanta gente, con una parola per tutti, con una attenzione ammirevole e sincera, con una vera apertura e disponibilità.  


Io sono selettivo, separo, metto priorità, creo ordini di valore, che a volte smentisco per primo. Posso generalizzare tutto questo, rendendolo una riflessione di carattere generale? Non credo, sarei veramente troppo pieno di me, e mi proporrei come metro, mentre so di non esserlo. Ho ammirato persone che hanno dato quello che potevano con onestà. Ho ammirato un maestro, ammiro mio padre, ho ammirato ed ammiro un amico, ho ammirato i miei nonni materni, ma ammiro poche persone, devo dire, tra quelle da me conosciute da vicino. Quindi ho pochi modelli ai quali ispirarmi, e capisco che difficilmente posso trarne una linea univoca di azione.  Non credo di meritare l’ammirazione di persone che hanno creduto in me. Non so se il segreto della vita sia l’accettare quello che ci è toccato, o se invece piuttosto sia cercare sempre cose nuove.  Sono fortunato, tuttavia, e posso usare quello che ho, mentre chi non ha questa opportunità ovviamente deve poter cercare, è giusto che cerchi. Come è giusto che cerchi pure chi ha questo ed altro, perché io non sono un giudice per gli altri, non ho una morale da imporre a nessuno, ho solo una mia via personale, e devo accettare le vie degli altri, senza pregiudizi.

Vorrei dare un po’ di serenità a chi mi è possibile raggiungere, perché pure io mi disseto poi di questa serenità. Trovo mille volte più appagante il piacere che mi deriva dalla felicità degli altri piuttosto che dalla mia. L’onanismo emotivo non porta a nulla, è sterile e limitato. Un sorriso di un ragazzino mi ripaga di una notte di malumore, una parola di una persona che stimo mi rende più forte, una carezza mi imbarazza, a volte, ma poi sento che mi serve. Non riesco quasi mai a manifestare sentimenti, se non in modo goffo, e trovo ingiusto questo modo di essere. Vorrei chiedere scusa ad alcune persone per ciò che ho commesso di sbagliato, o almeno iniziare a farlo. Quante cose vorrei, in fondo. Forse mi basta però ancora fare progetti, vedere mutamenti e sognare una certa stabilità, immaginare un futuro diverso, e fare qualcosa per raggiungere quel futuro.

                                                                                                                                           Silvano C.© 
 
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie) 

martedì 13 settembre 2011

Nostalgia



Un giorno nuovo.
Una sera arrivata troppo presto.
L’inizio di una avventura che sembra una storia già vissuta
e che potrebbe essere per l’ultima volta
Nostalgia per un nuovo inizio
e nostalgia per ciò che ho ancora.
Nostalgia anche se conosco i suoi lati oscuri e le sue fatiche.
Nostalgia per quello che ero, forse, non per quello che non so
e desiderio di fotografare la vita.
Nostalgia.
                                                      Silvano C.©
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie) 

domenica 11 settembre 2011

Non è un decalogo


Non mostrare le proprie insicurezze con i figli ed i giovani, pur mantenendo con loro un rapporto franco ed onesto. Non per sembrare più forti, ma per dar loro un porto sicuro nei momenti di difficoltà, un ideale da seguire, uno scopo.

Non illudersi mai di aver fatto le scelte giuste, ma sperare solo di averle fatte commettendo poche scorrettezze o danneggiando il minor numero possibile di persone. Non sperare neppure di essere un esempio per gli altri, perché quelli faranno le loro scelte, ed hanno il diritto di sbagliare come tutti.

Essere duri con noi stessi, ma non con chi ci segue o ci ascolta, anche quando si viene fraintesi o non capiti. Potremmo aver torto.

Mostrarsi sempre disposti ad ascoltare, perché chi parla cerca un contatto, e a volte non serve neppure rispondere. Non occorre dar ragione ma essere vicini sul piano umano, condividendo qualche dubbio o qualche debolezza.

Dimenticare alcune cose incuneate nella nostra testa, aprirsi al nuovo, eliminare i luoghi comuni più radicati e pericolosi, ma stupirsi ancora per quello che ascoltiamo. Isolare chi predica solo odio e chiusura verso gli altri, anche se sa mascherare bene il suo rancore sotto la maschera di diritti calpestati e di bisogno di giustizia.

