Quando G nasce nessuno lo aspetta. Se la sua nascita fosse
avvenuta in una famiglia anarchica di quelle toste durante il secolo precedente
quello breve si sarebbe di diritto chiamato Inatteso. Lo chiamano G perché la
nonna è legata al santo che porta il suo nome, che gli ha fatto una grazia,
tanti anni prima, ed i genitori sono troppo distratti da altre urgenze per
opporre obiezioni. G può andare. Quello che non può andare invece è che lui
arrivi in questo modo, in una famiglia già numerosa e con i suoi problemi,
quarto dopo un fratello e due sorelle, la più giovane delle quali è ormai
maggiorenne. Quando compie il suo quinto compleanno viene ricavata per lui una
piccola stanzetta nella grande casa colonica, dividendo con una parete sottile un
ripostiglio che serve come cantina e dispensa.
La stanza dei salami, insomma, viene ridotta di dimensioni
per far posto a lui, e a questo punto le allusioni e le prese in giro iniziano
a diventare quasi una normalità. Neppure si rende conto di come sia iniziata
tutta la faccenda. È un dato di fatto. In famiglia tutti sono sempre
occupatissimi, e capisce molto velocemente che per essere lasciato in pace
prima di tutto non deve prendersela e poi è importante dare sempre l’impressione di essere indaffarato
in attività utili a tutti. Coetanei nelle vicinanze del resto non ce ne sono,
ed i suoi giochi sono curare l’orto, le galline, i conigli, i maiali, i cani ed
i gatti.
Quando è il momento di andare alle elementari la cosa è
presa molto male da tutti, e nessuno sembra avere alcuna intenzione di
preoccuparsi del suo andamento scolastico. La cosa importante è che quando
torna a casa non perda tempo con le sciocchezze che gli raccontano in classe ma
si dia da fare ed aiuti la famiglia, senza perdere altro tempo. Con i nonni
meno efficienti e sopportati ormai come un peso dal resto dei familiari lui è
sempre più obbligato ad occuparsi di lavori pesanti, anche nella stalla. Poi,
come una maledizione, il fratello maggiore, Pino, si sposa, trova un lavoro da
operaio in una fabbrica aperta da poco e se ne va a vivere da solo con la
moglie, abbandonando senza rimpianti quella gabbia di matti che è la sua
ex-famiglia. G ora diventa importante per la divisione dei lavori sempre più
gravosi e per le braccia che diminuiscono, ma ugualmente nessuno lo rispetta o
si interessa di quello che vorrebbe lui.
E la stessa situazione si ripete a scuola, dove
semplicemente è un isolato, quando va bene, oppure è il destinatario finale di
scherzi atroci, perché neppure i suoi coetanei sono teneri o hanno pietà di
lui. Una cosa che G capisce subito però è che, se decide di fare a botte con
qualcuno, difficilmente le prende. Gli anni trascorsi a fare lavori pesanti non
sono stati del tutto inutili, quindi, e anche se continuano a penderlo in giro,
lo fanno con sempre maggiore prudenza, e pure con gli scherzi evitano di farsi
scoprire.
Il suo portamento abbastanza animalesco, la difficoltà che
incontra a farsi capire dagli altri, il pesante odore di stalla che aleggia
attorno a lui e l’impressione che ispira di essere un ritardato mentale non lo
aiutano per nulla. Quando, dopo oltre un anno difficile, inizia a trovare un
certo equilibrio scopre che le cose che gli insegnano gli interessano, e il
mondo nuovo che intravede nei racconti e nelle letture della maestra rivolte a
tutta la classe sembrano colpirlo. Lui non ha mai avuto nessuno che gli
raccontasse favole, quando era più piccolo, e quando l’insegnante parla lui
l’ascolta a bocca aperta. È molto buffo quando assume quella posizione, e tutti
attorno se lo indicano l’un l’altro deridendolo, ma lui neppure se ne accorge,
ed assorbe come una spugna ogni singola parola.
A casa lavora come se fosse uno schiavo, ricevendone in
cambio solo mugugni che vorrebbero esprimere approvazione. L’affetto ed i
sentimenti che ha capito esistere in altre famiglie, secondo quanto sta
imparando, lui non li ha mai provati sulla propria pelle. Inizia a notare
inoltre che spesso i genitori dei compagni entrano a scuola, per parlare con la
maestra, oppure sono fuori dal cancello, ad aspettare i figli all’uscita. I
suoi non sono mai venuti, invece. Per loro la scuola non serve a nulla, e non
sono neppure interessarsi a quello che fa lui quando è lontano da casa. Sono
soddisfatti solo quando, la sera, ha svolto tutto il lavoro che gli era stato
assegnato.
