Riflessioni sul futuro della
scuola in Trentino e in Italia.
Riflessioni di un insegnante
dopo una vita di lavoro nella scuola pubblica, in Trentino.
(sintesi di un “documento”
presentato quasi 5 anni fa anni nel mio Istituto)
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Circa 25 anni fa due
insegnanti di Trento: Toti Buratti e Franca Marenzana pubblicavano un ameno
volumetto di vignette sulla scuola dal titolo adoro la scuola, edito da
Bertani editore. Da questo ho ricavato la vignetta che segue.
La vignetta fa capire, al di
là di ogni ragionevole dubbio, che gli insegnanti seriamente impegnati nella
scuola già pensavano, 25 anni fa, in termini di competenze e di abilità in
uscita, anche se ovviamente non potevano usare questi termini precisi. Cioè
riflettevano seriamente sugli effetti che il loro insegnamento avrebbe prodotto
o non prodotto sugli alunni.
Ora nella scuola è in atto
una rivoluzione, che riguarda appunto la necessità di programmare le attività
didattiche in termini di competenze, abilità e conoscenze.
Cioè, detto in termini
diversi, spostare l’ottica dal programma che l’insegnante svolge, da quello che
fa nelle sue lezioni, a quello che l’alunno apprende, alle abilità e alle
competenze che questi raggiunge.
Penso che nessuno possa
affermare che sia un’idea sbagliata, anche perché, come ho già fatto notare,
non è del tutto nuova.
Del resto è ovvio che se io
acquisto un’auto Fiat non m’interessano i problemi che riguardano i turni degli
operai, la loro mensa aziendale, il fatto che questi fossero motivati nel
lavoro o rispettassero certe cose burocratiche interne alla loro impresa.
A me interessa che l’auto
funzioni, sia costruita con buoni materiali, sia veloce e sicura, sia
rispondente a tutti i criteri di sicurezza moderni, risponda alle norme
anti-inquinamento più recenti e così via.
L’ottica della scuola quindi
si sposta sul prodotto finale, cioè su quello che il ragazzo in uscita sa fare,
ha capito, sa spendere per la vita che lo aspetta.
Cioè, per tornare ad un
linguaggio più usato: la scuola deve formare il cittadino.
È necessario tornare ai
vecchi concetti, perché da quelli noi veniamo, tutti. Non per fermarci però, ma
per andare avanti, e rendere la scuola sempre più efficiente, funzionale,
utile, seria e moderna.
Qui però devo fare una prima
riflessione personale amara. Se lo scopo finale di ogni riforma scolastica
fosse solo quella di dare ai ragazzi il meglio possibile, e di alzare il
livello culturale delle nuove generazioni, armarle meglio per affrontare la
vita sempre più complessa, non assisteremmo, da troppi anni ormai, a continui
tagli alla scuola pubblica, a corsi di aggiornamento che tutti,
indistintamente, vanno nell’ottica della razionalizzazione e riduzione delle
risorse, della riduzione del tempo scuola, in una parola, del risparmio.
Sarebbe logico attendersi la
presentazione, assieme a tutto questo, anche di modelli che richiedano maggiori
investimenti, maggior tempo scuola, più ore per la matematica, ad esempio. Ed ho
la conferma, in mancanza di questa visione veramente mirata sul bene della
scuola, che il vero motivo sia il risparmio, solo quello. Motivazione più che
legittima, sia chiaro, ma diversa da quelle ufficiale.
In ogni caso condivido che sia
utile puntare alle competenze necessarie al termine dei vari segmenti educativi.
La necessità della scomposizione in moduli operativi dell’azione
dell’insegnante, per arrivare ad una “didattica modulare”, è presente già nella
scansione di molti libri di testo, ed è fondamentale una programmazione dei
tempi scuola necessari per lavorare in modo che le singole abilità e le più
ampie competenze possano essere valutate in modo più rigoroso. Occorre
probabilmente, per questo, una maggior precisione nella stesura dei piani
individuali di insegnamento dei singoli docenti, ma credo che lo sforzo possa
poi essere ampiamente compensato dal fatto che si possiede un modello guida già
pronto, per tutto l’anno scolastico.
