Non è per nulla facile, perché si entra in uno spazio nuovo
del quale si aveva nozione solo attraverso discorsi in momenti non maturi, o in
brani di letteratura o di grandi poeti della musica che, quando si erano letti
o ascoltati, non si erano capiti. O meglio. Si erano capiti, ed erano sembrati
coerenti, logici, profondi, ma non si erano ancora vissuti.
Il vivere la situazione cambia in modo a volte drammatico
l’ottica e l’importanza degli argomenti, la loro concatenazione, il loro stesso
sviluppo finale, con le conseguenze del caso.
Dire che sento di contraddirmi e che di conseguenza non sono
certo di alcune conclusioni del passato è facile, persino doveroso.
Non è invece per nulla facile capire veramente.
Lasciare l’intransigenza, e tentare di combatterla, appare
sempre più un vero imperativo, scoprendo incongruenze nelle azioni proprie ed
altrui. Principalmente proprie, direi.
E poi le parole non dette, lasciate sospese ed ora
impossibili da pronunciare. Ma sei veramente sicura (o sicuro) che si sia persa
un’occasione, che ora il pensiero è tardivo e che quelle frasi andavano
pronunciate dieci anni fa, o venti anni fa? Le parole di oggi, con quello che
abbiamo capito oggi, sparate indietro nel tempo ad altre persone, che erano
diverse, alcune di loro scomparse, come è scritto nella legge della natura, che
effetto avrebbero avuto, e come avrebbero modificato gli eventi, i sentimenti,
i rapporti profondi?
Non ci credo, lo ammetto. L’aver fatto o non fatto, l’aver
detto o non detto, accettato o non accettato era di allora. Un giorno in più
assieme avrebbe mutato le settimane seguenti? Se mi rendessi conto che la
risposta corretta potrebbe essere affermativa probabilmente ne uscirei
distrutto, e cerco solo di convincermi che non è vero. Elaboro, in altre
parole, tento una ricostruzione della storia alla quale ho preso parte,
adattandola, tentando un po' di negare per sopravvivere, ma barare al
solitario è poco gratificante, e non paga se non con carte rubate.
Se fosse possibile azzerare le passioni e gli egoismi, il
narcisismo e la troppa importanza che ci attribuiamo vivremmo tutti molto
meglio, e anche gli altri ne trarrebbero benefici. Una vita trascorsa ad
insegnare e non aver capito, a ricevere critiche mal digerite e congratulazioni
sopravvalutate, come se fossero oggettive.
Ma cosa trasmettiamo ai nostri figli, ai nostri alunni, a
coloro che ci ascoltano come se noi potessimo dare loro una via non pensata,
nuove speranze, uno scopo? Mi fa paura
il fanatismo che troppo spesso deriva da questi insegnamenti, e vorrei non
insegnare nulla a nessuno, abdicando al ruolo che mi è stato assegnato, non
solo scelto.
Ed allora le cose non dette diventano macigni
insopportabili, anche quelle che non ho permesso di pronunciare perché ero
assente, e che ora non potrò più sentire, in alcun modo, se non immaginando,
ricostruendo, tentando un’opera di restauro emozionale.
Ora, lo ammetto, non è facile. E forse non lo sarebbe stato
in ogni caso, vorrei crederlo.
( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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