mercoledì 4 febbraio 2015

Un uomo ridicolo


Quando G nasce nessuno lo aspetta. Se la sua nascita fosse avvenuta in una famiglia anarchica di quelle toste durante il secolo precedente quello breve si sarebbe di diritto chiamato Inatteso. Lo chiamano G perché la nonna è legata al santo che porta il suo nome, che gli ha fatto una grazia, tanti anni prima, ed i genitori sono troppo distratti da altre urgenze per opporre obiezioni. G può andare. Quello che non può andare invece è che lui arrivi in questo modo, in una famiglia già numerosa e con i suoi problemi, quarto dopo un fratello e due sorelle, la più giovane delle quali è ormai maggiorenne. Quando compie il suo quinto compleanno viene ricavata per lui una piccola stanzetta nella grande casa colonica, dividendo con una parete sottile un ripostiglio che serve come cantina e dispensa.
La stanza dei salami, insomma, viene ridotta di dimensioni per far posto a lui, e a questo punto le allusioni e le prese in giro iniziano a diventare quasi una normalità. Neppure si rende conto di come sia iniziata tutta la faccenda. È un dato di fatto. In famiglia tutti sono sempre occupatissimi, e capisce molto velocemente che per essere lasciato in pace prima di tutto non deve prendersela e poi è importante dare  sempre l’impressione di essere indaffarato in attività utili a tutti. Coetanei nelle vicinanze del resto non ce ne sono, ed i suoi giochi sono curare l’orto, le galline, i conigli, i maiali, i cani ed i gatti.
Quando è il momento di andare alle elementari la cosa è presa molto male da tutti, e nessuno sembra avere alcuna intenzione di preoccuparsi del suo andamento scolastico. La cosa importante è che quando torna a casa non perda tempo con le sciocchezze che gli raccontano in classe ma si dia da fare ed aiuti la famiglia, senza perdere altro tempo. Con i nonni meno efficienti e sopportati ormai come un peso dal resto dei familiari lui è sempre più obbligato ad occuparsi di lavori pesanti, anche nella stalla. Poi, come una maledizione, il fratello maggiore, Pino, si sposa, trova un lavoro da operaio in una fabbrica aperta da poco e se ne va a vivere da solo con la moglie, abbandonando senza rimpianti quella gabbia di matti che è la sua ex-famiglia. G ora diventa importante per la divisione dei lavori sempre più gravosi e per le braccia che diminuiscono, ma ugualmente nessuno lo rispetta o si interessa di quello che vorrebbe lui.
E la stessa situazione si ripete a scuola, dove semplicemente è un isolato, quando va bene, oppure è il destinatario finale di scherzi atroci, perché neppure i suoi coetanei sono teneri o hanno pietà di lui. Una cosa che G capisce subito però è che, se decide di fare a botte con qualcuno, difficilmente le prende. Gli anni trascorsi a fare lavori pesanti non sono stati del tutto inutili, quindi, e anche se continuano a penderlo in giro, lo fanno con sempre maggiore prudenza, e pure con gli scherzi evitano di farsi scoprire.
Il suo portamento abbastanza animalesco, la difficoltà che incontra a farsi capire dagli altri, il pesante odore di stalla che aleggia attorno a lui e l’impressione che ispira di essere un ritardato mentale non lo aiutano per nulla. Quando, dopo oltre un anno difficile, inizia a trovare un certo equilibrio scopre che le cose che gli insegnano gli interessano, e il mondo nuovo che intravede nei racconti e nelle letture della maestra rivolte a tutta la classe sembrano colpirlo. Lui non ha mai avuto nessuno che gli raccontasse favole, quando era più piccolo, e quando l’insegnante parla lui l’ascolta a bocca aperta. È molto buffo quando assume quella posizione, e tutti attorno se lo indicano l’un l’altro deridendolo, ma lui neppure se ne accorge, ed assorbe come una spugna ogni singola parola.
A casa lavora come se fosse uno schiavo, ricevendone in cambio solo mugugni che vorrebbero esprimere approvazione. L’affetto ed i sentimenti che ha capito esistere in altre famiglie, secondo quanto sta imparando, lui non li ha mai provati sulla propria pelle. Inizia a notare inoltre che spesso i genitori dei compagni entrano a scuola, per parlare con la maestra, oppure sono fuori dal cancello, ad aspettare i figli all’uscita. I suoi non sono mai venuti, invece. Per loro la scuola non serve a nulla, e non sono neppure interessarsi a quello che fa lui quando è lontano da casa. Sono soddisfatti solo quando, la sera, ha svolto tutto il lavoro che gli era stato assegnato.

