Prima di morire Paul Etang non cambiò la sua idea sulla
metempsicosi. Lui di vite ne aveva vissute abbastanza, non credeva in
reincarnazioni dopo la morte come invece la sua sesta moglie Sati. Fu
colonnello agli ordini di Napoleone, sino alla battaglia vinta a costo di
enormi perdite, a Smolensk, prima di abbandonare quelle terre gelate, le truppe
francesi e la prima moglie, Enriette, per dirigersi verso est, vestito da
contadino e in cerca di un diverso destino.
A Samara arrivò di notte, dopo giorni di viaggio nei quali
aveva solo bevuto acqua e mangiato erba, e fu quasi ucciso da un gruppo di
nomadi se non fosse stato per l’intervento di una della loro donne che si
invaghì di quel giovane dai bei capelli e dalla barba troppo lunga. Anche se vestito
da pezzente lei intuì in qualche modo le sue origini. Sei mesi dopo fu sua
sposa e la coppia festeggiata con una grande festa nell’accampamento. Kirnell,
così aveva detto di chiamarsi ai nomadi, rimase con loro giusto il tempo per
trascorrere un intero anno con Zulaka e fargli concepire due gemelli prima di
lasciare di nuovo il suo passato alle spalle, stavolta con un cavallo, diretto
ancora più a est.
Giunse ad un villaggio vicino alla futura Akmolinsk e si
trovò bene, tra quella gente ospitale. Si decise a fermarsi, convinto di aver
messo abbastanza spazio tra lui e i nomadi, e si inventò il mestiere di
cerusico. Dopo aver assistito in battaglia tanti compagni feriti e visto morire troppi
uomini di valore, decise che ne sapeva a sufficienza per cercare di salvale, le
vite, invece di fermarle. Infatti si scoprì naturali ed intuitive capacità
taumaturgiche ancora più che mediche, ed in pochi anni la sua capanna prima e
la sua casa dopo divennero meta, nell’intera regione, di molti che cercavano un
sollievo alle loro sofferenze. Lì conobbe la sua terza moglie, Atana, di dieci
anni più giovane di lui, che divenne pure la sua assistente ed infermiera,
oltre che madre di diversi suoi figli. Anche quella sua parentesi, prolungatasi
per circa 14 anni, ad un certo punto, all’improvviso, in una bella giornata di
primavera, finì. Si allontanò senza salutare nessuno, diretto ancora verso est,
percorrendo strade secondarie e nascondendo il volto a coloro che incontrò
sulla via per molti giorni, sino a quando fu certo che difficilmente qualcuno
lo avrebbe riconosciuto.
Camminò attraverso montagne sempre più imponenti, sino a
trovare una caverna ben riparata nella quale scorreva un rigagnolo di acqua
limpida e buona da bere. Si fermò, sposò la Solitudine, si nutrì del poco che poteva
trovare attorno, e si fece eremita. Non si cambiò gli abiti sempre più logori
che indossò per più di otto anni, e mentre il tempo trascorreva, di tanto in
tanto, qualcuno, di passaggio, iniziò a salutarlo come se fosse un santo, un
illuminato. Per altri era semplicemente un pazzo, perché è normale non trovare
tra tutti lo stesso giudizio riguardo alle proprie azioni ed il proprio modo di
stare al mondo.
Prima che il nono anno iniziasse lui si stancò, abbandonò
quel luogo e si diresse stavolta verso sud, verso la Terra dei Puri, che alcuni
pellegrini gli avevano descritto come bella e rigogliosa. Tutti costoro
venivano da quella regione, che era bella ai loro occhi, e tale sperò fosse
anche per i suoi. Vi giunse, dopo molti mesi, ma rimase un po’ deluso, perché
la sua immaginazione aveva fatto sperare in luoghi molto più ricchi e luminosi.
Vi rimase però per un fatto che lo fece fermare. Arrivato
sulle rive di un fiume un gruppo di donne, molte delle quali giovani, che
stavano lavando vari indumenti, quando lo videro rimasero molto impressionate
dalla sua lunga barba e dal suo aspetto nobile, ma ancor di più dal lordume che
copriva lui ed i suoi cenci. Con molto rispetto per la sua età non più
giovanile lo chiamarono a gesti, lo fecero avvicinare, lo sfamarono e poi, come
se non aspettassero altro, lo fecero scendere con i piedi nell’acqua quasi
gelida, lo spogliarono completamente e lo lavarono. Infine lo asciugarono e lo
rivestirono con tessuti migliori e più nuovi di quelli che aveva tenuto addosso
per otto anni, e la più anziana di loro, vedova da diverso tempo, dopo averlo
osservato per bene quando lo stavano lavando, decise di portarselo a casa con
sé. Faisala divenne la sua quinta moglie, da lui non ebbe figli, e riuscì a
godere della sua presenza per meno di un anno. Lui infatti solo per gentilezza
rimase molto più di quanto avrebbe voluto, ma alla fine seguì ancora il suo
destino, lasciando per sempre anche quei luoghi. Stavolta con qualche
rimpianto, perché il tempo passava e questo lo capiva molto bene.
Arrivò infine nelle regioni dell’India, ben oltre la metà
della sua vita, e continuò a cercare quello che non aveva trovato in Francia,
in Russia e nei paesi dell’Asia che aveva attraversato in tanti anni. Capì, un
giorno, che non avrebbe mai potuto trovare quello che neppure sapeva che forma
avesse, che odore, che lingua parlasse, che colore avesse. Si fermò quindi in
un piccolo villaggio, dove decise che poteva andar bene per trascorrervi i suoi
ultimi anni su questa terra.
Iniziò a dipingere con i pigmenti naturali del luogo ogni
cosa trovata abbandonata: un pezzo di legno, un sasso, una tela. Cominciò a
barattare queste sue opere, e ci ricavò da vivere, giusto quanto bastava. Trovò
pure una moglie, di poco più giovane di lui, Sati, che gli rimase accanto sino
alla fine. Lei gli raccontava, quando le riuscì di fargli imparare la sua
lingua, che sarebbe rinato, che si sarebbe reincarnato. Lui sorrideva, annuiva ma
non le credeva.
Alla fine, circa un secolo e mezzo dopo, avrebbe avuto la prova che entrambi avevano ragione.
Alla fine, circa un secolo e mezzo dopo, avrebbe avuto la prova che entrambi avevano ragione.
La sua settima vita inizia quando, in una piccola fonderia,
dal metallo liquido si solidifica, nel suo stampo, un soldatino. È un generale
napoleonico, e viene dipinto in seguito dalle mani abili di un artigiano
viennese. Ed è lui, promosso a generale da colonnello che era stato. E la sua
settima moglie, che non può mai toccare se non per caso quando viene mosso
dalla piccola vetrinetta dove lo pongono le mani del suo nuovo proprietario, è
una dolce ed esile ballerina fermata in un suo passo di danza, messa accanto a
lui secondo una logica che gli sfugge.
( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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