lunedì 4 gennaio 2016

La strozzatura



Per una breve stagione è sembrato che si fosse allentata, non so stabilire con esattezza i tempi di questa apertura, ma è avvenuta, nella nostra storia repubblicana, dopo la fine della seconda guerra mondiale.

Per un paio di decenni, forse tre, ad essere larghi nella stima, a partire dal boom economico sino al momento delle bombe terroriste (quasi tutte ancora da attribuire con certezza ai veri colpevoli) è sembrato che in Italia l'impegnarsi o il sacrificarsi un po’ permettesse di trovare una via per realizzare i propri sogni. La ricchezza, la vera ricchezza, è rimasta nelle solite mani, ma per moltissimi si sono ridotte le distanze economiche e sociali. Anche chi non aveva santi in paradiso poteva aspirare a qualche posizione lavorativa accettabile. Non di prima scelta, magari, ma pur sempre una scelta dignitosa.

Poi, in modo impercettibile ma inesorabile, di nuovo si sono ricreate le barriere ottocentesche che separavano i ceti sociali. Non erano mai sparite, sia chiaro, ma sembravano meno rigide, e lo erano, nei fatti. Ora la strozzatura sociale è evidente, tangibile, drammatica. Alcuni, sempre meno numerosi, si possono permettere di acquistare auto lussuose da 50mila euro e di cambiarle dopo un paio di anni, vivere in veri e propri castelli inargentati, recintati, protetti ed esclusivi, ed ottenere incarichi di prestigio o vantaggi per la propria famiglia che i comuni cittadini (definirli cittadini sembra quasi una presa in giro) semplicemente si sognano.

Io non so individuare le cause principali di tutto questo, sono troppe, e non so neppure metterle in ordine logico. Posso solo tentare di elencarne alcune, come mi vengono alla mente. Eccessivo consumo di territorio ed abbandono dell’agricoltura, perché si è pensato che solo la città rappresentasse il progresso. Partiti che si sono impossessati del potere di distribuire favori e occupazione, invece di essere solo amministratori e mediatori tra istituzioni e persone. Miglioramento economico che da un certo momento in avanti si è fondato sull’aumento del debito pubblico, ipotecando il futuro di figli e nipoti per avere salari più alti e pensioni ancor prima dei 50 anni. Perdita progressiva del valore del lavoratore per dare maggiore importanza al bene prodotto, e di conseguenza riduzione ininterrotta, negli ultimi anni, di quanto era stato conquistato nelle lotte sindacali. Differenza che non si è mai annullata tra lavoro femminile e maschile, diversamente riconosciuto e retribuito. Delocalizzazione in paesi dove produrre costa meno, e dove le garanzie ed i diritti sono lontani anni luce da quelli che un paese civile dovrebbe garantire. Diffusione dell’egoismo a livelli prima impensabili che hanno portato ad evadere sempre di più le tasse, a pensare esclusivamente al proprio vantaggio personale ed a nascondere in paradisi fiscali le ricchezze che avrebbero dovuto restare in Italia. Peso ormai insostenibile della malavita organizzata, che si contrappone con la sua struttura a quella dello Stato, quando non ne fa parte, in certe situazioni sepcifiche. Globalizzazione e perdita di potere dei governi nazionali sulla finanza mondiale, e tentativo decisamente non riuscito perché mai portato a compimento dell’Unione Europea. L’Europa avrebbe avuto una possibilità di contrastare la finanza globale, se fosse stata unita e se nessun paese fosse stato abbandonato o, al contrario, non avesse avuto la possibilità di continuare con le furbizie a proprio esclusivo vantaggio (L’Italia è troppo piccola per poter contare da sola, l’Europa le serve, ed all’Europa serve l’Italia).  E poi? Poi la perdita della capacità di impegnarci come i nostri padri, che hanno riscostruito il Paese dalle macerie di guerra e fascismo. Poi l’immigrazione, che ha portato persone abituate a lavorare giorno e notte nei loro piccoli negozi creando una nuova classe di imprenditori che vengono da altri Paesi (quanti ristoranti e pizzerie negli ultimi anni hanno cambiato gestione ed ora sono in altre mani, non italiane?). E i nostri giovani più capaci che se ne vanno, lasciando lentamente scendere il livello di eccellenza che avevamo conquistato nel mondo, in molti settori. E poi forse dovrei continuare, perché non è tutto, ma non ho più desiderio di farlo, già ho detto molto, e sono preoccupato per un’intera generazione costretta a lavori precari, insicuri, senza che vengano versati contributi per la loro lontanissima, insufficiente ed insicura pensione, quando arriverà il momento. 
Questa mostruosa strozzatura che fa passare solo i più fortunati e garantiti, che permette ancora ai migliori di avere qualche possibilità ma ignora l’enorme massa dei ragazzi normali, quelli solo nella media, sta aumentando la differenza tra chi può vivere e chi si deve accontentare di veder vivere. Non so per quanto tutto ciò potrà continuare ancora senza un mutamento radicale.

                                                                                                        Silvano C.©   

(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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