La scuola, con la sua
componente docenti, deve fare il massimo sforzo per rendere espliciti
all’utenza, alunni e genitori, le modalità di lavoro, di valutazione, il fine
ultimo insomma dell’azione educativa. Non per rispondere alle sole esigenze
accettabili o meno dei genitori, ma per rendere l’azione educativa il più
possibile efficace con gli alunni. La famiglia, nel suo ambito, e la scuola nel
suo, svolgono entrambe un’azione sui ragazzi. Le modalità di questa azione, i
tempi, la carica emotiva, gli obiettivi specifici possono però essere molto
diversi.
La componente docente
inoltre deve fare il massimo sforzo per accordarsi alle indicazioni del
Dirigente, della Provincia e del Ministero.
La libertà di insegnamento
ha questi limiti naturali. Le indicazioni superiori e il massimo sforzo
individuale possibile, che tiene conto delle competenze, della preparazione e
della costante azione di aggiornamento.
Riguardo
alla scuola che deve privilegiare i laboratori vorrei qui ricordare Adriano
Franceschini (1920-2005), che è stato uno dei più grandi storici che Ferrara
abbia potuto vantare in epoca recente.
Franceschini non è stato
solo un finissimo studioso, un uomo colto ed umile, che non si è mai arricchito
col suo lavoro. E’ stato anche un maestro intelligente, innovativo, umano,
severo e preparato. È stato il mio maestro, quando io ero un ragazzino di
terza, quarta e quinta elementare. Alla fine degli anni 50 utilizzava già
proiettori portatili per diapositive, ci faceva costruire immensi presepi con
chili di Pongo, ci faceva raccogliere bozzoli di farfalle da far schiudere in
classe, ci portava in visita alle segrete del Castello Estense, ci faveva
visitare la mostra di Boldini, parlandoci pure dei suoi quadri “proibiti”,
faceva educazione sessuale non per tutti, ma per quelli che avevano manifestato
certe curiosità cioè quelli pronti a capire le sue parole. Ci faceva imparare i
canti della prima guerra mondiale o il “Va pensiero”. Ci faceva fare ricerche
sulla Treccani.
Il suo approccio
laboratoriale alle materie si può esemplificare in un episodio. Un giorno, non
so chi di noi ragazzini, chiede se pesa di più la sabbia secca o quella
bagnata. Lui non spiega la risposta, ci avrebbe impiegato pochi minuti a farlo.
No. Manda il bidello in cortile a raccogliere un paio di contenitori di sabbia.
Manda alcuni ragazzi a riempire un secchio di acqua. Tira fuori dall’armadio
bilance, scatole, bicchieri, contenitori, e altre cose che non ricordo.
Non ricordo neppure cosa ho
fatto io esattamente, ricordo solo la sua arrabbiatura solenne che si è preso
quando ha visto l’aula trasformata in un pantano, sabbioso e incalpestabile.
Credo che si sia divertito molto sia a farci sporcare, ed a sporcare l’aula, e
poi a sgridarci. In effetti, malgrado la sua sgridata, non mi sono sentito in
colpa allora, ed ancora oggi mi lascia dentro una profonda nostalgia. Quella è
stata una lezione laboratoriale.
Come era laboratoriale farci
trovare il peso di un foglio di carta che la bilancia neppure si accorgeva che
veniva appoggiato, o la superficie di una figura irregolare arrotondata, come
si trova oggi nei test OCSE-PISA.
L’insegnamento laboratoriale
gli insegnanti seri lo applicavano già nel 1958. Poi, in seguito, crescendo, ho avuto anche altri insegnanti,
come ad esempio il celebre Prof: Conconi. Solo Adriano Franceschini però
merita, per me, l’appellativo di Maestro.
