giovedì 6 ottobre 2011

Questo è amore?

Da adolescente ho commesso una stronzaggine indegna, della quale in seguito mi sono pentito, e per la quale ancora oggi non cerco scusanti. Ho detto a mia madre che non doveva mettermi al mondo.
Ora so cosa significavano quelle parole, ma allora non lo sapevo, ero perfettamente convinto di essere nel giusto. Tra l’essere in uno stato di dolore e di malessere esistenziale e il non essere io allora giudicavo di gran lunga migliore il non essere. 
Ancora oggi questa mia idea di fondo non mi ha lasciato del tutto. Se stare al mondo significa soffrire, se sappiamo che durante la vita affrontiamo cose che non vorremmo mai affrontare, perché mettere al mondo un altro essere sapendo quello che lo aspetta, in modo cosciente, quasi come se fosse un atto di amore?
Ho vissuto in modo molto conflittuale il mio rapporto con la fede, allontanandome sempre di più, provando un interesse crescente per gli aspetti filosofici della nostra esistenza, cercando di ridurre a parametri riconoscibili il problema di fondo sul perché delle cose, sentendo la teologia come una aspirazione verso l’umano più che verso il divino. Raramente mi sento trascendente e lontano dalla carne nella quale mi ritrovo confinato, anche se spessissimo la dimentico, ed altrettanto spesso cado preda delle sue debolezze, anche se in misura tutto sommato abbastanza modesta e mediocre.
Non ho ancora capito sino in fondo, ora, in età avanzata, se ho voluto un figlio, ed uno solo, per un supremo atto di amore o per un semplice atto di egoismo, come la realizzazione di una mia aspirazione o di un mio desiderio.
Forse è stata la volontà di completare il rapporto con mia moglie, ma pure questo è egoistico, nei confronti di mio foglio. In definitiva sono abbastanza scettico, poco sicuro delle mie scelte.
D’altro canto non mi sono ancora pentito di averlo fatto, non ho mai pensato di abbandonare mio figlio perché stanco o deluso di lui. Io ho sempre fatto il possibile, compresi tanti errori, per cercare di dargli tutto quanto potevo, nei limiti delle mie possibilità. Ho anche rimandato il momento della pensione per lui, perché da pensionato non guadagnerò mai come ora che sono ancora al lavoro, e vorrei aiutarlo al meglio possibile prima di abbandonare quello che ancora un po’ mi interessa ma che ormai inizio a non sopportare più perché la burocrazia, la stupidaggine degli uomini e la mia minor resistenza fisica mi rendono sempre più pesante.
Non so se basta questo per amare un figlio, e se è sufficiente averlo voluto, cercato di farlo nascere sano e crescere nel modo più adatto (forse troppo protetto) per dire che è stato un atto di amore.
In proposito ho sempre forti dubbi. Sono certo che è stato anche un atto di amor proprio, di egoismo, e anche di razzismo, forse, e di rifiuto del diverso.
Prima di tutto abbiamo cercato le garanzie possibili che potesse nascere sano, con le analisi prenatali, ed eravamo teoricamente pronti ad effettuare un aborto in caso di gravi malformazioni genetiche o nello sviluppo embrionale. Non volevo un bambino con handicap, forse sempre per egoismo, ma anche per non far vivere con menomazioni un nuovo essere umano. Questo ancora oggi, fa parte della mia filosofia di vita.
Non ho voluto poi che avesse un fratello o una sorella. Abbiamo evitato altre gravidanze, con mia moglie, senza alcun bisogno di aborti, per fortuna. La motivazione è tutta nei miei pessimi rapporti con mio fratello, col quale ormai non mi vedo da anni, e, pure per telefono, ci sentiamo raramente.  Non volevo per mio figlio nulla di potenzialmente negativo o problematico.
Ho pure riflettuto sulle adozioni, nel caso fossimo stati nelle condizioni di fare questa scelta. E, qui viene fuori la mia indole razzista forse, non avrei mai adottato un bambino straniero scuro di pelle, o asiatico, o, comunque diverso.  Non volevo, appunto, che si potesse sentire diverso.
Ogni nuovo essere umano che arriva al mondo dovrebbe, se generato con un atto di volontà, e non se arrivato per caso o per un incidente, ritrovarsi le migliori potenzialità, le migliori opportunità concesse dalle condizioni economiche e sociali della famiglia.
Ho sentito recentemente parlare uno studioso che riferiva come nelle società più evolute e benestanti (la nostra, ad esempio)  la tendenza sia quella di fare meno figli, perché si riflette anche sui costi che un figlio comporta, cosa costa mantenerlo cioè sino ad aiutarlo a compiere studi a livello superiore o universitario e poi ad aiutarlo prima che diventi indipendente. Nelle società in via di sviluppo basta meno per allevare un figlio, e se ne fanno tanti, crescono quasi da soli, in strada. Cosa c’entra l’amore in tutto questo, in questa realtà demografica inconfutabile, e che la Chiesa senza incertezze definisce appunto egoismo?
Io ho tanti dubbi, troppi dubbi. Sono a favore della legge 194 senza aver mai dovuto far riscorso alla interruzione volontaria della gravidanza. Sono a favore perché non posso negare a nessuno la libertà di una scelta in coscienza.  Non accetto nessuna imposizione dogmatica o fideistica. Se appena intuisco queste impostazioni, se sento parlare di valori indisponibili, scatta la mia opposizione in tutti i modi leciti e possibili e la mia avversione umana e filosofica diventa netta.
L’amore è, per me, cercare di dare qualità alla vita. È tentativo di far raggiungere la felicità. È disponibilità anche materiale di aiutare chi amiamo. 
Far nascere un infelice non è e non sarà mai un atto di amore. Portare alla coscienza la propria natura di essere umano che non potrà mai vedere come gli altri, correre come gli altri, sentirsi come gli altri è crudele. Meglio che l’embrione non arrivi mai allo stadio della coscienza di sé, che non percepisca mai l’abisso di dolore nel quale la sua vita più o meno lunga lo ha predestinato. Non odio Dio per questo dolore che viene regalato a tante persone, perchè probabilmente neppure esiste. M anon lo ritengo un atto di amore.
                                                                         Silvano C.© 


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

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