Ammirare chi sa aprire il suo cuore, la sua casa e la sua vita agli altri, e lo fa per un suo voler conoscere, voler capire. Questi sono i nostri amici di elezione, ai quali però non dobbiamo legarci per rubare soltanto, ma cercare di imitarli.

Capire chi non ha ancora capito, ascoltare chi non vuole ascoltare, cercare una mediazione, aprire un varco, a volte guerreggiare mirando alla pace. E, dopo una delusione, lasciar passare un po’ di tempo, e ricominciare esattamente come prima, senza rancori.

Non pensare di essere più saggi solo perché si hanno più anni. A volte si diventa solo più paranoici, rigidi nelle proprie convinzioni, sicuri di sapere molte cose e capaci solo di dare consigli, come questi, ma incapaci di leggere il mondo che diviene.

(Poichè io non sono come descritto sopra, ritengo questo non-decalogo prima di tutto un invito al sottocritto)

                                                                           Silvano C.©
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

sabato 10 settembre 2011

Non riesco più a difendere la RAI

 
Ho sempre inteso come punto di onore la difesa della televisione pubblica, e quindi del pagamento del relativo canone. Ora però i dubbi mi crescono giorno dopo giorno. 
Vedo personaggi che ho seguito, più o meno discussi, non sempre condividendo le loro idee, ma ritenendoli comunque voci importanti, abbandonare o essere abbandonati dalla RAI. Cito solo Augias, Saviano, Santoro e Dandini. In parte anche Fazio. Per uno come me, non interessato allo sport se non per avvenimenti eccezionali come le Olimpiadi, poco attirato dall’intrattenimento come viene inteso da raiset, cioè ai telefilm seriali, ai reality, ai programmi dove ci si umilia per vincere qualche euro, ai telegiornali di regime ed a molte delle cose che passa la RAI, cosa resta?
A volte, la sera, mi butto su RAI-Storia, o seguo le trasmissioni di Philippe Daverio, poco, troppo poco per giustificare un intero palinsesto nel quale i tre canali principali  sono spesso inguardabili. Spesso capita che mi guardi qualche film, che possiedo, che prendo in prestito o che passa nella programmazione.
Se non ci fosse la televisione,  specialmente un certo tipo di televisione privata, probabilmente non avremmo questo governo, è una realtà che è nota da tempo. 
Ora stiamo arrivando a livelli abissali mai raggiunti prima, come la mitica ed ancora oggi ineguagliata discesa del batiscafo Trieste nella fossa delle Marianne, nel 1960.       

                 
                                                                                                        Silvano C.©
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

venerdì 9 settembre 2011

Ho bisogno di speranze


Sono confuso e ho paura. Dopo mesi di ottimismo per i referendum, per le donne che sono scese in piazza e non da sole, ma con molti uomini.  
Forse però tutti sono (siamo) stati mandati allo sbaraglio da chi non hanno più voglia di combattere per i diritti, e dopo illusioni di unità d’Italia, durante le celebrazioni alle quali tutti o quasi hanno aderito, ma a volte solo per dovere di ruolo e di facciata.
Ho paura perché non trovo onestà intellettuale in persone che hanno un potere politico e difendono i loro privilegi meschini mentre tolgono il futuro ai giovani, la pensione agli anziani, il lavoro ai loro elettori, e non ammettono di essere loro stessi il cancro che ci divora. Non i mercati fuori controllo, che non fanno altro che annusare la preda più indifesa, ma loro, quelli che non accettano di essere come tutti gli altri, e che non vogliono affondare con gli altri, trovando leggi, scovando interessi, nascondendo risorse rubate.
Non vedo salvezza in una società che non sa più vivere senza inquinare con la sua presenza incontrollata ogni spazio residuo, e dove non sappiamo più quali valori trasmettere ai giovani che non hanno protettori, e che non hanno precezione di come finirà per loro.  Vedo una corsa al superfluo, all’inconsistente, all’apparire. Mi pare che senza una crescita economica infinita siamo destinati a soccombere, mentre è proprio una crescita infinita che non ci possiamo più permettere. Non vedo una luce, solo ombre che mi fanno paura, e sempre meno fiducia anche in coloro che sino a ieri ho rispettato. Non voglio diventare qualunquista, e spero che questo sia solo un momento passeggero.  Vorrei ritornare a votare con un minimo di fiducia, credere ancora nella nostra bella Italia, vedere con ottimismo la forza della nostra Costituzione, sapere che l’Europa voluta dai suoi padri fondatori non è solo una utopia. Ho bisogno di speranze.
                                                                                         Silvano C.© 

