sabato 26 marzo 2016

un ricordo di Paolo Poli




Erano gli anni settanta, i primi anni settanta. Lui venne al Teatro Comunale di Ferrara, quando ancora non era stato intitolato a Claudio Abbado. Venne con uno spettacolo allegro, irriverente ed ironico. Si sentiva che recitava in modo naturale e che gli piaceva farlo. Anche le uscite apparentemente non programmate facevano parte dello spettacolo. Ne erano forse l’aspetto più emozionante.

Ero convinto, allora, che mi bastasse battere le mani in modo determinato per farmi seguire prima dagli amici, e poi dall’intero pubblico del teatro, e a quel punto obbligare chi stava dietro al sipario ormai chiuso a farlo riaprire, per ottenere un altro saluto, un altro inchino, e prolungare un piacere.
Ero convinto che l’entusiasmo non si potesse controllare, che fosse stupido tentare di farlo, e che se si rischiava di passare per stupidi allora la perfezione era a portata di mano. Applaudire ha un significato profondo di condivisione e di complicità. È in grado di annullare le distanze, di rendere i mostri sacri semplici esseri umani che possono mostrarsi per quello che sono.

Non mi riusciva molte volte di poter realizzare questa magia, ma a volte sì, ed era il mio attimo di gloria, quasi sempre in incognito perché difficilmente si capiva chi insisteva ad applaudire da solo, poi magari seguito da altri, e, se capitava, da tutti.
Con Paolo però non mi riuscì la magia. Il sipario, alla fine dello spettacolo si aprì una sola volta, e non per merito mio. Si ripresentò la compagnia, fece un inchino, poi tutti alzarono le mani unite verso l’alto, e la pesante stoffa rossa si richiuse. Tentai un applauso, pochi mi seguirono, poi non so cosa avvenne, è passato tanto tempo. Lui aveva evidentemente previsto la situazione. Uscì da solo, scostando il sipario, illuminato da un unico faro, e recitò una lunghissima filastrocca elegante e piena di doppi sensi, con personaggi delle favole che si adattavano alla sua mimica, alla sua voce in falsetto, e infine ci salutò, scomparendo di nuovo. Non lo vidi più a teatro, e pensavo che un giorno, prima o poi, forse, mi sarebbe successo ancora. Da poco so che non succederà più.


                                                                                                        Silvano C.©   

(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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