venerdì 10 maggio 2013

riflessioni sul futuro (della scuola)



Riflessioni sul futuro della scuola in Trentino e in Italia.
Riflessioni di un insegnante dopo una vita di lavoro nella scuola pubblica, in Trentino.
(sintesi di un “documento” presentato quasi 5 anni fa anni nel mio Istituto)
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Circa 25 anni fa due insegnanti di Trento: Toti Buratti e Franca Marenzana pubblicavano un ameno volumetto di vignette sulla scuola dal titolo adoro la scuola, edito da Bertani editore. Da questo ho ricavato la vignetta che segue.




La vignetta fa capire, al di là di ogni ragionevole dubbio, che gli insegnanti seriamente impegnati nella scuola già pensavano, 25 anni fa, in termini di competenze e di abilità in uscita, anche se ovviamente non potevano usare questi termini precisi. Cioè riflettevano seriamente sugli effetti che il loro insegnamento avrebbe prodotto o non prodotto sugli alunni.
Ora nella scuola è in atto una rivoluzione, che riguarda appunto la necessità di programmare le attività didattiche in termini di competenze, abilità e conoscenze.
Cioè, detto in termini diversi, spostare l’ottica dal programma che l’insegnante svolge, da quello che fa nelle sue lezioni, a quello che l’alunno apprende, alle abilità e alle competenze che questi raggiunge.
Penso che nessuno possa affermare che sia un’idea sbagliata, anche perché, come ho già fatto notare, non è del tutto nuova.
Del resto è ovvio che se io acquisto un’auto Fiat non m’interessano i problemi che riguardano i turni degli operai, la loro mensa aziendale, il fatto che questi fossero motivati nel lavoro o rispettassero certe cose burocratiche interne alla loro impresa. 
A me interessa che l’auto funzioni, sia costruita con buoni materiali, sia veloce e sicura, sia rispondente a tutti i criteri di sicurezza moderni, risponda alle norme anti-inquinamento più recenti e così via.
L’ottica della scuola quindi si sposta sul prodotto finale, cioè su quello che il ragazzo in uscita sa fare, ha capito, sa spendere per la vita che lo aspetta.
Cioè, per tornare ad un linguaggio più usato: la scuola deve formare il cittadino.
È necessario tornare ai vecchi concetti, perché da quelli noi veniamo, tutti. Non per fermarci però, ma per andare avanti, e rendere la scuola sempre più efficiente, funzionale, utile, seria e moderna.

Qui però devo fare una prima riflessione personale amara. Se lo scopo finale di ogni riforma scolastica fosse solo quella di dare ai ragazzi il meglio possibile, e di alzare il livello culturale delle nuove generazioni, armarle meglio per affrontare la vita sempre più complessa, non assisteremmo, da troppi anni ormai, a continui tagli alla scuola pubblica, a corsi di aggiornamento che tutti, indistintamente, vanno nell’ottica della razionalizzazione e riduzione delle risorse, della riduzione del tempo scuola, in una parola, del risparmio.

Sarebbe logico attendersi la presentazione, assieme a tutto questo, anche di modelli che richiedano maggiori investimenti, maggior tempo scuola, più ore per la matematica, ad esempio. Ed ho la conferma, in mancanza di questa visione veramente mirata sul bene della scuola, che il vero motivo sia il risparmio, solo quello. Motivazione più che legittima, sia chiaro, ma diversa da quelle ufficiale.

In ogni caso condivido che sia utile puntare alle competenze necessarie al termine dei vari segmenti educativi. La necessità della scomposizione in moduli operativi dell’azione dell’insegnante, per arrivare ad una “didattica modulare”, è presente già nella scansione di molti libri di testo, ed è fondamentale una programmazione dei tempi scuola necessari per lavorare in modo che le singole abilità e le più ampie competenze possano essere valutate in modo più rigoroso. Occorre probabilmente, per questo, una maggior precisione nella stesura dei piani individuali di insegnamento dei singoli docenti, ma credo che lo sforzo possa poi essere ampiamente compensato dal fatto che si possiede un modello guida già pronto, per tutto l’anno scolastico.

