È
cominciata così. Pensavo di dover realizzare troppe cose e non avere mai tempo
per nulla. Sognavo una giornata di 25 o 26 ore. Nulla di più sbagliato, ma
allora non lo sapevo.
Non
sarei stato soddisfatto neppure se avessi avuto giorni di 30 ore, mi sarebbe
sempre mancato il tempo per altre iniziative o per ultimare progetti, sempre
troppi.
È
nel nostro destino comune non poter mai dire la parola fine su nulla e nell’essere
solo uno dei tanti anelli di una catena complessa, che non è neppure una catena
– ad una dimensione - ma una rete. Anzi neppure una rete - a due dimensioni – ma
una struttura ad almeno tre dimensioni, forse quattro, e magari non bastano
neppure quelle. Siamo piccoli, siamo poco. Una formica operaia cosa
concluderebbe in più nel formicaio se avesse due ore in più?
Così
è cominciata. Ed è durata molto, molto a lungo, quasi sino a ieri. Da quando tu
te ne sei andata ho dovuto fare i conti con la vita che davo come definita, racchiusa
in uno spazio a suo modo completo. Potevo pensare a mille interessi ma tu eri
il mio divisore comune, l’unità di misura, il modello col quale confrontarmi e
scontrarmi. Tu c’eri.
Tu
ci sei ora, in ogni caso. Non fisicamente, ma altrimenti non so stare. Sino ad
oggi ogni mia azione si è uniformata a quanto sentivo venirmi da te. Non intendo né
potrei sostituirti, perché nessuno è sostituibile mai. Aggiusto spesso il tiro,
il bersaglio che intendo colpire si muove, io stesso muto e tu ti snaturi e
cambi a tua volta; mi costringi ad adattarmi a situazioni nuove, con te in
forma diversa. Ad esempio pensavo prima a quello che mi hai insegnato, con i
fatti: non bisogna arrendersi mai.
Esattamente
come un atleta impegnato nella staffetta che prima di passare il testimone
tenta di dare tutto il possibile alla sua squadra. Assomigliando a quell’anello
di una catena, rete o chi sa cosa, che, sino alla fine, è parte di un progetto
che va oltre di lui. Consapevole che dopo di me altri verranno, e continueranno
quello che ho contribuito a costruire, magari demolendo ma continuando.
Anche
alla fine, sapendo o intuendo che non si potrà vedere il risultato, probabilmente
col dolore che ci vuol bloccare, forse con la disperazione o anche con la paura,
ora non saprei dirlo, non bisogna arrendersi mai.
Ed
allora io continuo a fare le solite cose e altre ne aggiungo di nuove. Cerco di
soddisfare alcuni bisogni (non solo miei) e mi adatto alla mancanza di una tua
parola al momento giusto. Sentirla dentro non è come ascoltare il suono della
tua voce. A volte temo di perderla.
E
tu, che ogni tanto prendevo in giro pensandoti debole, ora starai sorridendo.
Silvano C.©
(La
riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte,
grazie)
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