martedì 8 agosto 2017

Non sono un pianista ma cedo alle variazioni




È morto giovanissimo, nel fiore degli anni. Fortunato lui che dalla vita non ha avuto vecchiaia e rimpianto del tempo perduto, senso di decadimento e perdita di affetti. Non lo ha deciso lui, e se avesse potuto farlo certamente avrebbe scelto di vivere, ma un’auto che non ha rispettato uno stop ha deciso il suo destino.
Della giovinezza si porterà sempre le promesse e le speranze, le mille illusioni e la bellezza spesso non riconosciuta. Lui sarà sempre giovane.
La sua morte viene giudicata innaturale, specialmente perché inusuale, non comune, poco probabile. La vita sembra a volte innaturale, ingiusta, non morale. Ma lo sembra soltanto. Ciò che è in realtà sfugge alle definizioni facili, ed è solo la nostra esperienza, assieme alla nostra sensibilità, che ci permette di averne un’idea.
Lui è morto e giace, fissato per sempre in quei momenti vissuti negli ultimi anni, felice come lo si può essere alla sua età che felice come appare non è quasi mai.
Se n’è andato nel momento che sarebbe giusto sfruttare per godere saggiamente delle gioie della vita, quelle legate alle scoperte ed all’irruenza talvolta incosciente ma irrefrenabile, necessaria. Mentre la saggezza spesso manca, come manca la consapevolezza. E alcuni non diverranno mai saggi, ma mentre ad un giovane questo è perdonato, a chi ha vissuto più a lungo non si può concedere così liberamente.
E dicono che non doveva succedere, anche io lo penso. Non doveva succedere. Io nego che sia accettabile, e mi contraddico, come la vita mi contraddice, e mi porta dove non vorrei andare, come lui, che non avrebbe voluto andarsene.
Ma non l’ho conosciuto, non sono coinvolto emotivamente in questo caso e non vi è alcun intento o spinta di tipo egoistico da parte mia. Se fossi coinvolto, se io fossi rimasto e la sua morte mi distruggesse da dentro, se giudicassi completamente sbagliata l’assegnazione della vita in porzioni che non mi so giustificare in alcun modo, se ora mi ritrovassi a maledire non so chi, se, se, se…

E penso a te, arrivo sempre a questo punto. Ti cito apparentemente con leggerezza nei miei discorsi quotidiani, come se tu fossi nell’altra stanza, come allora. A volte piango, e questo è naturale. Nessuna cura di tipo farmacologico o psicologico può riportami la tua presenza, che è anche la cosa principale che mi interessa, e che non ammette soluzione.
Il resto è una confusione di ragionamenti ed associazioni di idee che si potrebbero definire variazioni sul tema. Non sono un pianista, e neppure uno scrittore, ma scrivo.
E perché scrivo? Ecco, questa è una domanda interessante.


                                                                        Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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