“L’amore
non avverte quando arriva, ma nemmeno quando se ne va” dice Elena Bibolotti
nel suo ultimo libro (Pioggia dorata), ma lo scrive nella conclusione di un racconto, quasi a far
capire che il titolo scelto è depistante. Il sottotitolo aggiusta meglio la
questione, e parla di sei storie amare. L’amaro non è inteso nel senso
letterale, quanto piuttosto nella percezione del dolore ancor prima che questo
si manifesti. Il libro ha come tema il sesso, eppure no.
Non
mancano certamente le pagine di sesso e le descrizioni che fanno riferimento al
pissing, con piccole deviazioni su sadomaso ed esibizionismo, eppure i sei
racconti si fondono, e se ne ricava un quadro unico, con personaggi che si
scambiano i ruoli, che dominano e si fanno dominare e non sempre è chiaro chi è
il più forte. Risulta sicuramente rappresentativo di ogni altra e diversa
pratica erotica, anche perché si legge pure: “Che tutto ciò che conta è
superare il limite tenendoci per mano, ascoltandoci con la massima attenzione”.
Può piacere o non piacere, il pissing, eppure il denominatore comune del libro
non è la pratica, bensì l’invito ad osare, per amore, a spingersi oltre, verso
qualunque direzione, a condizione che non si proceda da soli e che sia una
scelta condivisa.
Le
debolezze sono apparenti, la forza non è mai stabile o senza un prezzo da
pagare. Chi è forte arriva alla sconfitta, ma a volte sorride di questa
sconfitta, che forse cercava da tanto tempo.
E
chi è insicuro e vuole dominare? Celare i momenti di tenerezza si può rivelare
un errore irreparabile.
Tutto
questo riconcilia col senso dell’inadeguatezza che ci sovrasta, ci fa sentire
meno soli, e smonta, prima ancora che si possano creare, eroi senza paura e che
non sbagliano mai.
Ad
un certo punto Elena Bibolotti scrive: “A chi chiederli indietro quegli anni se
li avessi impiegati male?” Ognuno si risponda pure, se desidera farlo, se ha
vissuto abbastanza, se già rischia di appartenere alla schiera di alcuni
vecchi: “Increduli, i vecchi rifiutano l’idea di essere stati presi per il culo
tutta la vita e decidono di crederci ancora. Lì, davanti alla tivvù”.
Alla
fine, da quello che rimane, sembra di capire che l’ingenuità sia un peccato,
una colpa, ma non c’è alcuna accusa, semplicemente un invito a ripensarla. Quanto
di noi dovremmo rimettere in discussione, se siamo ancora in tempo, o dobbiamo invece
accettare lucidamente, senza illusioni ma anche con un po’ di comprensione per
la nostra debolezza?
Silvano C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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