Le persone come
Franceschini, che per fortuna sono tante nella scuola pubblica, rendono la
scuola italiana migliore di quello che la farebbero le leggi e le riforme. Io
personalmente credo nella scuola pubblica, e vivo sempre con profonda
mortificazione le spinte in direzione statunitense, come se l’Italia avesse da
imparare dagli Stati Uniti in termini di scuola e sanità pubbliche. I buoni
insegnanti devono ricevere un minimo di riconoscimento, non essere demotivati
come avviene nella scuola pubblica americana.
In questa ottica è difficile
accettare che alcuni genitori chiedano ripetutamente la settimana corta, che
non capiscano che altre sono le priorità, che tale scelta è semplicemente miope
e controproducente nei sui effetti sui loro figli.
Qui voglio riassumere le
motivazioni più importanti che mi fanno pensare che una settimana su 6 giorni
sia più funzionale per gli scopi della scuola moderna, e li elenco
sinteticamente, con un breve commento. Tali motivazioni sono sia di carattere
puramente didattico ma anche di opportunità politica e logistica. E tutte,
indistintamente, hanno come unico interesse, le modalità di apprendimento delle
competenze necessarie da parte degli studenti.
Il modulo attuale, sino ad
oggi, si è rivelato funzionale. Esistono strumenti, anche se imperfetti, per
misurare l’efficacia del percorso educativo proposto. Questi strumenti sono
l’auto-valutazione, i test provinciali o statali e il grado di successo dei
nostri ex alunni nel loro successivo percorso formativo, qualunque esso sia.
Per ora tali indicatori non sono stati negativi. Questo sembra rientrare nelle
finalità principali della scuola, che dovrebbero essere quelle della massima
funzionalità dell’azione educativa, della preparazione seria dei nostri
studenti, dello sviluppo di quelle capacità che permetteranno loro di affrontare
la Scuola Superiore, il percorso in Istituti o Scuole Professionali o, più
semplicemente, per inserirsi nella vita.
Nelle realtà scolastiche
pubbliche locali, dove si è realizzata una settimana di cinque giorni, sono
emerse problematiche proprio per quanto riguarda la preparazione degli alunni
ed il loro proseguimento dopo la scuola media. Altre realtà scolastiche
sembrano lontane dalla nostra situazione contingente. Un esperimento si sta
tentando in una scuola secondaria di Brescia, ma è in fase di realizzazione, e
non se ne conoscono ancora gli effetti. Un altro esperimento pare in corso in
una scuola di Firenze. Altri esempi, riguardanti paesi stranieri come la
Danimarca, sembrano oggettivamente troppo lontani per poterli applicare al
nostro caso. In Francia, con altra organizzazione sociale e scolastica, esiste
la settimana corta, ma il tentativo recente di introdurre una settimana
cortissima non ha avuto seguito. Sarebbe interessante misurare oggettivamente
il successo scolastico nel proseguimento degli studi di alunni che hanno avuto
la settimana corta e quelli con la settimana di 6 giorni
Le prime ore del mattino
sono le migliori, in assoluto, per quanto riguarda la capacità di
concentrazione dei ragazzi. Più ci si
avvicina alle ultime ore del mattino, per non parlare delle pomeridiane,
emergono momenti sempre più evidenti di stanchezza e di rifiuto, in particolare
nei soggetti più deboli o problematici. L’orario delle lezioni, proprio per
questo, cerca di non penalizzare nessun insegnamento in questo senso. E un
orario settimanale su cinque giorni offre meno prime ore di un orario su sei
giorni e, anche se a prima vista potrebbe sembrare paradossale molte più ultime
ore, notoriamente più difficili dal punto di vista didattico. Da ricordare che
alcuni esperti dell’Azienda Sanitaria richiedono esplicitamente per il loro
intervento esclusivamente le prime ore, sostenendo che poi è più difficile
farsi seguire dai ragazzi.
La proposta di ovviare a
questa difficoltà nelle ore finali della mattinata o della giornata con
approcci didattici diversi, laboratoriali, è tutta da verificare. Ed in ogni
caso, l’approccio laboratoriale, si può adottare anche e soprattutto in una
scuola su 6 giorni.
