sabato 12 marzo 2016

Il potere di Costanza




Parte prima.


La porta è piccola, stretta, ad un solo battente, e si apre sulla facciata in mattoni antichi di una casa a due piani posizionata in un vicoletto a due passi dal centro eppure ignorato da quasi tutti, perché cieco. La cecità evidente tuttavia è in chi passa, non nel vicolo, perché lui è in quel luogo, senza subire sostanziali modifiche, da oltre otto secoli, ed ha visto passare per la strada sulla quale si affaccia un’umanità a volte festosa altre dolente, ed ha assistito anche ad un omicidio, durante il periodo della signoria. Un letterato, poeta, forse amante della contessa P. venne pugnalato da due figure nere mai scoperte nella loro identità, e, solo quattro secoli dopo, qualcuno decise di mettere una targa marmorea a ricordare l’evento.

Il vicolo pensa che all’inizio le strade erano in terra battuta, poi ricoperte di ciottoli di fiume, infine, solo da alcuni decenni, trasformate in percorsi asfaltati. E ricorda molto bene anche chi fece costruire quella piccola porta, solida, robusta, in legno rinforzato con borchie e lastre di ferro spesso. Fu un uomo di bassa statura, con una corta barba ed un accenno di gobba. Quando lo vide la prima volta intuì quanto dolore quell’uomo portasse su di sé, lo capì completamente, anche se i particolari non li poteva sapere, perché riguardavano un tempo anteriore ed un luogo lontano.

L’uomo basso e con la gobba entra in quelle tre stanze piccole, umide e buie. Ha pagato a caro prezzo quello spazio, ma il vecchio proprietario non gli ha fatto domande sulle sue origini e sulla sua provenienza, e questo era per lui essenziale. I veleni e l’alchimia sono ormai il suo passato, ne è fuggito. Ha attraversato territori pericolosi e salvato per puro caso sia la vita sia il poco oro arrivato da una vita precedente di lussi e privilegi, ed ora deve nascondersi, per molti anni, sino alla fine probabilmente.

Il vicolo all’inizio vedeva raramente l’uomo passare. Lui si faceva portare una sola volta in settimana un po’ di cibo senza quasi uscire dalle mura che si era scelto, e pagava col ricavato delle lezioni che impartiva ad un giovane della potente famiglia Alboresi. Lo istruiva sui testi classici antichi, sul movimento degli astri e sul calcolo arabo, e per il resto non esisteva, cioè per il popolo della città in crescita. Dopo tre anni di vita quasi da volontario eremita iniziò ad uscire, la sera, per guardare con i suoi occhi il luogo dove viveva. Solo dopo un altro anno decise di rischiare anche col sole, quando c’erano più traffici e mercato, potendosi mimetizzare nella confusione, indossando sempre abiti poco appariscenti, tra contadini e nobili, mercanti e loro servitori.

Visse ancora a lungo riuscendo sempre a rimanere ai margini della vita pubblica, e senza mai richiamare l’attenzione su di sé. Iniziò a vedere una donna, una vedova, che sostituì il marito nel portargli il cibo, ogni primo giorno della settimana. E alcuni anni dopo la morte del consorte, la donna iniziò a prendersi maggiormente cura di quel piccolo uomo tanto sapiente e tanto solitario. E lui ricambiò accogliendo, nella sua povera casa, la figlia di lei, bella come una stella, dalla mente ancora sgombra, e curiosa. La distanza tra il vecchio e la giovane era troppa, misurata in tempo, ma era nulla nello sguardo e nell’intesa che iniziò sin dalla prima volta che si videro. E lui si usò come un recipiente pieno, iniziando a travasare nella giovane mente tutto il suo sapere, ed il suo potere. Cosa si dicessero la madre di lei non lo capiva, anche se restava nella stessa stanza a rassettare, o a cucinare. E, cosa ancora più incredibile, il vecchio non toccò mai una sola volta la giovane, vincendo in breve tempo la naturale diffidenza della donna matura che credeva di conoscere l’uomo e le sue pulsioni. Il vecchio insegnava, ed invecchiava. La giovane imparava, e splendeva ogni giorno di più. Quando lei capì ogni cosa e lo ebbe prosciugato di ogni sapere, lui si lasciò morire, col sorriso sul volto.

