Parte prima.
La porta è piccola, stretta, ad un solo
battente, e si apre sulla facciata in mattoni antichi di una casa a due piani posizionata in un vicoletto a due passi dal centro eppure ignorato da
quasi tutti, perché cieco. La cecità evidente tuttavia è in chi passa, non nel
vicolo, perché lui è in quel luogo, senza subire sostanziali modifiche, da
oltre otto secoli, ed ha visto passare per la strada sulla quale si affaccia
un’umanità a volte festosa altre dolente, ed ha assistito anche ad un omicidio,
durante il periodo della signoria. Un letterato, poeta, forse amante della
contessa P. venne pugnalato da due figure nere mai scoperte nella loro
identità, e, solo quattro secoli dopo, qualcuno decise di mettere una targa
marmorea a ricordare l’evento.
Il vicolo pensa che all’inizio le strade erano
in terra battuta, poi ricoperte di ciottoli di fiume, infine, solo da alcuni
decenni, trasformate in percorsi asfaltati. E ricorda molto bene anche chi fece
costruire quella piccola porta, solida, robusta, in legno rinforzato con
borchie e lastre di ferro spesso. Fu un uomo di bassa statura, con una corta
barba ed un accenno di gobba. Quando lo vide la prima volta intuì quanto dolore
quell’uomo portasse su di sé, lo capì completamente, anche se i particolari non
li poteva sapere, perché riguardavano un tempo anteriore ed un luogo lontano.
L’uomo basso e con la gobba entra in quelle tre
stanze piccole, umide e buie. Ha pagato a caro prezzo quello spazio, ma il vecchio
proprietario non gli ha fatto domande sulle sue origini e sulla sua
provenienza, e questo era per lui essenziale. I veleni e l’alchimia sono ormai
il suo passato, ne è fuggito. Ha attraversato territori pericolosi e salvato
per puro caso sia la vita sia il poco oro arrivato da una vita precedente di
lussi e privilegi, ed ora deve nascondersi, per molti anni, sino alla fine
probabilmente.
Il vicolo all’inizio vedeva raramente l’uomo
passare. Lui si faceva portare una sola volta in settimana un po’ di cibo senza
quasi uscire dalle mura che si era scelto, e pagava col ricavato delle lezioni
che impartiva ad un giovane della potente famiglia Alboresi. Lo istruiva sui
testi classici antichi, sul movimento degli astri e sul calcolo arabo, e per il
resto non esisteva, cioè per il popolo della città in crescita. Dopo tre anni di
vita quasi da volontario eremita iniziò ad uscire, la sera, per guardare con i
suoi occhi il luogo dove viveva. Solo dopo un altro anno decise di rischiare
anche col sole, quando c’erano più traffici e mercato, potendosi mimetizzare
nella confusione, indossando sempre abiti poco appariscenti, tra contadini e nobili,
mercanti e loro servitori.
Visse ancora a lungo riuscendo sempre a
rimanere ai margini della vita pubblica, e senza mai richiamare l’attenzione su
di sé. Iniziò a vedere una donna, una vedova, che sostituì il marito nel
portargli il cibo, ogni primo giorno della settimana. E alcuni anni dopo la
morte del consorte, la donna iniziò a prendersi maggiormente cura di quel
piccolo uomo tanto sapiente e tanto solitario. E lui ricambiò accogliendo,
nella sua povera casa, la figlia di lei, bella come una stella, dalla mente
ancora sgombra, e curiosa. La distanza tra il vecchio e la giovane era troppa,
misurata in tempo, ma era nulla nello sguardo e nell’intesa che iniziò sin
dalla prima volta che si videro. E lui si usò come un recipiente pieno,
iniziando a travasare nella giovane mente tutto il suo sapere, ed il suo
potere. Cosa si dicessero la madre di lei non lo capiva, anche se restava nella
stessa stanza a rassettare, o a cucinare. E, cosa ancora più incredibile, il
vecchio non toccò mai una sola volta la giovane, vincendo in breve tempo la
naturale diffidenza della donna matura che credeva di conoscere l’uomo e le sue
pulsioni. Il vecchio insegnava, ed invecchiava. La giovane imparava, e
splendeva ogni giorno di più. Quando lei capì ogni cosa e lo ebbe prosciugato
di ogni sapere, lui si lasciò morire, col sorriso sul volto.
La giovane e la madre ebbero in eredità quelle
poche stanze, e prima che lui fosse portato via dai beccamorti Costanza, la
splendente, volle baciarlo in fronte. Fu il primo ed ultimo, tardivo, contatto
fisico che ebbero. Lui certamente avrebbe gradito, forse gradì.