Pochi anni dopo, verso la fine delle elementari, G continua
a camminare come se fosse una specie di grossa scimmia e puzza sempre come le
vacche nella stalla. I suoi compagni di classe lo prendono ancora in giro, ma
senza mai farlo di fronte a lui, perché sanno che se li scopre li pesta a
sangue.
Intanto ha imparato a leggere, e la notte, quando è libero
finalmente, divora alla luce di una piccola lampadina praticamente tutta la
biblioteca di classe prendendo in prestito un libro dopo l’altro.
Una ragazzina sua
compagna una mattina sembra sorridergli, ed il giorno dopo gli passa un
bigliettino, di nascosto. Gli da appuntamento, durante l’intervallo, dietro un
cespuglio nell’angolo del cortile vicino alla casa del bidello, che abita
esattamente accanto alla scuola dove lavora. G aspetta quel momento, con
un’esplosione di domande e di attese che lo agitano profondamente. Finalmente
suona la campanella e lui, piano, per paura di arrivare troppo presto, si avvia
verso il cespuglio. Vede solo il sorriso della sua compagna, una delle più
carine della classe. E lei ha dato appuntamento proprio a lui. Quando è nel posto prefissato, Elena non c’è. Ci sono invece quasi tutti gli
altri della classe, disposti a semicerchio, che iniziano a ridere come matti e
gli urlano ogni genere di cattiveria, perché è caduto proprio come un salame
nel loro scherzo.
Ora lui non accetta più di essere un salame, e già a casa ha
fatto capire a tutti che è il caso di smettere di prenderlo in giro usando
quella parola. A scuola nessuno ancora lo aveva offeso così, e perde del tutto
il controllo. Insegue quelli che lo hanno attirato dietro il cespuglio, ne
raggiunge uno, lo sfortunato che non è fuggito abbastanza velocemente. In mezzo
al cortile inizia a dargli pugni e calci, sino quasi a tramortirlo. Se non
fossero intervenuti i maestri a separarli probabilmente avrebbe potuto
ucciderlo, questo lo capisce da solo, quando finalmente si calma.
Ormai però è troppo tardi. G non potrà tornare a scuola. Non
potrà neppure finire la classe quinta. Non lo vuole più nessuno, e la sua
famiglia non fa nulla per aiutarlo, perché loro non aspettano altro che lui
torni a dedicarsi solo al lavoro che lo aspetta a casa, dimenticando l’inutile
studio.
Trascorrono quasi dieci anni. Ormai G è maggiorenne, si è
allontanato dalla sua famiglia e vive ancora lavorando, a poca distanza dalla
sua casa natale della quale non ha alcuna nostalgia. Da quando se n’è andato
non ha più voluto saper nulla di quel posto e di chi ancora ci vive. Ora è un
semplice operaio agricolo. È sottopagato per il lavoro che fa, ma è
indipendente, riceve vitto ed alloggio ed è trattato semplicemente per quello
che è, cioè un lavoratore nato, senza ambizione e desideroso di vivere ai margini
della società. Vuole essere lasciato in pace. Sa che nessuno è interessato a
lui, quell’illusione solo in passato lo aveva sfiorato. Fa ridere gli uomini e
le donne neppure lo vedono come uomo. Al massimo è un animale, ed è considerato
da tutti uno scherzo della natura. Continua ancora a leggere di tutto, stavolta
andando regolarmente alla biblioteca del paese e prendendo a prestito quello
che lo incuriosisce di più. Si presenta sempre verso l’ora di chiusura, quando
c’è poca gente, riconsegna il libro che ha appena finito di leggere e ne prende
uno nuovo. Da alcuni anni ha scoperto autori erotici, e la sera spesso si
masturba prima di dormire, perché lui le donne le vede, anche se loro non vedo
lui. E sa anche che la loro parte descritta nei libri è il massimo che vorranno
mai concedergli.
Vede la sua prima ed unica donna nuda per caso, un
pomeriggio estivo, mentre sta sudando sotto il sole estirpando barbabietole a
mano, con quella specie di zappetta uncinata e tenuta legata in vita con una
corda, per aiutarsi nel lavoro. Sente grida e risate che sembrano provenire da
un macero a poca distanza. È stanco, beve un sorso d’acqua e decide di fare una
breve sosta. Si avvicina, facendo attenzione a non farsi notare, e la vede. Lei
sembra una straniera, forse è ospite di qualcuno, non l’ha mai vista prima.
