venerdì 10 maggio 2013

sono cambiato io, o è cambiata la scuola?


Tanti anni fa ho iniziato ad insegnare, arrivando all’insegnamento in modo casuale, quando ancora i figli degli operai potevano aspirare innanzitutto ad un lavoro e, subito dopo, ad una piccola scalata sociale.
Mi sono così ritrovato lontano da casa, in luoghi tipici da vacanze estive ed invernali.
I primi anni sono stati belli ed assolutamente istintivi, col desiderio di scoprire cose nuove, persone, situazioni, e soprattutto i ragazzini.
La sperimentazione era la cosa più eccitante, unita ad una libertà impossibile in altre attività.
Più di una volta mi sono messo sul piano dei miei alunni, talvolta manifestando più voglia di giocare di loro. Ho commesso pure errori, ovviamente, come quando ho sconvolto le ragazzine di una classe per aver proiettato un filmato per ragazzi sull'educazione sessuale che però avevo noleggiato presso le Edizioni Paoline, e che quindi pensavo adatto alla situazione, senza possibilità di scandali e assolutamente non provocatorio.
Ne è nato un caso però, con genitori inviperiti, sommosse, riunioni e spiegazioni.
Ricordo ancora come se fosse successo ieri alcuni momenti di quella disavventura, conclusasi con una mia quasi assoluzione per insufficienza di prove e con i benefici della condizionale.
Ma sono stati anni di scoperte, nei quali provavo esperienze nuove, cercavo la via ludica alle cose serie.
Visitavo io per primo i musei dove poi avrei portato le classi, quando i musei erano ancora musei, e non strutture parascolastiche o di immagine. Preparavo il percorso per le classi e le verifiche che i ragazzini avrebbero affrontato visitando le sale più interessanti, e non mi servivano le guide.
È trascorso così più di un quarto di secolo, mentre io mi sposavo, compravo casa, avevo un figlio, e la scuola rimaneva con me anche la sera o la domenica, ma mi permetteva di vivere, vedere gente, girare il Trentino e tornare regolarmente a ritrovare i miei, a Ferrara.

Poi le cose non hanno cominciato a cambiare. Ho avuto varie avvisaglie, nel corso degli anni, di questa trasformazione. Ad esempio ricordo un laboratorio sulla fotografia che ho organizzato, quando ancora si usava la pellicola, con sviluppo e stampa in camera oscura. Tutto è andato nel migliore dei modi, sino a quando la classe è partita per una settimana bianca. Al ritorno i miei alunni erano cambiati. In camera oscura erano più interessati a sviluppare relazioni tra loro che non la pellicola. E le luci scarse della lampadina rossa mi restituivano immagini preoccupanti, adatte quasi a quella luce. Ho dovuto interrompere il laboratorio anzitempo.

Un altro segno l’ho avuto quando, dopo anni che portavo le classi al planetario, con un discreto successo, un’ultima classe, durante una lezione sulle costellazioni e sull’asse terrestre ha iniziato a disturbare in modo sempre più insopportabile, costringendomi anche in quel caso a mettere fine per sempre all’esperienza, perché non erano cattivi ragazzi, solo ho capito che non funzionava più, loro erano cambiati.

Quelli che prima erano casi isolati di maleducazione e difficoltà, assolutamente fisiologici e accettabili, e che avevo i mezzi per poter controllare e recuperare, si sono diffusi in numero sempre crescente. Molte attività sono divenute difficili da proporre senza apportare modifiche sostanziali, e la cosa più demoralizzante è stata, per me, la perdita progressiva di quello spirito di gioco e di improvvisazione continua e controllata che mi dava leggerezza e nuova energia da spendere.

Tutto il mondo scolastico stava cambiando sempre più velocemente. Io mi sono adeguato, ovviamente, mi sono aggiornato con centinaia di ore di corsi, ho imparato ad usare il computer, ho tessuto relazioni con esperti che si è rivelata preziosa, e dentro di me ho mantenuto vivo sin quasi all’ultimo Peter Pan.
Gli ultimi tre anni di carriera scolastica però mi hanno trasformato, Wendy era cresciuta e mi diceva che non ero più quel ragazzino.
Le modalità di lavoro erano mutate, e così le regole, la burocrazia, i nuovi dirigenti scolastici, gli alunni, i genitori.
Le difficoltà crescenti che la scuola ha dovuto affrontare con la riduzione delle risorse a tutti i livelli e le condizioni di lavoro mutate mi hanno fatto perdere la voglia di giocare, mi hanno distratto dal motivo che mi aveva fatto amare la scuola. Sono rimasto a lungo un ragazzino tra i ragazzini. Quando ho capito di non esserlo più ho dovuto lasciare ad altri il compito di continuare il cammino, senza rimpianti, ma con un po’ di amarezza per quello che avrebbe potuto essere e non è stato.
Ora, quando rivedo i miei ex alunni, sono quasi sempre quelli che mi hanno dato più problemi a darmi maggior piacere. Ormai la loro vita, comunque, se la stanno creando, ed i loro successi non sono certo merito mio, ma del loro impegno e magari di un po’ di fortuna.

                                                                                                               Silvano C.©

( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

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