venerdì 13 febbraio 2015

Sette vite


Prima di morire Paul Etang non cambiò la sua idea sulla metempsicosi. Lui di vite ne aveva vissute abbastanza, non credeva in reincarnazioni dopo la morte come invece la sua sesta moglie Sati. Fu colonnello agli ordini di Napoleone, sino alla battaglia vinta a costo di enormi perdite, a Smolensk, prima di abbandonare quelle terre gelate, le truppe francesi e la prima moglie, Enriette, per dirigersi verso est, vestito da contadino e in cerca di un diverso destino.

A Samara arrivò di notte, dopo giorni di viaggio nei quali aveva solo bevuto acqua e mangiato erba, e fu quasi ucciso da un gruppo di nomadi se non fosse stato per l’intervento di una della loro donne che si invaghì di quel giovane dai bei capelli e dalla barba troppo lunga. Anche se vestito da pezzente lei intuì in qualche modo le sue origini. Sei mesi dopo fu sua sposa e la coppia festeggiata con una grande festa nell’accampamento. Kirnell, così aveva detto di chiamarsi ai nomadi, rimase con loro giusto il tempo per trascorrere un intero anno con Zulaka e fargli concepire due gemelli prima di lasciare di nuovo il suo passato alle spalle, stavolta con un cavallo, diretto ancora più a est.

Giunse ad un villaggio vicino alla futura Akmolinsk e si trovò bene, tra quella gente ospitale. Si decise a fermarsi, convinto di aver messo abbastanza spazio tra lui e i nomadi, e si inventò il mestiere di cerusico. Dopo aver assistito in battaglia tanti compagni feriti e visto morire troppi uomini di valore, decise che ne sapeva a sufficienza per cercare di salvale, le vite, invece di fermarle. Infatti si scoprì naturali ed intuitive capacità taumaturgiche ancora più che mediche, ed in pochi anni la sua capanna prima e la sua casa dopo divennero meta, nell’intera regione, di molti che cercavano un sollievo alle loro sofferenze. Lì conobbe la sua terza moglie, Atana, di dieci anni più giovane di lui, che divenne pure la sua assistente ed infermiera, oltre che madre di diversi suoi figli. Anche quella sua parentesi, prolungatasi per circa 14 anni, ad un certo punto, all’improvviso, in una bella giornata di primavera, finì. Si allontanò senza salutare nessuno, diretto ancora verso est, percorrendo strade secondarie e nascondendo il volto a coloro che incontrò sulla via per molti giorni, sino a quando fu certo che difficilmente qualcuno lo avrebbe riconosciuto.

Camminò attraverso montagne sempre più imponenti, sino a trovare una caverna ben riparata nella quale scorreva un rigagnolo di acqua limpida e buona da bere. Si fermò, sposò la Solitudine, si nutrì del poco che poteva trovare attorno, e si fece eremita. Non si cambiò gli abiti sempre più logori che indossò per più di otto anni, e mentre il tempo trascorreva, di tanto in tanto, qualcuno, di passaggio, iniziò a salutarlo come se fosse un santo, un illuminato. Per altri era semplicemente un pazzo, perché è normale non trovare tra tutti lo stesso giudizio riguardo alle proprie azioni ed il proprio modo di stare al mondo.

Prima che il nono anno iniziasse lui si stancò, abbandonò quel luogo e si diresse stavolta verso sud, verso la Terra dei Puri, che alcuni pellegrini gli avevano descritto come bella e rigogliosa. Tutti costoro venivano da quella regione, che era bella ai loro occhi, e tale sperò fosse anche per i suoi. Vi giunse, dopo molti mesi, ma rimase un po’ deluso, perché la sua immaginazione aveva fatto sperare in luoghi molto più ricchi e luminosi.
Vi rimase però per un fatto che lo fece fermare. Arrivato sulle rive di un fiume un gruppo di donne, molte delle quali giovani, che stavano lavando vari indumenti, quando lo videro rimasero molto impressionate dalla sua lunga barba e dal suo aspetto nobile, ma ancor di più dal lordume che copriva lui ed i suoi cenci. Con molto rispetto per la sua età non più giovanile lo chiamarono a gesti, lo fecero avvicinare, lo sfamarono e poi, come se non aspettassero altro, lo fecero scendere con i piedi nell’acqua quasi gelida, lo spogliarono completamente e lo lavarono. Infine lo asciugarono e lo rivestirono con tessuti migliori e più nuovi di quelli che aveva tenuto addosso per otto anni, e la più anziana di loro, vedova da diverso tempo, dopo averlo osservato per bene quando lo stavano lavando, decise di portarselo a casa con sé. Faisala divenne la sua quinta moglie, da lui non ebbe figli, e riuscì a godere della sua presenza per meno di un anno. Lui infatti solo per gentilezza rimase molto più di quanto avrebbe voluto, ma alla fine seguì ancora il suo destino, lasciando per sempre anche quei luoghi. Stavolta con qualche rimpianto, perché il tempo passava e questo lo capiva molto bene.

Arrivò infine nelle regioni dell’India, ben oltre la metà della sua vita, e continuò a cercare quello che non aveva trovato in Francia, in Russia e nei paesi dell’Asia che aveva attraversato in tanti anni. Capì, un giorno, che non avrebbe mai potuto trovare quello che neppure sapeva che forma avesse, che odore, che lingua parlasse, che colore avesse. Si fermò quindi in un piccolo villaggio, dove decise che poteva andar bene per trascorrervi i suoi ultimi anni su questa terra.
Iniziò a dipingere con i pigmenti naturali del luogo ogni cosa trovata abbandonata: un pezzo di legno, un sasso, una tela. Cominciò a barattare queste sue opere, e ci ricavò da vivere, giusto quanto bastava. Trovò pure una moglie, di poco più giovane di lui, Sati, che gli rimase accanto sino alla fine. Lei gli raccontava, quando le riuscì di fargli imparare la sua lingua, che sarebbe rinato, che si sarebbe reincarnato. Lui sorrideva, annuiva ma non le credeva. 

Alla fine, circa un secolo e mezzo dopo, avrebbe avuto la prova che entrambi avevano ragione.

La sua settima vita inizia quando, in una piccola fonderia, dal metallo liquido si solidifica, nel suo stampo, un soldatino. È un generale napoleonico, e viene dipinto in seguito dalle mani abili di un artigiano viennese. Ed è lui, promosso a generale da colonnello che era stato. E la sua settima moglie, che non può mai toccare se non per caso quando viene mosso dalla piccola vetrinetta dove lo pongono le mani del suo nuovo proprietario, è una dolce ed esile ballerina fermata in un suo passo di danza, messa accanto a lui secondo una logica che gli sfugge.


                                                                                   Silvano C.©

( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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