Questi due episodi alcolici sono lontani
nel tempo, ed anche lontani tra loro nello spazio. Non è prevista una morale finale.
Ero giovane, vivevo in
famiglia. Eravamo in sei in un appartamento di una casa popolare a Ferrara, e
ci eravamo trasferiti da poco da Porotto. Frequentavo il liceo, non conoscevo
molta gente, e mi capitava di fare due passi da solo. Un giorno incontro sotto
casa un uomo che barcolla, mi avvicino, ed il suo fiato alcolico quasi mi
stende sul posto. Chiedo se posso essere utile, mi guarda interrogativo, gli
dico se vuole entrare un attimo in casa per riprendersi, e lui accetta.
Entriamo, mia nonna è
stupita e chiede chi sia l’ospite inatteso. Io le spiego in modo poco chiaro
mentre lui, sedendosi su una poltrona, per poco non sbaglia il bersaglio ed
abbatte un tavolino con ripiano in vetro di poca qualità ma che ai miei piace
perché “fa molto salotto”. Mia nonna vede che questa persona non si sente
bene,e allora:
-
Vuole qualcosa da bere ? –
Non aggiungo nulla, è
sufficiente così, per questo primo episodio.
Diversi anni dopo sono a
Trento, neonominato supplente in un Istituto superiore. Anche in quel momento
conosco poca gente, lontano dai miei riferimenti, e mi capita di uscire la sera
da solo, a fare due passi, in preda ad una leggera depressione perfettamente
giustificata dalla situazione. Trento tuttavia, la sera e per chi non ha
contatti, è tutto tranne una cura per la solitudine. Almeno per me in quegli
anni. Incontro un uomo che barcolla, mi avvicino, ed il suo fiato alcolico
quasi mi stende sul posto. Stavolta non lo invito nella mia stanza in affitto,
come feci molti anni prima più a sud e più giovane. Decido però che non lo
posso abbandonare, e neppure portarlo in un bar per offrirgli qualcosa da bere.
A poca distanza c’è una casa di cura con un pronto soccorso. (Trento non è
molto estesa, e tutto è facilmente raggiungibile, a piedi).
Sorreggendo l’uomo, magro e
con la barba lunga, lo faccio camminare sino all’ingresso. Entro, il personale
di guardia mi chiede cosa desidero, io spiego la situazione, mi osservano come
se fossi un marziano, confermano che lo conoscono, che spesso hanno avuto a che
fare con lui. Mi assicurano che lo terranno in osservazione e mi congedano. Non
mi ricordo se mi ringraziano, ho solo la netta sensazione che mi considerino
uno che gli ha portato una grana, o una perdita di tempo, mentre loro stavano tranquilli
a rilassarsi.
Non so più nulla di quell’uomo,
ma tornando alla mia stanza in affitto la depressione aumenta.
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte. Grazie)
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