Parte seconda.
Quella porticina oggi è esattamente quella di
un tempo. Solo è stata restaurata da un bravo artigiano, pochi anni fa, e
adesso sulla parete di mattoni antichi c’è un campanello elettrico. Vi abita una
donna solitaria e tutti sanno che ha sempre vissuto lì, dove è nata, attorno
alla metà del secolo scorso, che quando si è sposata, dopo la morte dei suoi,
ha continuato a rimanere in quel luogo e che nulla è cambiato, quando è rimasta
vedova.
È conosciuta come Donna Costanza, e solo lei sa
che quel nome ha origine lontana, lo ha imparato dalla madre, e lei dalla sua. In
tutta la sua oscura storia di famiglia è la seconda a portare quel nome, nessun’altra
dopo la prima. È arrivata alla decisione di lasciar morire con se stessa il
potere, ormai inutile, ed anche tutto il suo sapere. Conserva quel libro
manoscritto però, ed intende farlo sino a quando non avrà più la forza di
sollevarlo dal suo nascondiglio. Poi finirà nel camino, poche ore prima di cessare
ogni cosa.
Ha saputo dalla madre che altre donne prima di
loro, tra le antenate, hanno modificato il corso naturale delle cose; quello lo
ha verificato anche nel libro, o così lo ha letto. Ha capito tuttavia che tutti
i tentativi di dare un senso diverso agli eventi erano falliti, tutti, anche
quelli che apparentemente sembravano, all’inizio, destinati al successo. Molte
persone strappate alla morte avevano ricevuto solo una sospensione del destino che li attendeva.
Chi aveva avuto in dono la vita talvolta l’aveva rubata ad altri. Ogni ricchezza
procurata si era poi dissolta, senza potervi porre rimedio. Eccolo il potere,
inutile, del quale lei non aveva mai fatto uso in tutta la sua lunga vita. Neppure
a suo vantaggio. E non per salvare Settimo, che aveva amato più di se stessa. Nemmeno
in un gesto di pietà, lasciandosi commuovere dal dolore di chi incontrava.
La sola pietà è nelle parole, nei gesti privi
di effetti, nella gratuità, mai nei doni, o nelle cose. È vicinanza non di
corpi, e non ha sostanza palpabile.
Opporsi al destino è privo di senso, è inumano,
anche se tanti pensano esattamente il contrario. Costanza nel corso dei suoi
anni, quelli che le sono toccati in sorte, non ha danneggiato nessuna persona,
non ha offeso neppure chi le aveva fatto male, e non ha mai rivelato di
possedere quel potere che le è stato tramandato da un piccolo uomo, con la
gobba, in fuga probabilmente dopo averne capito, molti secoli prima di lei, la
sua natura. Forse però l’aveva solo intuita, o si illudeva che nelle mani di
una persona meno legata alle passioni o ai giochi del possesso potesse dare
frutti diversi.
Costanza a volte è certa che quell’uomo fosse in
buona fede quando raccontò alla sua Costanza ogni segreto, perché se non lo
fosse stato non avrebbe mai educato con le sue conoscenze quella ragazza, non
le avrebbe spiegato ogni cosa, non l’avrebbe invitata a raccogliere la sua
scienza in un manoscritto. In alcuni sogni lo vede, come se fosse vivo e le spiegasse
quello che ha letto. Comprende il suo dolore ed il tentativo di salvarsi
salvando. Nell’ultimo sogno nel quale sono stati assieme lei, per la prima
volta, ha dato una lezione a lui. E si sono rappacificati, hanno capito, pur
nella distanza incredibile che li separa, che il ciclo da lui aperto tanto
tempo prima ora deve essere finalmente chiuso.
L’illusione di eternità, di sfiorare e
modificare le leggi, di creare vie nuove dal nulla, ecco, quella è finita. Non è
veramente finita, a dire il vero, perché Costanza è ancora viva, ma manca ormai
poco. Lui ha compreso ed ha approvato. Lei ha deciso e non muterà idea. Il suo
potere, quello che ha rifiutato di usare, morirà con lei. E la vita, quella di
tutti, non ne subirà alcun danno.
Il bisogno di normalità, di pace, di non
rifiutare il dolore che arriva, di continuare sino alla fine deve essere
soddisfatto senza usare alcuna scorciatoia, senza nascondersi, perché non
esiste un luogo dove nascondersi. Il potere di Costanza è quello di rifiutare
il potere stesso.
Silvano C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti offensivi o spam saranno cancellati. Grazie della comprensione.