martedì 17 novembre 2015

Gli ultimi 11 giorni della sua vita

Il primo giorno, quando capì, andò a trovare la moglie, che lo aspettava ormai da oltre dieci anni, in Certosa, nel posto che aveva scelto per loro due. Rimase un po’, a raccontarle alcune cose, a parlare con lei come se il discorso non si fosse mai interrotto, si sfogò, le spiegò che lei era stata fortunata, che chi resta non è mai il privilegiato, e che certe cose vanno in un certo modo ma che potrebbero pure essere diverse. Raccontò dei figli, che stavano lontani e che si erano dimenticati di lui. Le disse che casa loro era perfetta, anche per lui, e che avevano fatto sacrifici, ma che ne era valsa la pena. E poi tornò, e per il resto giorno non fece nulla di particolare.

Il mattino dopo decise di andare a trovare il figlio che viveva a Torino, o meglio, in una cittadina vicina a Torino. Arrivò verso le 11 di mattina, senza avvisare della sua visita, voleva fare una sorpresa. Vide che in quella casa regnava la tristezza, che non erano felici, che il figlio tanto a lungo desiderato non arrivava, che c’erano problemi economici e di salute, e tentò di portare un po’ di consolazione, raccontò che le cose sarebbero andate meglio, che non dovevano preoccuparsi, che li avrebbe aiutati, in qualche modo. Lo invitarono a pranzo, e fu piacevole, non era mai stato nel loro nuovo appartamento. Poi salutò e tornò a casa. Anche quel giorno si era concluso.

Poi fu il turno dell’altro figlio, il minore, quello più fortunato dei due, che gli aveva dato due nipotini, Anna e Giampiero. Anche da loro arrivò verso le 11 di mattina, e tutti furono stupiti di vederlo. Da anni non andava a trovarli, da quando non guidava tanto a lungo, perché anche loro abitavano lontani. Fu una festa, e anche con loro rimase a pranzo, come se fosse una domenica di tanti anni prima, quando c’era ancora lei. Si raccontarono piccole cose; i nipotini dissero dei loro successi scolastici, o dell’ultima festa a casa di amici, il figlio e la nuora gli fecero vedere un mobile, che lui non aveva mai visto, e pure l’auto nuova. Poi venne il momento di salutare anche loro. Tornò a casa, e così si concluse il giorno.

Attorno alle 11 del giorno dopo andò a trovare il fratello, molto più giovane di lui, ma anche lui ormai avanti con gli anni. Lui non si stupì della visita, del resto si vedevano abbastanza spesso, abitando a poca distanza. Si raccontarono di tutti i loro fratelli che se ne erano andati, uno alla volta, e dei genitori, e di come quello zio era stato tanto tempo lontano, durante la guerra. Non rimase a pranzo, di solito non lo faceva mai con lui, e tornò a casa prima del tempo, quel giorno.

La mattina successiva decise di rivedere tutte le case dove aveva vissuto, negli anni, a partire da quella dove era nato, la prima. Provò delusione quando vide che questa non esisteva più, che era tutto cambiato. Ora era periferia cittadina, non più campagna, e al posto della vecchia casa in mattoni sorgeva un enorme palazzo abbastanza signorile. Abbandonò il posto, e continuò il giro riandando in tutti i luoghi dove aveva abitato, sino a ritrovarsi di nuovo, alla fine del giorno, nel suo soggiorno, seduto davanti alla televisione. Pensò che ne aveva viste di cose, in tanti anni, e si addormentò.

E gli amici? E tutti quelli con i quali aveva trascorso le sue giornate, i colleghi sul lavoro, gli operai, i muratori, quelli che lo avevano aiutato in tanti modi, dandogli fiducia ed aiuti, quelli che lui a sua volta aveva aiutato? Il giorno dopo dalla prime ore di luce sino al momento del tramonto li volle rivedere tutti, dal primo all’ultimo, e a tutti dire qualche cosa, con tutti scambiare due parole. Pure un meccanico, ormai amico di famiglia, volle salutare.

Poi di nuovo volle tornare da lei, e non in Certosa, ma dove l’aveva conosciuta, all’angolo di quella strada, dove si erano visti la prima, e poi in quel vecchio fienile, quando fecero l’amore, e poi in quella gita a Roma, oppure quando lei venne a trovarlo in ospedale dopo quel brutto incidente. E ancora con i figli, o al mare, o a Venezia, o in vacanza sull’Appennino bolognese. Una vita intera. Con lei.

Il giorno dopo si chiese cosa poteva fare o chi poteva vedere ancora, e decise di uscire da solo, a piedi, girare attorno a casa, allargare il giro, vedere un po’ la città, prendere un caffè nel bar all’angolo, salutare il barista, salutare così uno dopo l’altro il numero enorme di persone che vivevano attorno a lui e lo conoscevano. Ovunque trovava qualcuno. Il figlio di Renato. La moglie di Augusto. La vedova del povero Pini. I fratelli della tabaccheria, che salutava perché i loro padri erano nati nello stesso paesino. E così anche quel giorno finì.

La mattina che venne prese gli attrezzi e la scala, riparò le due finestre del bagno e della cucina, aggiustò una tapparella, cementò un muretto che stava cedendo. Non contento ridipinse anche una porta che si era rovinata sbattendo contro una parete e cambiò la guarnizione ad un rubinetto in bagno che perdeva. Alla fine del giorno la casa aveva un aspetto più curato, e fu soddisfatto di quello che aveva fatto. Andò a dormire allegro, anche se un po’ stanco.

Il penultimo giorno rimase con Adriana, che lo seguiva da tanti anni. Rimase nel cortile, seduto tranquillo, a godersi la stagione primaverile ed a guardare la gente che passava e salutava ora lui ora lei. Era soddisfatto, ma anche stanco. Desiderava cambiare le cose, andare altrove, perché lì ormai non aveva più nulla da fare, il suo tempo era quasi giunto alla fine.

L’ultimo giorno decise di tornare sul letto ospedaliero nella stanza di casa sua dove ormai stava quasi immobile da almeno 10 giorni, col sollevatore a pochi passi, ritornato dopo una degenza in ospedale durante la quale i geriatri avevano solo constatato che le sue condizioni erano sempre più critiche. A lui andava bene così. Era il momento giusto per farlo, e se ne andò.

                                                                                                        Silvano C.©   

(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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