Tanti anni fa ho iniziato ad
insegnare, arrivando all’insegnamento in modo casuale, quando ancora i figli
degli operai potevano aspirare innanzitutto ad un lavoro e, subito dopo, ad una
piccola scalata sociale.
Mi sono così ritrovato
lontano da casa, in luoghi tipici da vacanze estive ed invernali.
I primi anni sono stati
belli ed assolutamente istintivi, col desiderio di scoprire cose nuove,
persone, situazioni, e soprattutto i ragazzini.
La sperimentazione era la
cosa più eccitante, unita ad una libertà impossibile in altre attività.
Più di una volta mi sono
messo sul piano dei miei alunni, talvolta manifestando più voglia di giocare di
loro. Ho commesso pure errori, ovviamente, come quando ho sconvolto le
ragazzine di una classe per aver proiettato un filmato per ragazzi
sull'educazione sessuale che però avevo noleggiato presso le Edizioni Paoline,
e che quindi pensavo adatto alla situazione, senza possibilità di scandali e
assolutamente non provocatorio.
Ne è nato un caso però, con
genitori inviperiti, sommosse, riunioni e spiegazioni.
Ricordo ancora come se fosse
successo ieri alcuni momenti di quella disavventura, conclusasi con una mia
quasi assoluzione per insufficienza di prove e con i benefici della
condizionale.
Ma sono stati anni di
scoperte, nei quali provavo esperienze nuove, cercavo la via ludica alle cose
serie.
Visitavo io per primo i
musei dove poi avrei portato le classi, quando i musei erano ancora musei, e
non strutture parascolastiche o di immagine. Preparavo il percorso per le classi
e le verifiche che i ragazzini avrebbero affrontato visitando le sale più
interessanti, e non mi servivano le guide.
È trascorso così più di un
quarto di secolo, mentre io mi sposavo, compravo casa, avevo un figlio, e la
scuola rimaneva con me anche la sera o la domenica, ma mi permetteva di vivere,
vedere gente, girare il Trentino e tornare regolarmente a ritrovare i miei, a
Ferrara.
Poi le cose non hanno
cominciato a cambiare. Ho avuto varie avvisaglie, nel corso degli anni, di
questa trasformazione. Ad esempio ricordo un laboratorio sulla fotografia che
ho organizzato, quando ancora si usava la pellicola, con sviluppo e stampa in
camera oscura. Tutto è andato nel migliore dei modi, sino a quando la classe è
partita per una settimana bianca. Al ritorno i miei alunni erano cambiati. In
camera oscura erano più interessati a sviluppare relazioni tra loro che non la
pellicola. E le luci scarse della lampadina rossa mi restituivano immagini
preoccupanti, adatte quasi a quella luce. Ho dovuto interrompere il laboratorio
anzitempo.
Un altro segno l’ho avuto
quando, dopo anni che portavo le classi al planetario, con un discreto
successo, un’ultima classe, durante una lezione sulle costellazioni e sull’asse
terrestre ha iniziato a disturbare in modo sempre più insopportabile,
costringendomi anche in quel caso a mettere fine per sempre all’esperienza,
perché non erano cattivi ragazzi, solo ho capito che non funzionava più, loro
erano cambiati.
Quelli che prima erano casi
isolati di maleducazione e difficoltà, assolutamente fisiologici e accettabili,
e che avevo i mezzi per poter controllare e recuperare, si sono diffusi in
numero sempre crescente. Molte attività sono divenute difficili da proporre
senza apportare modifiche sostanziali, e la cosa più demoralizzante è stata,
per me, la perdita progressiva di quello spirito di gioco e di improvvisazione
continua e controllata che mi dava leggerezza e nuova energia da spendere.
Tutto il mondo scolastico
stava cambiando sempre più velocemente. Io mi sono adeguato, ovviamente, mi
sono aggiornato con centinaia di ore di corsi, ho imparato ad usare il
computer, ho tessuto relazioni con esperti che si è rivelata preziosa, e dentro
di me ho mantenuto vivo sin quasi all’ultimo Peter Pan.
Gli ultimi tre anni di
carriera scolastica però mi hanno trasformato, Wendy era cresciuta e mi diceva
che non ero più quel ragazzino.
Le modalità di lavoro erano
mutate, e così le regole, la burocrazia, i nuovi dirigenti scolastici, gli
alunni, i genitori.
Le difficoltà crescenti che
la scuola ha dovuto affrontare con la riduzione delle risorse a tutti i livelli
e le condizioni di lavoro mutate mi hanno fatto perdere la voglia di giocare,
mi hanno distratto dal motivo che mi aveva fatto amare la scuola. Sono rimasto
a lungo un ragazzino tra i ragazzini. Quando ho capito di non esserlo più ho
dovuto lasciare ad altri il compito di continuare il cammino, senza rimpianti,
ma con un po’ di amarezza per quello che avrebbe potuto essere e non è stato.
Ora, quando rivedo i miei ex
alunni, sono quasi sempre quelli che mi hanno dato più problemi a darmi maggior
piacere. Ormai la loro vita, comunque, se la stanno creando, ed i loro successi
non sono certo merito mio, ma del loro impegno e magari di un po’ di fortuna.
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte. Grazie)
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