Tento di ricominciare, da me, o da te. Leggi come
preferisci, comunque tu scelga credo ci si possa intendere. Credo pure che la
cosa non ti interessi direttamente, ne sono quasi sicuro (probabilmente se interessasse te, tu non mi leggeresti).
In questi giorni mi è difficile intervenire
direttamente in molti discorsi 3.0, e non solo per il mio bisogno di capire o
di rifiuto a priori del pensiero altrui, ma per il motivo che mi serve tempo e
che vedo, al solito, emergere il meglio ed il peggio dal web. Tento quindi un
approccio iniziando da me stesso.
Non ho alcun diritto di esprimere idee sul
recentissimo venerdì tragico di Parigi se mi sono lasciato andare in passato a
giudizi o atteggiamenti di rifiuto di ogni mia personale responsabilità.
Io sono responsabile, lo è il mio Paese, l’Italia,
lo sono anche la totalità dei Paesi del mondo, a partire dalla stessa Francia,
vittima di questa tragedia. Un paese occidentale coinvolto in qualche misura
nel colonialismo o nell’imperialismo è responsabile, e quindi Francia, Regno Unito,
Belgio, Olanda, Portogallo, Spagna, anche l’Italia, e tantissimi altri, sono
responsabili.
Se ho professato una qualsiasi fede religiosa
in modo totalizzante, ad esempio da cattolico integralista, allora sono
colpevole. La religiosità imposta a chiunque, seppure a fin di bene o per
salvare le anime, è una colpa imperdonabile, anche se tale colpa è stata
commessa qualche secolo fa, perché per la storia i secoli sono una battito di
ciglia, un alito di vento, e sono presenti ancora oggi con i loro effetti. Credo
che nessuna fede monoteista sia indenne da colpe di oggi o del passato. Se poi si
cerca la giustificazione nel fatto che i fanatici o i deviati non rappresentano
la fede istituzionalizzata posso convenire che non la rappresentano, ma non
dimentico che è da quella che i fanatici prendono le mosse.
Quando vivo, grazie alla mia nascita, sopra i
miei mezzi umani, cioè a quelli concessi mediamente ad ogni essere umano della
Terra, e questo in virtù di privilegi legati alla classe sociale, al luogo nel quale
sono venuto al mondo, al colore della mia pelle, in ultima analisi alla
fortuna, sono coinvolto direttamente nella colpa.
Non vivendo in una periferia degradata
italiana, in una bidonville o in una banlieue, in una terra occupata dalla
malavita, in un paese in guerra che obbliga ad emigrare, perdo molti dei miei
diritti a dirmi innocente. Perché devo stupirmi se qualcuno, in modi che io non
posso accettare, non accetta il modo nel quale vivo io, ignorando la sua condizione?
Se lavoro in una fabbrica di morte e produco
armi, che sono pure giustificabili se in buone mani e usate per difendere i
deboli, moralmente partecipo alla responsabilità di chi quelle armi poi usa
contro gli innocenti. Spero che tutti ricordino la storia di Alfred Nobel, a
questo proposito, o dei dubbi sull’impiego dell’energia atomica venuti a molti
degli scienziati pionieri in questo campo. La questione, ancora oggi, non è
risolta. Riguarda la morale della scienza, e coinvolge ogni persona con
responsabilità in un qualsiasi progetto scientifico utilizzabile anche a scopi
bellici o di offesa.
Infine non ho diritto alcuno di sentirmi
superiore agli altri, di assumere atteggiamenti razzisti, di giudicare il mio
stile di vita migliore di quello altrui (e non solo di volerlo imporre), come
alcuni ora sembrano voler far intendere. La nostra Europa ha le mani troppo
insanguinate per poter pensare che il suo stile di vita meriti un
riconoscimento morale per il solo fatto di essere, ora, e solo formalmente, rispettosa
di ognuno ed accogliente con chi rispetterà le sue leggi. Studiare la storia, anche
solo a partire dal novecento, dovrebbe aiutarci a non accusare.
Ecco, solo questo, prima di ricominciare a
voler dire che gli altri ci attaccano. Se io non sono coinvolto in nessuna
delle situazioni sopra descritte posso certamente parlare.
Silvano C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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