venerdì 21 ottobre 2011

Un numero preciso di parole

Un uomo alla nascita ha assegnato un numero limitato di parole che può pronunciare, non una di più né una di meno. Un numero prederminato, che stabilisce in modo netto la durata della sua vita. È una invenzione letteraria presente in un racconto, inverosimile, apparentemente, che però diventerebbe del tutto plausibile se noi potessimo rivedere la vita di quell’uomo a rovescio, dalla fine al suo inizio. In quella condizione si potrebbero contare in modo preciso le parole pronunciare da quell’uomo, a partire dall’ultima, per arrivare poco a poco alla prima.
La nostra vita del resto è predermitata, io credo, anche se ovviamente non ho prova alcuna di questa convinzione.  È prederminata ma non ne conosciamo gli sviluppi, non ci sono note tutte le variabili, non sappiamo valutare le interazioni tra noi e tutto ciò che non è noi. Una tale condizione potrebbe ammettere un dio, ma potrebbe pure prescindere da qualsiasi entità superiore. È del tutto ininfluente il sapere se qualcuno sa in anticipo. Anche cioè se dovessimo ammettere che una entità superiore ha interesse a modificare la realtà pre-scritta, rimarrebbe sempre l’interrogativo sul perché tale entità non avrebbe dovuto appunto prevedere ogni singolo sviluppo, prima di dover modificare il concatenarsi degli eventi, microscopici e macroscopici.
E il libero arbitro? Tutta un'invenzione, evidentemente, nessuno è mai totalmente libero, in ogni sua azione. Senza pensare agli esseri viventi di altre specie che ci accompagnano durante la nostra vita, ma limitandoci alla specie umana, noi non siamo neppure liberi di nascere o non nascere. Qualcuno apparentemente decide per noi, anche se in realtà neppure quel qualcuno può decidere sino in fondo.
Inoltrei siamo vincolati dalla nostra corporeità, solida, pesante, invadente. Il nostro corpo segue tutte le leggi fisiche di causa ed effetto. La nostra mente immateriale sembra libera, ma segue a sua volta nozioni innate, apprese, assimilate da altri che sono venuti in contatto con noi. E mai in modo casuale, ma ogni contatto è dovuto a motivazioni preesistenti.
Un richiamo olfattivo o un sorriso scatenano una reazione, che può far nascere un amore; una frase stimola un gesto di rifiuto o di approvazione; uno sguardo determina un incidente che può costare la vita.
Eppure siamo noi i colpevoli dei nostri errori, non il caso, e abbiamo il bisogno di pensarlo, perché dobbiamo premiare o punire, dobbiamo avere categorie di giudizio, dobbiamo sentire la bontà nelle persone, oppure la cattiveria.
Sentiamo il bisogno di continuare a pensare che il Sole sorge, non che invece siamo noi, sulla Terra, a ruotare attorno al nostro asse. E lo ripetiamo, come un mantra, come un rosario, come un vecchio disco 45 rovinato che non si sposta da una frase, ripetuta all’infinito.
Cerchiamo il colpevole. Cerchiamo la ragione. Giudichiamo la realtà. Ci dividiamo in favorevoli e contrari, possibilisti e indifferenti, e non pensiamo che tutti, forse, siamo parte dello stesso gioco.
                                                                        Silvano C.© 


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

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