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martedì 6 settembre 2011

privilegi


Appena sono stato assunto come precario in Trentino hanno tolto il privilegio del quale avevano goduto tutti i miei colleghi sino all’anno prima, che consisteva nel diritto ad uno sconto sulle Ferrovie dello Stato (Ed allora viaggiavo molto in treno). Pochi anni dopo hanno tolto il privilegio di andare in pensione in modo vergognoso con 19 anni, sei mesi e un giorno (14 anni se donne con figli) che molti miei amici hanno sfruttato al momento giusto. Poi mi hanno tolto il privilegio di sentirmi utile, in qualche modo, a livello sociale, pur lasciandomi per fortuna il piacere del ricordo di quanti ho conosciuto negli anni. Godo ancora del privilegio di molte ferie, compensate però da uno stipendio basso, che infatti mi mette in condizioni di inferiorità con molti amici laureati del mio corso di laurea facendomi sentire quello che non ha ambizioni. Devo pure ammettere che diversi colleghi hanno un secondo lavoro, ma io non ho mai fatto quella scelta.
Devo registrare poi che le donne mie colleghe sono molto più garantite in caso di gravidanza che non quelle in altre situazioni o nel privato, ed alcune purtroppo ne approfittano un po’.  Si, ammetto che godo ancora di qualche privilegio, prima di tutto per un lavoro stabile, e poi perché vivo in una regione ricca rispetto al resto d’Italia. Tuttavia rinuncerei volentieri a qualche privilegio se questo comportasse una maggiore opportunità di lavoro per mio figlio ed una maggiore equità. Vorrei non trincerarmi dietro alla difesa del mio orticello (che tanto non posso comunque difendere, visto che sono un dipendente) e vorrei opportunità serie di pace sociale, di ri-distribuzione delle ricchezze concentrate sempre più in poche persone, e vorrei pure che le regioni più ricche non fossero schierate contro le altre.
Vorrei, per concludere, che il ricco Trentino rinunciasse alla sua specialità, perché sono finiti i tempi nei quali dalle valli emigravano verso l’America o l’Australia. O i tempi nei quali l’Italia sottometteva le minoranze linguistiche, che dovevano essere difese dalla vicina Austria. Ora il Trentino è terra di turismo, di ricchezza, di servizi a livello europeo, non è più un’area povera ed oppressa.
Vorrei tante cose, che non so come ottenere, e non so neppure se sono contraddittorio in questo senso di disagio e sconfitta che provo. Ma io non sono un politico, e mi abbandono ai sogni.
                                                                                         Silvano C.© 
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)


Angelo Tommasi:  La partenza degli emigranti italiani per l'America,1896
(Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna)


                                       

lunedì 5 settembre 2011

Elogio della multipla




 Lo so, sembra ridicolo, eppure voglio fare l'elogio della Multipla della Fiat, o della Citroen 2cv, e di altre auto simili (anche della mitica Duna).
 

In strada, nel traffico, il vedere il muso aggressivo di una grossa cilindrata o di un potente SUV, magari guidati in modo da imporsi all'attenzione, non crea quel clima di calma che sarebbe necessaria, ma indispone, a livello inconscio.
Forse chi compra queste auto lo fa in modo consapevole, forse no, ma non sarebbe male riflettere anche su questo aspetto formale.
Il muso di un'auto che ricorda due occhi di un animale pronti ad aggredire non mi piace.


 Molto meglio un'auto che ispira simpatia



                                                                                                Silvano C.© 
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema  se si cita la fonte.  Grazie)

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