domenica 18 agosto 2013

Una sentenza che decreta morte

“Giudici eletti, uomini di legge 

noi che danziam nei vostri sogni ancora

siamo l'umano desolato gregge

di chi morì con il nodo alla gola.

Quanti innocenti all'orrenda agonia

votaste, decidendone la sorte,

e quanto giusta pensate che sia

una sentenza che decreta morte?”
 
(Fabrizio De Andrè: Recitativo)

Queste parole di un poeta e cantautore anarchico non sono certamente un trattato di diritto, né vogliono essere esaustive di un tema troppo grande per limitarlo a pur sempre bellissimi versi come questi. No. Del resto io stesso non sono uomo di legge, semmai la legge l’ho subita e rispettata, volente o nolente, pagando i miei debiti.

Un fatto - Il processo in Svezia ad Anders Behring Breivik, Il pluriomicida condannato ad una pena detentiva di soli 21 anni (poco più di 3 mesi per ogni vittima), in un carcere migliore di molti nostri collegi, ha aperto uno squarcio, ha spezzato un telo pesante nella coscienza di molti. Se si pensa a quanti paesi civili ancora adottano la pena di morte per reati molto meno gravi la differenza tra la Svezia e questi paesi è immensa.

Digressione 1 - Io ritengo l’uomo superiore ad ogni altra specie vivente, ritengo sbagliate pur se pietose le tesi animaliste, e ritengo fuorviante assimilare un uomo ad un cane, ad un delfino, ad un elefante. L’uomo è ben peggiore di questi esseri quando uccide, stupra, semina odio e fa scoppiare guerre. Ma nessuna altra specie ha creato la poesia di Ungaretti, nessuna ha solo immaginato la nona sinfonia di Beethoven, nessuna ha raggiunto la perfezione della Monna Lisa di Leonardo o del Perseo del Cellini, dimenticando volutamente capolavori immortali di artisti e geni di tutto il mondo, noti o sconosciuti. Chiarisco poi che non sono credente nel senso comune dato al termine, perché sinceramente non mi interessa un Ente superiore, in questo caso specifico. Io rifiuto la pena di morte per l’uomo data da un altro uomo che giudica un suo simile e si erge a divinità che dispensa o vita o morte. Nessun altro essere vivente, a quanto risulta dalle mie conoscenze etologiche, uccide individui della sua stessa specie in questo o in altri modi.

La situazione in Italia – Le carceri sono sovraffollate e vari partiti denunciano questa realtà. La stessa Europa ed Amnesty ci accusano di trattamento inumano dei detenuti. Restano in prigione persone in attesa di giudizio, che in alcuni casi poi sono giudicate innocenti o non aver compiuto il fatto. Molti detenuti, la maggioranza, appartengono agli strati deboli della popolazione, oppure sono immigrati. Non si fa seria opera di recupero e di reinserimento. La detenzione ha un costo elevato per la comunità. Alcuni assassini sono in libertà, senza aver mai scontato un solo giorno di detenzione (ad esempio chi ha investito ed ucciso mettendosi alla guida sotto effetto di alcol o droghe).

