Mi alzo ed esco presto, come ogni giorno
feriale, per andare al lavoro. Mi piace arrivare prima dell’orario previsto, e
molto prima di quello che normalmente sarebbe necessario, per organizzare
materiali ed idee prima di gettarmi nella mischia. Ne ho bisogno, come se fosse
un momento iperbarico funzionale al mio adattamento psicologico.
La prima cosa che vedo appena girato l’angolo,
a piedi, è l’edificio della mia vecchia scuola materna. Nulla di strano, non lo
degno di molta attenzione, è il solito piccolo palazzo a due piani, azzurro
chiaro ed un po’ scrostato. Prima di superarlo mi sembra di scorgere, nel
cortile dove sono già arrivati i primi bambini, suor Annarosa. Lei non mi nota
ed io proseguo senza mandarle un cenno di saluto. Poi arrivo alla fermata e
dopo pochi minuti sono sull’autobus e scordo tutto, pensando a cosa mi aspetta
durante la giornata.
Alle tre del pomeriggio ho finito, perché
il mio orario è molto flessibile, quindi saluto tutti, esco e mi incammino
verso un centro commerciale a poca distanza, per pochi acquisti. Impiego meno
di 10 minuti, e poi davanti a me trovo il vecchio rudere della fabbrica di
infissi ora occupato da un popolo di diverse etnie, disperati che hanno bisogno
di un riparo e di un lavoro, gente pericolosa che vive di piccoli furti e
spaccio ai margini della società, tanti di passaggio, per andare altrove. Ogni tanto
tutto il fabbricato viene circondato da vigili urbani, polizia e carabinieri, sono
effettuati controlli, pochi vengono portati via, e tutto continua come prima,
sino alla prossima retata.
Dimentico di aver bisogno del detersivo per
piatti, e decido di allungare il percorso sino al parco. A destra trovo il
negozietto di Aldina, dall’età indefinibile, che vende lampadine e prese, cavi
e batterie. Ogni piccolo oggetto legato all’elettricità sta in uno dei suoi
cassetti, o nel retrobottega scuro ma simile alla borsa di Mary Poppins. A volte
entro, però oggi non mi serve nulla, e proseguo nella passeggiata. Cerco di
tornare ai miei pensieri, ma un cane che ringhia dietro una cancellata mi
spaventa, e la paura mi fa scappare, esattamente come se fossi un bambino. Rallento
solo quando ormai sono al parco, racchiuso da alte siepi e dove in un angolo, ad
imitazione dei giardini rinascimentali, esiste da sempre un piccolo e magico
labirinto. Mi siedo su una panchina non troppo lontana ed osservo i bambini
giocare, divertito. Vedo persino una ragazzina che mi sembra di riconoscere, ma
io non ho figli e non ho amici sposati con figli piccoli. Poi non la rivedo più, si deve
essere nascosta nel labirinto per non farsi trovare dai compagni. Mi giro e scordo il labirinto.
Guardo l’orologio. Inizia far tardi ma ho tutto
il tempo ancora di arrivare a casa a piedi, facendo un giro lungo. Prendo via
Vittorio perché mi è sempre piaciuta quella strada con i portici. La prima
bottega all’incrocio con vicolo Adelardi è di De Giorgi, quella che vende
giochi tutto l’anno, maschere di carnevale a carnevale, petardi sempre, tranne
che in dicembre, e tante pistole giocattolo col tamburo e le capsule rosse che
servono a fare lo scoppio imitando le pistole vere. Oggi non mi servono
pistole, e voglio vedere cosa danno al cinema Astro. La pellicola mi sembra
vecchia, che strano, e anche l’orario è diverso dal solito. Vedo il cartellino
con la scritta: apertura ore 15. Avranno deciso di aprire anche il pomeriggio,
evidentemente.
Finalmente arrivo a casa, ma quella dove
abitavo da ragazzo, in un gioco dove il reale si sovrappone a quello che reale
è stato, e a questo punto ho paura a cercare la chiave che ho in tasca. Aprirà quella
porta?
Silvano C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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