Pochi anni dopo, verso la fine delle elementari, G continua a camminare come se fosse una specie di grossa scimmia e puzza sempre come le vacche nella stalla. I suoi compagni di classe lo prendono ancora in giro, ma senza mai farlo di fronte a lui, perché sanno che se li scopre li pesta a sangue.
Intanto ha imparato a leggere, e la notte, quando è libero finalmente, divora alla luce di una piccola lampadina praticamente tutta la biblioteca di classe prendendo in prestito un libro dopo l’altro.
Una ragazzina  sua compagna una mattina sembra sorridergli, ed il giorno dopo gli passa un bigliettino, di nascosto. Gli da appuntamento, durante l’intervallo, dietro un cespuglio nell’angolo del cortile vicino alla casa del bidello, che abita esattamente accanto alla scuola dove lavora. G aspetta quel momento, con un’esplosione di domande e di attese che lo agitano profondamente. Finalmente suona la campanella e lui, piano, per paura di arrivare troppo presto, si avvia verso il cespuglio. Vede solo il sorriso della sua compagna, una delle più carine della classe. E lei ha dato appuntamento proprio a lui. Quando è nel posto prefissato, Elena non c’è. Ci sono invece quasi tutti gli altri della classe, disposti a semicerchio, che iniziano a ridere come matti e gli urlano ogni genere di cattiveria, perché è caduto proprio come un salame nel loro scherzo.
Ora lui non accetta più di essere un salame, e già a casa ha fatto capire a tutti che è il caso di smettere di prenderlo in giro usando quella parola. A scuola nessuno ancora lo aveva offeso così, e perde del tutto il controllo. Insegue quelli che lo hanno attirato dietro il cespuglio, ne raggiunge uno, lo sfortunato che non è fuggito abbastanza velocemente. In mezzo al cortile inizia a dargli pugni e calci, sino quasi a tramortirlo. Se non fossero intervenuti i maestri a separarli probabilmente avrebbe potuto ucciderlo, questo lo capisce da solo, quando finalmente si calma.
Ormai però è troppo tardi. G non potrà tornare a scuola. Non potrà neppure finire la classe quinta. Non lo vuole più nessuno, e la sua famiglia non fa nulla per aiutarlo, perché loro non aspettano altro che lui torni a dedicarsi solo al lavoro che lo aspetta a casa, dimenticando l’inutile studio.

Trascorrono quasi dieci anni. Ormai G è maggiorenne, si è allontanato dalla sua famiglia e vive ancora lavorando, a poca distanza dalla sua casa natale della quale non ha alcuna nostalgia. Da quando se n’è andato non ha più voluto saper nulla di quel posto e di chi ancora ci vive. Ora è un semplice operaio agricolo. È sottopagato per il lavoro che fa, ma è indipendente, riceve vitto ed alloggio ed è trattato semplicemente per quello che è, cioè un lavoratore nato, senza ambizione e desideroso di vivere ai margini della società. Vuole essere lasciato in pace. Sa che nessuno è interessato a lui, quell’illusione solo in passato lo aveva sfiorato. Fa ridere gli uomini e le donne neppure lo vedono come uomo. Al massimo è un animale, ed è considerato da tutti uno scherzo della natura. Continua ancora a leggere di tutto, stavolta andando regolarmente alla biblioteca del paese e prendendo a prestito quello che lo incuriosisce di più. Si presenta sempre verso l’ora di chiusura, quando c’è poca gente, riconsegna il libro che ha appena finito di leggere e ne prende uno nuovo. Da alcuni anni ha scoperto autori erotici, e la sera spesso si masturba prima di dormire, perché lui le donne le vede, anche se loro non vedo lui. E sa anche che la loro parte descritta nei libri è il massimo che vorranno mai concedergli.
Vede la sua prima ed unica donna nuda per caso, un pomeriggio estivo, mentre sta sudando sotto il sole estirpando barbabietole a mano, con quella specie di zappetta uncinata e tenuta legata in vita con una corda, per aiutarsi nel lavoro. Sente grida e risate che sembrano provenire da un macero a poca distanza. È stanco, beve un sorso d’acqua e decide di fare una breve sosta. Si avvicina, facendo attenzione a non farsi notare, e la vede. Lei sembra una straniera, forse è ospite di qualcuno, non l’ha mai vista prima. Ride e parla a voce alta con una ragazza che sta seduta su un grosso sasso mentre nuota nell’acqua stagnante che riflette la luce come una specie di specchio. E poi torna verso riva e lui, che si è accucciato dietro un filare di viti, la vede uscire come una specie di dea, completamente nuda, gocciolante, il triangolo del suo pelo più intimo, quello che lui ha solo immaginato sino a quel momento, finalmente esposto alla sua vista affascinata. La visione dura un paio di minuti, mentre la giovane dea ride e parla con l’amica che resta seduta, di spalle. Ha modo di ammirare ogni curva del suo corpo, e poi lei si riveste in fretta e se ne vanno via, sparendo tra i filari in ombra.