Possibili soluzioni – Poiché resto fermamente convinto della non umanità della pena di morte, sia come vendetta che come deterrente, ma sono consapevole che altresì la giustizia deve comminare una giusta pena per chi commette un delitto, rapportata anche alla gravità del delitto stesso, offro un'ipotesi di soluzione del problema, discutibile forse, ma propositiva, perché non si può solo criticare, si devono dare idee e possibili applicazioni diverse.
La mia ipotesi è che un assassino, comunque lo sia diventato, per volontà o per semplice colpa (escludendo solo il puro caso o la coincidenza assolutamente non voluta, cercata o resa possibile), debba sempre pagare con la detenzione, mai con la pena di morte. Penso poi che ogni detenuto non debba vivere in condizioni disumane, come avviene in Italia, anche se non siano un Paese piccolo e ricco come la Svezia. Credo infine che il detenuto non debba essere mantenuto a spese dello Stato, cioè di tutta la comunità. Occorre che chi viene recluso si paghi come minimo tutte le spese, e magari qualcosa in più, come risarcimento alla società, alle parti lese ed alle vittime. In altre parole i quasi 70mila detenuti devono lavorare, produrre, essere utili, nel modo più adatto alla loro preparazione professionale o lavorativa. Chi non ha commesso reati contro la persona o non è pericoloso deve essere lasciato libero di lavorare all’esterno del carcere, ma non di dormire fuori dal carcere stesso, ed il frutto del suo lavoro deve essere requisito per pagare il mantenimento della struttura di reclusione. Tutti gli altri dovrebbero svolgere attività fisiche o intellettuali a loro adatte. Il problema non è di poco conto tuttavia, perché il numero dei detenuti corrisponde quasi a quello di dipendenti ed indotto di una grande azienda. È tutto un sistema paese che va ripensato, con modifiche lente della struttura sociale, in direzione di una maggiore giustizia e civiltà. Ad esempio parte dei detenuti potrebbero essere impiegati al posto di immigrati pagati in nero nelle raccolte stagionali, altri nella prevenzione degli incendi boschivi con opere di ritardo o ostacolo passivo alla diffusione degli incendi. Nulla di inumano però, non lavori forzati con catene ai piedi a schiacciare sassi, solo una giusta restituzione alla comunità, con orari paragonabili a quelli di tutti gli altri lavoratori.


Digressione 2 – Io certe persone le metterei dietro le sbarre e poi getterei la chiave. Se qualcuno toccasse una persona che amo diventerei un belva, e progetterei vendette atroci. Se potessi mettere le mani su una persona del genere la ucciderei con le mie mani. Pure io penso queste cose, è innegabile, è un bisogno profondo, irrazionale, quasi scritto nel DNA. Però non sono io che posso fare giustizia. Non è il singolo che deve farla, ma è lo Stato. È lo Stato che deve fare in modo che io, in preda a impulsi umani ma non mediati da riflessione e ragione, possa commettere a mia volta altri delitti o anche solo errori. 
La pena di morte insomma non è un deterrente, fa cadere in mani umane un potere "divino" che non riconosco a nessuno, perchè uccidere non è come recludere, mai. Qualcuno non dimostra alcun pentimento, si comporta in modo tale da metitare oggettivamente la morte? E allora che non gli sia regalata la morte come espiazione, ma che la sua vita in terra diventi un vero inferno. La vendetta migliore per me è quella, se deve essere vendetta (anche se sarebbe meglio giustizia). Non mi piace l'idea che un assassino torni libero, questo non deve succedere, non dovrebbe succedere, ma la cosa non giustifica la sua soppressione, piuttosto giustifica mutare le leggi perchè non escano più in libertà. E chi si pente poi? Per questi la pena peggiore sarà la vita con il senso di colpa, sino alla fine.


Non ho conclusioni, ed il tema resta aperto. Aggiungerò e modificherò questo testo se avrò critiche o suggerimenti tali da indurmi a farlo, e leggerò in ogni caso con attenzione i commenti che chi vorrà mi farà, su questo blog, ringraziando sin da ora per l’attenzione,
                                                                                   
                                                                                       Silvano C.©


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

2 commenti:

  1. Condivido la descrizione dell'uomo come essere superiore, è ben visibile guardando gli esseri che popolano il mondo, e condivido la pena come vita e nn come morte.
    Essendo da sempre innamorata del Merisi,e amandone tanto l'opera non posso non amare anche l'autore, perfetto esempio di artista sublime ma di uomo molto misero.
    Mi soffermo allora a contemplare il suo autoritratto, la testa del Golia urlante nella morte, quel volto morto che guarda e chiede la fine della sua pena. Anche il Merisi riteneva la sua vita una pena, allora se può esser pena..che vita sia..
    Narcisa

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