giovedì 14 aprile 2016

La chiave e la città invisibile



 
Mi alzo ed esco presto, come ogni giorno feriale, per andare al lavoro. Mi piace arrivare prima dell’orario previsto, e molto prima di quello che normalmente sarebbe necessario, per organizzare materiali ed idee prima di gettarmi nella mischia. Ne ho bisogno, come se fosse un momento iperbarico funzionale al mio adattamento psicologico.
La prima cosa che vedo appena girato l’angolo, a piedi, è l’edificio della mia vecchia scuola materna. Nulla di strano, non lo degno di molta attenzione, è il solito piccolo palazzo a due piani, azzurro chiaro ed un po’ scrostato. Prima di superarlo mi sembra di scorgere, nel cortile dove sono già arrivati i primi bambini, suor Annarosa. Lei non mi nota ed io proseguo senza mandarle un cenno di saluto. Poi arrivo alla fermata e dopo pochi minuti sono sull’autobus e scordo tutto, pensando a cosa mi aspetta durante la giornata.

Alle tre del pomeriggio ho finito, perché il mio orario è molto flessibile, quindi saluto tutti, esco e mi incammino verso un centro commerciale a poca distanza, per pochi acquisti. Impiego meno di 10 minuti, e poi davanti a me trovo il vecchio rudere della fabbrica di infissi ora occupato da un popolo di diverse etnie, disperati che hanno bisogno di un riparo e di un lavoro, gente pericolosa che vive di piccoli furti e spaccio ai margini della società, tanti di passaggio, per andare altrove. Ogni tanto tutto il fabbricato viene circondato da vigili urbani, polizia e carabinieri, sono effettuati controlli, pochi vengono portati via, e tutto continua come prima, sino alla prossima retata.

Dimentico di aver bisogno del detersivo per piatti, e decido di allungare il percorso sino al parco. A destra trovo il negozietto di Aldina, dall’età indefinibile, che vende lampadine e prese, cavi e batterie. Ogni piccolo oggetto legato all’elettricità sta in uno dei suoi cassetti, o nel retrobottega scuro ma simile alla borsa di Mary Poppins. A volte entro, però oggi non mi serve nulla, e proseguo nella passeggiata. Cerco di tornare ai miei pensieri, ma un cane che ringhia dietro una cancellata mi spaventa, e la paura mi fa scappare, esattamente come se fossi un bambino. Rallento solo quando ormai sono al parco, racchiuso da alte siepi e dove in un angolo, ad imitazione dei giardini rinascimentali, esiste da sempre un piccolo e magico labirinto. Mi siedo su una panchina non troppo lontana ed osservo i bambini giocare, divertito. Vedo persino una ragazzina che mi sembra di riconoscere, ma io non ho figli e non ho amici sposati con figli piccoli. Poi non la rivedo più, si deve essere nascosta nel labirinto per non farsi trovare dai compagni. Mi giro e scordo il labirinto.

Guardo l’orologio. Inizia far tardi ma ho tutto il tempo ancora di arrivare a casa a piedi, facendo un giro lungo. Prendo via Vittorio perché mi è sempre piaciuta quella strada con i portici. La prima bottega all’incrocio con vicolo Adelardi è di De Giorgi, quella che vende giochi tutto l’anno, maschere di carnevale a carnevale, petardi sempre, tranne che in dicembre, e tante pistole giocattolo col tamburo e le capsule rosse che servono a fare lo scoppio imitando le pistole vere. Oggi non mi servono pistole, e voglio vedere cosa danno al cinema Astro. La pellicola mi sembra vecchia, che strano, e anche l’orario è diverso dal solito. Vedo il cartellino con la scritta: apertura ore 15. Avranno deciso di aprire anche il pomeriggio, evidentemente.

Finalmente arrivo a casa, ma quella dove abitavo da ragazzo, in un gioco dove il reale si sovrappone a quello che reale è stato, e a questo punto ho paura a cercare la chiave che ho in tasca. Aprirà quella porta?



                                                                                                        Silvano C.©   

(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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