La suddivisione oraria
attuale, con ore non di 60 minuti, recuperati poi in vario modo dagli
insegnanti, permette, sull’arco dei sei giorni, l’inserimento o il mantenimento
di vari insegnamenti, come ad esempio le tre ore per ogni lingua straniera,
l’informatica, l’educazione tecnologica. Permette recupero ed approfondimento,
nei casi concordati in Consiglio di Classe. Tale suddivisione oraria appare
ininfluente ai fini di una scelta del tempo scuola.
Nel nostro Istituto si sono
ridotte progressivamente le attività di svolgimento pomeridiano dei compiti a
scuola, sino ad eliminarle, perché spesso sono stare semplicemente un modo per
coprire le assenze delle famiglie, con ragazzi non motivati e costretti a
restare a scuola senza alcun interesse reale.
E’ preferibile, per un’omogeneizzazione tra tutte le classi e
tutti i corsi, non differenziare in due diversi moduli la scuola media, con
alunni che hanno la settimana corta ed altri che invece vengono per sei giorni.
Sarebbe auspicabile che i genitori che hanno tale esigenza per motivi
famigliari si rivolgessero ad altre scuole sul territorio che optano per tale
scelta, se ve ne sono. Nelle scuole
secondarie dove si è realizzata tale opportunità, come sopra ricordato, si sono
verificate problematiche legate all’effettiva ricaduta sul piano
dell’apprendimento e del successo scolastico degli alunni dopo il periodo
dell’obbligo. E si sono creati corsi ghetto, dove la Commissione Formazione
Classi non ha potuto far nulla per disinnescare situazioni difficili.
Partendo dal presupposto
delle buone intenzioni da parte di tutti, occorre evitare il pericolo di scelte
operate esclusivamente dal nostro Istituto sul territorio, perché alla fine
questo potrebbe rivelarsi controproducente sul piano del gradimento reale
dell’utenza, se, come prevedibile, questo portasse ad un peggioramento
dell’offerta formativa. È da evitare l’idea del cambiamento fine a se stesso,
magari approfittando della introduzione dei nuovi piani di studio. Anche in
scuole professionali dove si è attuato il modello della settimana corta sono
emersi più problemi che vantaggi, e dopo un successo dei primi anni pare che a
livello di iscrizioni ora si manifesti una netta riduzione.
Teniamo sempre anche un
altro dato oggettivo. Gli alunni stessi non amano venire a scuola il
pomeriggio, ed è facile verificare che le assenze pomeridiane superano quelle
del mattino.
Una motivazione per
richiedere il sabato libero da parte di alcuni genitori coglie il fatto che il
nostro è un Istituto Comprensivo, e che logicamente dovrebbe adottare un modulo
omogeneo. Tale richiesta tuttavia non tiene conto dell’età evolutiva e della
tipologia di scuola. Tra la recente indicazione, suggerita dal Ministero, di un
maestro unico in prima elementare e quella di oltre una dozzina di diversi
insegnamenti, passando da prima elementare a terza media, ci sono otto anni di
vita. Evidentemente qualche cosa deve cambiare, ed è necessario che anche i
genitori, e non solo gli insegnanti, ne tengano conto. Semplificando e riducendo molto, gli
insegnanti sono più di una decina in terza media. Quello che si chiede ad un
ragazzo delle elementari è diverso da quello che è in grado di fare un ragazzo
delle medie, sia che si pensi alle conoscenze sia si ragioni in termini di
competenze o abilità in uscita.
Qualcuno propone la
settimana corta valutando la possibilità di introdurre flessibilità
nell’orario, innovazioni didattiche, approccio ludico e comunque un diverso
modo di insegnare. Nella realtà la flessibilità si scontra con le esigenze di
trasporto, di organizzazione famigliare delle attività extrascolastiche come
sport, catechesi, corsi diversi pomeridiani, che per loro natura sono rigidi
nell’arco della settimana. Una flessibilità dell’orario che preveda a volte il
sabato libero a volte il sabato a scuola sicuramente non facilità il problema
dei trasporti e neppure una programmazione delle attività extra scolastiche. La
flessibilità inoltre è più difficile da organizzare, per motivi che non serve
spiegare.
