Non leggere se non vuoi sentire di morti e di vicende ormai concluse. Se leggerai lo farai a tuo rischio, accettando di cadere nel rimpianto e nella nostalgia, oppure nella rabbia e nell’impotenza sulla giustizia. Chi scrive parla quasi sempre di ciò che ha vissuto, si mette in prima persona oppure racconta di altri, di quello che ormai è avvenuto. Forse neppure le opere di fantasia si liberano del tutto da questo bagaglio ingombrante, e neanche la fantascienza. Un ipotetico romanzo composto in maniera casuale da un’intelligenza artificiale potrebbe essere completamente nuovo e non far riferimento a quello che è avvenuto? No, neppure quello, perché per farsi leggere dovrebbe usare un linguaggio condiviso e comprensibile, cioè vissuto già. La vera novità sarebbe un libro composto solo da caratteri casuali, da ideogrammi, da segni non interpretabili. Pagine e pagine assolutamente indecifrabili, a volte vuote, altre volte piene sino ai bordi e oltre. E quell’ipotetico libro, se mai fosse stampato, sarebbe unico, nessuna ristampa sarebbe possibile se non ripercorrendo il già visto.
Se leggi, quindi, significa che cerchi da altri risposte a domande che ti fai e che nessuno ti può dare. La miglior risposta è sempre un’altra domanda. Poco consolatoria ma sicuramente più onesta.
Tu mi ami? E tu?
Vado bene per dove mi pare? E dove sarebbe dove ti pare?
Ma perché un ebreo risponde sempre a una domanda con un’altra domanda? E perché no?
Ma tu pensi di vivere? Cos’è la vita?
Sai che sei matto? E tu sei sano?
Perché leggi? …
Silvano C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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