giovedì 8 aprile 2021

Come un bignè

Se ne stava triste, in un angolo, un po' a bere e un po' a rimasticare la rabbia e il rancore. Le cose che non aveva avuto mai il coraggio di dire apertamente ormai non le poteva più sbattere in faccia a nessuno, era rimasto da solo. Si sollevò con stanchezza, malfermo sulle gambe e rimpiangendo chi in altre epoche l’avrebbe sostenuto. Non pagò ma fece un segno che significava: pagherò. Uscì in strada, il buio stava calando profondo, e restavano accesi solo pochi lampioni sulla strada principale. Il resto era nero, indistinguibile, silenzioso ma con respiri lontani che si potevano intuire se si restava fermi un attimo. Lui però non voleva stare fermo. Aveva un appuntamento al quale non intendeva mancare. Come tre giorni prima una donna gli aveva detto iniziò ad attraversare la strada, un rumore improvvisò arrivò dalla sua destra, lui non se ne curò perché sapeva, fece altri due passi, il rumore si fece assordante e un enorme autocarro a fari spenti lo travolse uccidendolo sul colpo.

L’autista ubriaco neppure si rese conto di aver investito ed ucciso un uomo, pensava ad una ragazza di nome Elia che gli aveva detto che era una merda. L’aveva strangolata e poi era uscito dalla sua stanza, mettendosi alla guida del suo autocarro senza curarsi di accendere i fari. Lui di notte ci vedeva come i gatti, poteva essere feroce come un cane rabbioso e sparire come un pipistrello in un buco. Finì schiacciato nella sua cabina di guida quando l’autocarro andò dritto verso il muro in cemento del nuovo centro commerciale che stavano costruendo nella periferia.

La barbona tentava di vincere il freddo con scatoloni e vecchi stracci, e provava a dormire, nascosta sotto enormi cumuli di rottami e materiale da costruzione accatastato accanto al muro di cemento. Il bottò tremendo la svegliò del tutto, la fece alzare e, per paura e curiosità, fu costretta a vedere le lamiere fumanti di un grosso autocarro che si era schiantato sul lato opposto del muro. Non fu per nulla attirata dal fumo e dall’odore di gasolio, e pensò solo a cercare un altro riparo. Si allontanò da quel posto jellato e si diresse verso la campagna, verso un casolare che aveva visto di giorno pensando fosse adatto per nascondersi. Camminò sicura sulla strada, mentre dietro di lei arrivavano nella notte suoni di sirene e urla umane. Camminò sopra il piccolo ponticello perché la deviazione che le interessava andava da quella parte. Fece ancora altri 235 metri poi mise un piede su un’asse malmessa. L’asse si spaccò e lei precipitò in un pozzo in muratura profondo una dozzina di metri, spiaccicandosi come un bignè lanciato con allegria su una parete immacolata.

In realtà l’ubriaco insicuro è sempre stato astemio, e non è neppure un uomo, ma una giovane tuffatrice altoatesina. L’autista dell’autocarro è stato un insegnante elementare, ora è in pensione, non ha mai guidato mezzi a motore più grossi di una Fiat 127 e non ha mai avuto la patente C. Il pipistrello di notte continua a volare. La barbona non è mai stata una barbona, ha una famiglia, due figli, il marito è in cassa integrazione ma hanno una casa di proprietà e lei fa la fiorista. Non è ricca ma la famiglia sopravvive in modo dignitoso. Il bignè, per finire, non è mai stato lanciato da nessuna parte ed è stato mangiato con soddisfazione da Gianni, che tu probabilmente non sai neppure chi sia.

                                                                          Silvano C.©   

                   (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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