L’epilogo della sua vita arriva molto presto, prima di quanto la sua salute di ferro avrebbe mai potuto far supporre, e le circostanze del fatto circolano in paese per mesi, sempre arricchite di nuovi particolari, per rinforzare l’opinione comune che tutti si sono preconfezionata adattandola ai loro pensieri.
Una sera Elena, sposata e divorziata dopo soli due anni da Fabio, un suo vecchio compagno di classe, viene assalita e forse violentata (ma il fatto non viene mai appurato con chiarezza) da G, che, probabilmente in preda ad uno dei suoi incontenibili raptus, la incontra in una zona poco frequentata del paese, tra la chiesa ed il cimitero. Qualcuno assiste all’aggressione, e con una sbarra di ferro fatta cadere con violenza sulla testa di G lo uccide. Poi il misterioso salvatore della donna sparisce senza lasciare tracce.
G viene sepolto in gran fretta, dopo che le indagini si sono svolte ancora più in fretta, semplicemente raccogliendo le voci delle tante persone che hanno conosciuto quell’uomo violento e stupratore, che sino all’ultimo in molti hanno pensato fosse semplicemente ridicolo.

Solo molti mesi dopo, vincendo la sua paura, il bibliotecario si reca alla stazione dei carabinieri del paese vicino, la stessa che ha svolto le indagini dopo l’aggressione di Elena e la morte di G. La sua versione dei fatti è molto diversa da quella accettata sino a quel momento come ufficiale. Lui abita nella stradina dove è successo il fatto, al terzo piano di una casa con poche finestre su quel lato. Quella sera ha visto passare la ragazza, perché stava fumando, dietro le imposte semiaperte, ed ha visto anche due uomini che si sono avvicinati a lei. Prima che potesse vederli i due l’hanno gettata a terra, con tutte le intenzioni di abusare di lei. In quel preciso momento è sbucato dall’angolo della strada G, che non ha impiegato molto tempo a capire che era in atto un’aggressione e si è lanciato come una belva contro i due assalitori. Li ha scaraventati a terra entrambi, e poi ha iniziato a prendersela maggiormente con uno dei due, che sembrava conoscere a giudicare dalla frasi sconnesse che urlava. L’altro, nel frattempo, è riuscito ad alzarsi, e, trovata a poca distanza una sbarra di ferro, l’ha afferrata e battuta con violenza sulla testa di G, uccidendolo sul colpo. A quel punto i due si sono allontanati, sorreggendosi a vicenda. Sono spariti dalla scena lasciando a terra Elena svenuta e G morto, in una pozza di sangue.
I carabinieri stavolta riaprono le indagini, e vanno a colpo più sicuro. Nel giro di una settimana trovano le due persone indicate dal bibliotecario grazie alla sua descrizione anche se non troppo precisa. Sono l’ex marito di Elena, che covava dal momento del divorzio un odio profondo per la donna, ed un suo amico e sodale, coinvolto per darle una lezione e per fargli sfogare i suoi istinti animaleschi.

Nel giro di poche ore, quando la notizia si diffonde in paese, sulla faccenda scende una sorta di silenzio che si trasforma presto in tabù, in argomento da evitare. G deve essere rimosso dalla memoria collettiva. I suoi ventisette inutili anni su questa terra vanno dimenticati. L’unico indizio che fa capire a tutti che qualcuno invece non dimentica sono i fiori che iniziano a vedersi, sempre freschi, sulla tomba senza foto di G.  


                                                                                   Silvano C.©

( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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