Ride e parla a voce alta con una ragazza che sta seduta su un grosso sasso
mentre nuota nell’acqua stagnante che riflette la luce come una specie di
specchio. E poi torna verso riva e lui, che si è accucciato dietro un filare di
viti, la vede uscire come una specie di dea, completamente nuda, gocciolante,
il triangolo del suo pelo più intimo, quello che lui ha solo immaginato sino a
quel momento, finalmente esposto alla sua vista affascinata. La visione dura un
paio di minuti, mentre la giovane dea ride e parla con l’amica che resta
seduta, di spalle. Ha modo di ammirare ogni curva del suo corpo, e poi lei si
riveste in fretta e se ne vanno via, sparendo tra i filari in ombra.
L’epilogo della sua vita arriva molto presto, prima di
quanto la sua salute di ferro avrebbe mai potuto far supporre, e le circostanze
del fatto circolano in paese per mesi, sempre arricchite di nuovi particolari,
per rinforzare l’opinione comune che tutti si sono preconfezionata adattandola
ai loro pensieri.
Una sera Elena, sposata e divorziata dopo soli due anni da
Fabio, un suo vecchio compagno di classe, viene assalita e forse violentata (ma
il fatto non viene mai appurato con chiarezza) da G, che, probabilmente in
preda ad uno dei suoi incontenibili raptus, la incontra in una zona poco
frequentata del paese, tra la chiesa ed il cimitero. Qualcuno assiste
all’aggressione, e con una sbarra di ferro fatta cadere con violenza sulla
testa di G lo uccide. Poi il misterioso salvatore della donna sparisce senza
lasciare tracce.
G viene sepolto in gran fretta, dopo che le indagini si sono
svolte ancora più in fretta, semplicemente raccogliendo le voci delle tante
persone che hanno conosciuto quell’uomo violento e stupratore, che sino
all’ultimo in molti hanno pensato fosse semplicemente ridicolo.
Solo molti mesi dopo, vincendo la sua paura, il
bibliotecario si reca alla stazione dei carabinieri del paese vicino, la stessa
che ha svolto le indagini dopo l’aggressione di Elena e la morte di G. La sua
versione dei fatti è molto diversa da quella accettata sino a quel momento come
ufficiale. Lui abita nella stradina dove è successo il fatto, al terzo piano di
una casa con poche finestre su quel lato. Quella sera ha visto passare la
ragazza, perché stava fumando, dietro le imposte semiaperte, ed ha visto anche
due uomini che si sono avvicinati a lei. Prima che potesse vederli i due
l’hanno gettata a terra, con tutte le intenzioni di abusare di lei. In quel
preciso momento è sbucato dall’angolo della strada G, che non ha impiegato
molto tempo a capire che era in atto un’aggressione e si è lanciato come una
belva contro i due assalitori. Li ha scaraventati a terra entrambi, e poi ha
iniziato a prendersela maggiormente con uno dei due, che sembrava conoscere a
giudicare dalla frasi sconnesse che urlava. L’altro, nel frattempo, è riuscito
ad alzarsi, e, trovata a poca distanza una sbarra di ferro, l’ha afferrata e
battuta con violenza sulla testa di G, uccidendolo sul colpo. A quel punto i
due si sono allontanati, sorreggendosi a vicenda. Sono spariti dalla scena
lasciando a terra Elena svenuta e G morto, in una pozza di sangue.
I carabinieri stavolta riaprono le indagini, e vanno a colpo
più sicuro. Nel giro di una settimana trovano le due persone indicate dal
bibliotecario grazie alla sua descrizione anche se non troppo precisa. Sono
l’ex marito di Elena, che covava dal momento del divorzio un odio profondo per
la donna, ed un suo amico e sodale, coinvolto per darle una lezione e per fargli
sfogare i suoi istinti animaleschi.
Nel giro di poche ore, quando la notizia si diffonde in
paese, sulla faccenda scende una sorta di silenzio che si trasforma presto in
tabù, in argomento da evitare. G deve essere rimosso dalla memoria collettiva.
I suoi ventisette inutili anni su questa terra vanno dimenticati. L’unico
indizio che fa capire a tutti che qualcuno invece non dimentica sono i fiori
che iniziano a vedersi, sempre freschi, sulla tomba senza foto di G.
( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti offensivi o spam saranno cancellati. Grazie della comprensione.