La scuola, con la sua componente docenti, deve fare il massimo sforzo per rendere espliciti all’utenza, alunni e genitori, le modalità di lavoro, di valutazione, il fine ultimo insomma dell’azione educativa. Non per rispondere alle sole esigenze accettabili o meno dei genitori, ma per rendere l’azione educativa il più possibile efficace con gli alunni. La famiglia, nel suo ambito, e la scuola nel suo, svolgono entrambe un’azione sui ragazzi. Le modalità di questa azione, i tempi, la carica emotiva, gli obiettivi specifici possono però essere molto diversi.   
La componente docente inoltre deve fare il massimo sforzo per accordarsi alle indicazioni del Dirigente, della Provincia e del Ministero.
La libertà di insegnamento ha questi limiti naturali. Le indicazioni superiori e il massimo sforzo individuale possibile, che tiene conto delle competenze, della preparazione e della costante azione di aggiornamento.


Riguardo alla scuola che deve privilegiare i laboratori vorrei qui ricordare Adriano Franceschini (1920-2005), che è stato uno dei più grandi storici che Ferrara abbia potuto vantare in epoca recente.
 
Franceschini non è stato solo un finissimo studioso, un uomo colto ed umile, che non si è mai arricchito col suo lavoro. E’ stato anche un maestro intelligente, innovativo, umano, severo e preparato. È stato il mio maestro, quando io ero un ragazzino di terza, quarta e quinta elementare. Alla fine degli anni 50 utilizzava già proiettori portatili per diapositive, ci faceva costruire immensi presepi con chili di Pongo, ci faceva raccogliere bozzoli di farfalle da far schiudere in classe, ci portava in visita alle segrete del Castello Estense, ci faveva visitare la mostra di Boldini, parlandoci pure dei suoi quadri “proibiti”, faceva educazione sessuale non per tutti, ma per quelli che avevano manifestato certe curiosità cioè quelli pronti a capire le sue parole. Ci faceva imparare i canti della prima guerra mondiale o il “Va pensiero”. Ci faceva fare ricerche sulla Treccani.
Il suo approccio laboratoriale alle materie si può esemplificare in un episodio. Un giorno, non so chi di noi ragazzini, chiede se pesa di più la sabbia secca o quella bagnata. Lui non spiega la risposta, ci avrebbe impiegato pochi minuti a farlo. No. Manda il bidello in cortile a raccogliere un paio di contenitori di sabbia. Manda alcuni ragazzi a riempire un secchio di acqua. Tira fuori dall’armadio bilance, scatole, bicchieri, contenitori, e altre cose che non ricordo.
Non ricordo neppure cosa ho fatto io esattamente, ricordo solo la sua arrabbiatura solenne che si è preso quando ha visto l’aula trasformata in un pantano, sabbioso e incalpestabile. Credo che si sia divertito molto sia a farci sporcare, ed a sporcare l’aula, e poi a sgridarci. In effetti, malgrado la sua sgridata, non mi sono sentito in colpa allora, ed ancora oggi mi lascia dentro una profonda nostalgia. Quella è stata una lezione laboratoriale.
Come era laboratoriale farci trovare il peso di un foglio di carta che la bilancia neppure si accorgeva che veniva appoggiato, o la superficie di una figura irregolare arrotondata, come si trova oggi nei test OCSE-PISA.
L’insegnamento laboratoriale gli insegnanti seri lo applicavano già nel 1958.   Poi, in seguito, crescendo, ho avuto anche altri insegnanti, come ad esempio il celebre Prof: Conconi. Solo Adriano Franceschini però merita, per me, l’appellativo di Maestro.

