È
morto giovanissimo, nel fiore degli anni. Fortunato lui che dalla vita non ha
avuto vecchiaia e rimpianto del tempo perduto, senso di decadimento e perdita
di affetti. Non lo ha deciso lui, e se avesse potuto farlo certamente avrebbe
scelto di vivere, ma un’auto che non ha rispettato uno stop ha deciso il suo
destino.
Della
giovinezza si porterà sempre le promesse e le speranze, le mille illusioni e la
bellezza spesso non riconosciuta. Lui sarà sempre giovane.
La
sua morte viene giudicata innaturale, specialmente perché inusuale, non comune,
poco probabile. La vita sembra a volte innaturale, ingiusta, non morale. Ma lo
sembra soltanto. Ciò che è in realtà sfugge alle definizioni facili, ed è solo
la nostra esperienza, assieme alla nostra sensibilità, che ci permette di averne
un’idea.
Lui
è morto e giace, fissato per sempre in quei momenti vissuti negli ultimi anni,
felice come lo si può essere alla sua età che felice come appare non è quasi
mai.
Se
n’è andato nel momento che sarebbe giusto sfruttare per godere saggiamente
delle gioie della vita, quelle legate alle scoperte ed all’irruenza talvolta
incosciente ma irrefrenabile, necessaria. Mentre la saggezza spesso manca, come
manca la consapevolezza. E alcuni non diverranno mai saggi, ma mentre ad un
giovane questo è perdonato, a chi ha vissuto più a lungo non si può concedere
così liberamente.
E
dicono che non doveva succedere, anche io lo penso. Non doveva succedere. Io nego
che sia accettabile, e mi contraddico, come la vita mi contraddice, e mi porta
dove non vorrei andare, come lui, che non avrebbe voluto andarsene.
Ma
non l’ho conosciuto, non sono coinvolto emotivamente in questo caso e non vi è
alcun intento o spinta di tipo egoistico da parte mia. Se fossi coinvolto, se
io fossi rimasto e la sua morte mi distruggesse da dentro, se giudicassi
completamente sbagliata l’assegnazione della vita in porzioni che non mi so
giustificare in alcun modo, se ora mi ritrovassi a maledire non so chi, se, se,
se…
E penso a te, arrivo sempre
a questo punto. Ti cito apparentemente con leggerezza nei miei discorsi
quotidiani, come se tu fossi nell’altra stanza, come allora. A volte piango, e
questo è naturale. Nessuna cura di tipo farmacologico o psicologico può
riportami la tua presenza, che è anche la cosa principale che mi interessa, e
che non ammette soluzione.
Il resto è una
confusione di ragionamenti ed associazioni di idee che si potrebbero definire
variazioni sul tema. Non sono un pianista, e neppure uno scrittore, ma scrivo.
E perché scrivo? Ecco,
questa è una domanda interessante.
Silvano C.©
(La
riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte,
grazie)
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