Esiste poi un
problema–compiti. I ragazzi che ottengono le valutazioni migliori sono quelli
che svolgono le esercitazioni assegnate e che sanno organizzarsi. Se sono
impegnati tre o addirittura quattro o cinque pomeriggi a scuola, quando possono
lavorare? Il sabato e la domenica? Occorre ricordare che già oggi, con
pomeriggi obbligatori ed opzionali, attività sportive e recuperi o
approfondimenti pomeridiani, la scuola è aperta molti pomeriggi, con gruppi più
o meno numerosi di alunni. Si rischia di creare una situazione non gestibile se
si intende concentrare tutto in cinque giorni. Diventerebbe necessario far
confluire in meno tempo le risorse disponibili, togliendo, di fatto, libertà e
opportunità sia ai ragazzi sia agli insegnanti.
Considerando che alcuni
genitori tendono a mettere in discussione il tema ad ogni nuovo anno scolastico
sino ad ottenere la risposta che desiderano, si ritiene inadeguata
l’opportunità di far esprimere, con sondaggi, assemblee o altri metodi tale desiderio
ai genitori che hanno figli ancora nella scuola primaria. Molto più corretto
lasciare esprimere tale parere ai genitori dei ragazzi delle medie, comprese le
classi terze. Questo innanzi tutto perché non sono più coinvolti direttamente
nelle conseguenze della scelta, e quindi, in qualche misura, al di sopra delle
parti, e perché, con la propria esperienza, hanno maturato un’opinione più
realistica del problema. Interessante è anche l’aspetto delle modalità di
espressione di tale scelta, che si presuppone debba toccare tutti i genitori
dei ragazzi delle medie, e non solo una loro rappresentanza.
Come considerazione finale
di metodo, e come auspicio personale, i docenti e la dirigenza devono fare ogni
sforzo per dare tutte le spiegazioni, le motivazioni e le modalità di
funzionamento ai genitori che intendono iscrivere alla nostra scuola secondaria
di primo grado i loro ragazzi. Tale richiesta è stata espressa esplicitamente
anche dai genitori.
Gli anni futuri porteranno
mutamenti nella scuola italiana, in quella trentina e pure nel nostro piccolo
Istituto Comprensivo. Noi ci dovremo adeguare alle indicazioni che ci
arriveranno dal Ministero. Con la Provincia il contatto è più immediato, quindi
abbiamo la possibilità di esprimere, anche come singoli docenti, la nostra
opinione in merito.
Ad esempio, in un recente
corso presso il Museo Civico di Rovereto sui nuovi piani di studio di
matematica sono intervenuto nel merito delle conoscenze riferite alle
competenze in uscita dalla scuola primaria. Ed ho chiesto, il giorno 3
settembre 2009, che vengano esplicitamente citate le tabelline, per quanto
riguarda la MATEMATICA, competenza 1 al termine della scuola primaria. (quel
giorno ho fatto altri interventi, ma questo è solo un esempio)
Non è moltissimo, ne convengo.
Ma ritorno all’auto Fiat dell’esempio già fatto. Se io ho una lamiera
difettosa, non potrà mai diventare la portiera della mia Punto, altrimenti io
non compro la Punto. Se i ragazzini che escono dalla primaria non conoscono in
modo automatico, senza perdere tempo con calcoli o dita, il risultato di 7x6 o
di 5x8, io ho una lamiera difettosa, e la Punto non la posso costruire.
Ed ora vengo alle
motivazioni di questo scritto. Io, alla mia età, sono vicino alla pensione. Non
sarò toccato se non marginalmente dai mutamenti su lungo periodo che vedo in
atto e mi spaventano.
Non ho figli in età scolare,
quindi non ho un interesse personale immediato. Non ho mai inteso fare carriera scolastica. Parlo da
insegnante che non ritiene l’insegnamento una missione ma un lavoro molto
serio. E parlo da cittadino che, per caso, nella scuola ci lavora a tempo
pieno, senza svolgere alcuna libera professione.
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte. Grazie)
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