Le persone come Franceschini, che per fortuna sono tante nella scuola pubblica, rendono la scuola italiana migliore di quello che la farebbero le leggi e le riforme. Io personalmente credo nella scuola pubblica, e vivo sempre con profonda mortificazione le spinte in direzione statunitense, come se l’Italia avesse da imparare dagli Stati Uniti in termini di scuola e sanità pubbliche. I buoni insegnanti devono ricevere un minimo di riconoscimento, non essere demotivati come avviene nella scuola pubblica americana.

In questa ottica è difficile accettare che alcuni genitori chiedano ripetutamente la settimana corta, che non capiscano che altre sono le priorità, che tale scelta è semplicemente miope e controproducente nei sui effetti sui loro figli.
Qui voglio riassumere le motivazioni più importanti che mi fanno pensare che una settimana su 6 giorni sia più funzionale per gli scopi della scuola moderna, e li elenco sinteticamente, con un breve commento. Tali motivazioni sono sia di carattere puramente didattico ma anche di opportunità politica e logistica. E tutte, indistintamente, hanno come unico interesse, le modalità di apprendimento delle competenze necessarie da parte degli studenti.
Il modulo attuale, sino ad oggi, si è rivelato funzionale. Esistono strumenti, anche se imperfetti, per misurare l’efficacia del percorso educativo proposto. Questi strumenti sono l’auto-valutazione, i test provinciali o statali e il grado di successo dei nostri ex alunni nel loro successivo percorso formativo, qualunque esso sia. Per ora tali indicatori non sono stati negativi. Questo sembra rientrare nelle finalità principali della scuola, che dovrebbero essere quelle della massima funzionalità dell’azione educativa, della preparazione seria dei nostri studenti, dello sviluppo di quelle capacità che permetteranno loro di affrontare la Scuola Superiore, il percorso in Istituti o Scuole Professionali o, più semplicemente, per inserirsi nella vita.
Nelle realtà scolastiche pubbliche locali, dove si è realizzata una settimana di cinque giorni, sono emerse problematiche proprio per quanto riguarda la preparazione degli alunni ed il loro proseguimento dopo la scuola media. Altre realtà scolastiche sembrano lontane dalla nostra situazione contingente. Un esperimento si sta tentando in una scuola secondaria di Brescia, ma è in fase di realizzazione, e non se ne conoscono ancora gli effetti. Un altro esperimento pare in corso in una scuola di Firenze. Altri esempi, riguardanti paesi stranieri come la Danimarca, sembrano oggettivamente troppo lontani per poterli applicare al nostro caso. In Francia, con altra organizzazione sociale e scolastica, esiste la settimana corta, ma il tentativo recente di introdurre una settimana cortissima non ha avuto seguito. Sarebbe interessante misurare oggettivamente il successo scolastico nel proseguimento degli studi di alunni che hanno avuto la settimana corta e quelli con la settimana di 6 giorni
Le prime ore del mattino sono le migliori, in assoluto, per quanto riguarda la capacità di concentrazione dei ragazzi.  Più ci si avvicina alle ultime ore del mattino, per non parlare delle pomeridiane, emergono momenti sempre più evidenti di stanchezza e di rifiuto, in particolare nei soggetti più deboli o problematici. L’orario delle lezioni, proprio per questo, cerca di non penalizzare nessun insegnamento in questo senso. E un orario settimanale su cinque giorni offre meno prime ore di un orario su sei giorni e, anche se a prima vista potrebbe sembrare paradossale molte più ultime ore, notoriamente più difficili dal punto di vista didattico. Da ricordare che alcuni esperti dell’Azienda Sanitaria richiedono esplicitamente per il loro intervento esclusivamente le prime ore, sostenendo che poi è più difficile farsi seguire dai ragazzi.
La proposta di ovviare a questa difficoltà nelle ore finali della mattinata o della giornata con approcci didattici diversi, laboratoriali, è tutta da verificare. Ed in ogni caso, l’approccio laboratoriale, si può adottare anche e soprattutto in una scuola su 6 giorni.
La suddivisione oraria attuale, con ore non di 60 minuti, recuperati poi in vario modo dagli insegnanti, permette, sull’arco dei sei giorni, l’inserimento o il mantenimento di vari insegnamenti, come ad esempio le tre ore per ogni lingua straniera, l’informatica, l’educazione tecnologica. Permette recupero ed approfondimento, nei casi concordati in Consiglio di Classe. Tale suddivisione oraria appare ininfluente ai fini di una scelta del tempo scuola.
Nel nostro Istituto si sono ridotte progressivamente le attività di svolgimento pomeridiano dei compiti a scuola, sino ad eliminarle, perché spesso sono stare semplicemente un modo per coprire le assenze delle famiglie, con ragazzi non motivati e costretti a restare a scuola senza alcun interesse reale.
