Erano gli anni settanta, i primi anni settanta.
Lui venne al Teatro Comunale di Ferrara, quando ancora non era stato intitolato
a Claudio Abbado. Venne con uno spettacolo allegro, irriverente ed ironico. Si sentiva
che recitava in modo naturale e che gli piaceva farlo. Anche le uscite
apparentemente non programmate facevano parte dello spettacolo. Ne erano forse
l’aspetto più emozionante.
Ero convinto, allora, che mi bastasse battere
le mani in modo determinato per farmi seguire prima dagli amici, e poi dall’intero
pubblico del teatro, e a quel punto obbligare chi stava dietro al sipario ormai
chiuso a farlo riaprire, per ottenere un altro saluto, un altro inchino, e prolungare
un piacere.
Ero convinto che l’entusiasmo non si potesse
controllare, che fosse stupido tentare di farlo, e che se si rischiava di
passare per stupidi allora la perfezione era a portata di mano. Applaudire ha un
significato profondo di condivisione e di complicità. È in grado di annullare le
distanze, di rendere i mostri sacri semplici esseri umani che possono mostrarsi
per quello che sono.
Non mi riusciva molte volte di poter realizzare
questa magia, ma a volte sì, ed era il mio attimo di gloria, quasi sempre in
incognito perché difficilmente si capiva chi insisteva ad applaudire da solo,
poi magari seguito da altri, e, se capitava, da tutti.
Con Paolo però non mi riuscì la magia. Il
sipario, alla fine dello spettacolo si aprì una sola volta, e non per merito
mio. Si ripresentò la compagnia, fece un inchino, poi tutti alzarono le mani unite
verso l’alto, e la pesante stoffa rossa si richiuse. Tentai un applauso, pochi
mi seguirono, poi non so cosa avvenne, è passato tanto tempo. Lui aveva
evidentemente previsto la situazione. Uscì da solo, scostando il sipario, illuminato
da un unico faro, e recitò una lunghissima filastrocca elegante e piena di
doppi sensi, con personaggi delle favole che si adattavano alla sua mimica,
alla sua voce in falsetto, e infine ci salutò, scomparendo di nuovo. Non lo vidi
più a teatro, e pensavo che un giorno, prima o poi, forse, mi sarebbe successo ancora.
Da poco so che non succederà più.
Silvano C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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