Il posto fisso non è un
diritto, il dipendente pubblico è un privilegiato, l’imprenditore rischia e il
dipendente no, i dipendenti pubblici non fanno nulla e rubano lo stipendio,
occorre ridurre le spese nella pubblica amministrazione, bisogna razionalizzare
e tagliare i rami secchi ed improduttivi…
Ecco un campionario
assolutamente incompleto di luoghi comuni con un solido e sicuro fondo di
verità ed una certa percentuale di innegabile e facile demagogia.
La mia ottica non è
imprenditoriale, occorre premetterlo per chiarezza, e quindi sono aperto ad
ogni critica e suggerimento mi possa arrivare da quel settore. Io però voglio
solo riflettere su un aspetto, e cioè su alcuni affetti perversi del meccanismo
degli appalti.
Senza entrare nel merito del
concetto di appalto, mi interessa qui soltanto il sistema delle offerte (più o meno) segrete al massimo ribasso, e riflettere sui suoi effetti quando una amministrazione
decide di non svolgere più con suoi dipendenti un certo servizio, perché
giudicato troppo oneroso per la comunità, ma di affidarlo ad altri, non di rado
cooperative di ex dipendenti o di lavoratori in cerca di occupazione o, in
altri casi, di grosse società di servizi che operano anche sull’intero
territorio nazionale o addirittura europeo.
Caso
1 – La cooperativa. Il socio della cooperativa, pur svolgendo a tutti gli
effetti un lavoro dipendente, si assume in proprio molti oneri e rischi,
solitamente riceve un compenso basso, svolge attività precaria, e non è mai
fidelizzato all’ente o al luogo dove presta servizio. Non è raro che venga
pagato con grossi ritardi o non pagato per nulla. Ad esempio un bidello
scolastico comunale o comunque pubblico ha garanzie sindacali, ha un credito
dalla banca in caso di bisogno, ha una sicurezza per il futuro che gli permette
di fare piccoli investimenti (cioè spese che muovono l’economia), pensare ad
una famiglia e così via. Il socio della cooperativa che entra nella scuola solo
per le pulizie, con un contratto a termine, sottopagato (l’offerta che ha vinto
era necessariamente più bassa), non ha credito in banca, non può fare progetti
per il futuro se non a suo rischio, e sicuramente spende di meno, smuovendo di
quasi nulla l’economia locale. Si ottiene un risparmio per le casse pubbliche a
spese di una maggiore insicurezza sociale, cioè a scapito dei più deboli, non
certo dei ceti elevati, e riduce lentamente le basi del ceto medio.
Caso
2 – La grossa società di servizi. Anche in questo caso, se l’appalto si vince
col meccanismo della migliore offerta, cioè di quella meno onerosa per l’ente
pubblico o privato, si innescano meccanismi che è difficile voler giustificare
col semplice risparmio pur mantenendo il livello della qualità. È una presa in
giro avere qualità a basso prezzo, è la pubblicità del discount, dell’illusione
dei poveri. Inutile che spieghi la differenza tra una utilitaria della Fiat ed
una berlina della Mercedes, oppure tra un pc economico ed un Apple, no? La cosa
mi appare ancor più nitida ed evidente quando, alla scadenza di un contratto,
la società che ha gestito il servizio per anni, a volte moltissimi anni, perde
la gara di appalto e subentra una nuova società. I lavoratori della vecchia
società vengono rassicurati da tutti, ma sarà impossibile garantire loro lo
stesso trattamento economico e le stesse condizioni di lavoro se i soldi a
disposizione sono comunque di meno.
Non
ho soluzioni, sinceramente. Vedo però che in altri paesi, e in certe condizioni
anche da noi, in Italia, i lavoratori sono corresponsabilizzati e partecipano
agli utili ed alle perdite con meccanismi ben diversi, meno punitivi, senza mai
dimenticare la dignità del lavoro, che è al primo punto della nostra
Costituzione.
L'incisione che illustra il post è di Escher
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte. Grazie)
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