 E’ preferibile, per un’omogeneizzazione tra tutte le classi e tutti i corsi, non differenziare in due diversi moduli la scuola media, con alunni che hanno la settimana corta ed altri che invece vengono per sei giorni. Sarebbe auspicabile che i genitori che hanno tale esigenza per motivi famigliari si rivolgessero ad altre scuole sul territorio che optano per tale scelta, se ve ne sono.  Nelle scuole secondarie dove si è realizzata tale opportunità, come sopra ricordato, si sono verificate problematiche legate all’effettiva ricaduta sul piano dell’apprendimento e del successo scolastico degli alunni dopo il periodo dell’obbligo. E si sono creati corsi ghetto, dove la Commissione Formazione Classi non ha potuto far nulla per disinnescare situazioni difficili.
Partendo dal presupposto delle buone intenzioni da parte di tutti, occorre evitare il pericolo di scelte operate esclusivamente dal nostro Istituto sul territorio, perché alla fine questo potrebbe rivelarsi controproducente sul piano del gradimento reale dell’utenza, se, come prevedibile, questo portasse ad un peggioramento dell’offerta formativa. È da evitare l’idea del cambiamento fine a se stesso, magari approfittando della introduzione dei nuovi piani di studio. Anche in scuole professionali dove si è attuato il modello della settimana corta sono emersi più problemi che vantaggi, e dopo un successo dei primi anni pare che a livello di iscrizioni ora si manifesti una netta riduzione.
Teniamo sempre anche un altro dato oggettivo. Gli alunni stessi non amano venire a scuola il pomeriggio, ed è facile verificare che le assenze pomeridiane superano quelle del mattino. 
Una motivazione per richiedere il sabato libero da parte di alcuni genitori coglie il fatto che il nostro è un Istituto Comprensivo, e che logicamente dovrebbe adottare un modulo omogeneo. Tale richiesta tuttavia non tiene conto dell’età evolutiva e della tipologia di scuola. Tra la recente indicazione, suggerita dal Ministero, di un maestro unico in prima elementare e quella di oltre una dozzina di diversi insegnamenti, passando da prima elementare a terza media, ci sono otto anni di vita. Evidentemente qualche cosa deve cambiare, ed è necessario che anche i genitori, e non solo gli insegnanti, ne tengano conto.  Semplificando e riducendo molto, gli insegnanti sono più di una decina in terza media. Quello che si chiede ad un ragazzo delle elementari è diverso da quello che è in grado di fare un ragazzo delle medie, sia che si pensi alle conoscenze sia si ragioni in termini di competenze o abilità in uscita.
Qualcuno propone la settimana corta valutando la possibilità di introdurre flessibilità nell’orario, innovazioni didattiche, approccio ludico e comunque un diverso modo di insegnare. Nella realtà la flessibilità si scontra con le esigenze di trasporto, di organizzazione famigliare delle attività extrascolastiche come sport, catechesi, corsi diversi pomeridiani, che per loro natura sono rigidi nell’arco della settimana. Una flessibilità dell’orario che preveda a volte il sabato libero a volte il sabato a scuola sicuramente non facilità il problema dei trasporti e neppure una programmazione delle attività extra scolastiche. La flessibilità inoltre è più difficile da organizzare, per motivi che non serve spiegare.
Esiste poi un problema–compiti. I ragazzi che ottengono le valutazioni migliori sono quelli che svolgono le esercitazioni assegnate e che sanno organizzarsi. Se sono impegnati tre o addirittura quattro o cinque pomeriggi a scuola, quando possono lavorare? Il sabato e la domenica? Occorre ricordare che già oggi, con pomeriggi obbligatori ed opzionali, attività sportive e recuperi o approfondimenti pomeridiani, la scuola è aperta molti pomeriggi, con gruppi più o meno numerosi di alunni. Si rischia di creare una situazione non gestibile se si intende concentrare tutto in cinque giorni. Diventerebbe necessario far confluire in meno tempo le risorse disponibili, togliendo, di fatto, libertà e opportunità sia ai ragazzi sia agli insegnanti.
Considerando che alcuni genitori tendono a mettere in discussione il tema ad ogni nuovo anno scolastico sino ad ottenere la risposta che desiderano, si ritiene inadeguata l’opportunità di far esprimere, con sondaggi, assemblee o altri metodi tale desiderio ai genitori che hanno figli ancora nella scuola primaria. Molto più corretto lasciare esprimere tale parere ai genitori dei ragazzi delle medie, comprese le classi terze. Questo innanzi tutto perché non sono più coinvolti direttamente nelle conseguenze della scelta, e quindi, in qualche misura, al di sopra delle parti, e perché, con la propria esperienza, hanno maturato un’opinione più realistica del problema. Interessante è anche l’aspetto delle modalità di espressione di tale scelta, che si presuppone debba toccare tutti i genitori dei ragazzi delle medie, e non solo una loro rappresentanza.
Come considerazione finale di metodo, e come auspicio personale, i docenti e la dirigenza devono fare ogni sforzo per dare tutte le spiegazioni, le motivazioni e le modalità di funzionamento ai genitori che intendono iscrivere alla nostra scuola secondaria di primo grado i loro ragazzi. Tale richiesta è stata espressa esplicitamente anche dai genitori.

Gli anni futuri porteranno mutamenti nella scuola italiana, in quella trentina e pure nel nostro piccolo Istituto Comprensivo. Noi ci dovremo adeguare alle indicazioni che ci arriveranno dal Ministero. Con la Provincia il contatto è più immediato, quindi abbiamo la possibilità di esprimere, anche come singoli docenti, la nostra opinione in merito.
Ad esempio, in un recente corso presso il Museo Civico di Rovereto sui nuovi piani di studio di matematica sono intervenuto nel merito delle conoscenze riferite alle competenze in uscita dalla scuola primaria. Ed ho chiesto, il giorno 3 settembre 2009, che vengano esplicitamente citate le tabelline, per quanto riguarda la MATEMATICA, competenza 1 al termine della scuola primaria. (quel giorno ho fatto altri interventi, ma questo è solo un esempio)
Non è moltissimo, ne convengo. Ma ritorno all’auto Fiat dell’esempio già fatto. Se io ho una lamiera difettosa, non potrà mai diventare la portiera della mia Punto, altrimenti io non compro la Punto. Se i ragazzini che escono dalla primaria non conoscono in modo automatico, senza perdere tempo con calcoli o dita, il risultato di 7x6 o di 5x8, io ho una lamiera difettosa, e la Punto non la posso costruire.

Ed ora vengo alle motivazioni di questo scritto. Io, alla mia età, sono vicino alla pensione. Non sarò toccato se non marginalmente dai mutamenti su lungo periodo che vedo in atto e mi spaventano.
Non ho figli in età scolare, quindi non ho un interesse personale immediato. Non ho mai  inteso fare carriera scolastica. Parlo da insegnante che non ritiene l’insegnamento una missione ma un lavoro molto serio. E parlo da cittadino che, per caso, nella scuola ci lavora a tempo pieno, senza svolgere alcuna libera professione.

                                                                                                               Silvano C.©


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

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