La giovane e la madre ebbero in eredità quelle poche stanze, e prima che lui fosse portato via dai beccamorti Costanza, la splendente, volle baciarlo in fronte. Fu il primo ed ultimo, tardivo, contatto fisico che ebbero. Lui certamente avrebbe gradito, forse gradì.


Parte seconda.

Quella porticina oggi è esattamente quella di un tempo. Solo è stata restaurata da un bravo artigiano, pochi anni fa, e adesso sulla parete di mattoni antichi c’è un campanello elettrico. Vi abita una donna solitaria e tutti sanno che ha sempre vissuto lì, dove è nata, attorno alla metà del secolo scorso, che quando si è sposata, dopo la morte dei suoi, ha continuato a rimanere in quel luogo e che nulla è cambiato, quando è rimasta vedova.
È conosciuta come Donna Costanza, e solo lei sa che quel nome ha origine lontana, lo ha imparato dalla madre, e lei dalla sua. In tutta la sua oscura storia di famiglia è la seconda a portare quel nome, nessun’altra dopo la prima. È arrivata alla decisione di lasciar morire con se stessa il potere, ormai inutile, ed anche tutto il suo sapere. Conserva quel libro manoscritto però, ed intende farlo sino a quando non avrà più la forza di sollevarlo dal suo nascondiglio. Poi finirà nel camino, poche ore prima di cessare ogni cosa.

Ha saputo dalla madre che altre donne prima di loro, tra le antenate, hanno modificato il corso naturale delle cose; quello lo ha verificato anche nel libro, o così lo ha letto. Ha capito tuttavia che tutti i tentativi di dare un senso diverso agli eventi erano falliti, tutti, anche quelli che apparentemente sembravano, all’inizio, destinati al successo. Molte persone strappate alla morte avevano ricevuto solo una sospensione del destino che li attendeva. Chi aveva avuto in dono la vita talvolta l’aveva rubata ad altri. Ogni ricchezza procurata si era poi dissolta, senza potervi porre rimedio. Eccolo il potere, inutile, del quale lei non aveva mai fatto uso in tutta la sua lunga vita. Neppure a suo vantaggio. E non per salvare Settimo, che aveva amato più di se stessa. Nemmeno in un gesto di pietà, lasciandosi commuovere dal dolore di chi incontrava.

La sola pietà è nelle parole, nei gesti privi di effetti, nella gratuità, mai nei doni, o nelle cose. È vicinanza non di corpi, e non ha sostanza palpabile.
Opporsi al destino è privo di senso, è inumano, anche se tanti pensano esattamente il contrario. Costanza nel corso dei suoi anni, quelli che le sono toccati in sorte, non ha danneggiato nessuna persona, non ha offeso neppure chi le aveva fatto male, e non ha mai rivelato di possedere quel potere che le è stato tramandato da un piccolo uomo, con la gobba, in fuga probabilmente dopo averne capito, molti secoli prima di lei, la sua natura. Forse però l’aveva solo intuita, o si illudeva che nelle mani di una persona meno legata alle passioni o ai giochi del possesso potesse dare frutti diversi.

Costanza a volte è certa che quell’uomo fosse in buona fede quando raccontò alla sua Costanza ogni segreto, perché se non lo fosse stato non avrebbe mai educato con le sue conoscenze quella ragazza, non le avrebbe spiegato ogni cosa, non l’avrebbe invitata a raccogliere la sua scienza in un manoscritto. In alcuni sogni lo vede, come se fosse vivo e le spiegasse quello che ha letto. Comprende il suo dolore ed il tentativo di salvarsi salvando. Nell’ultimo sogno nel quale sono stati assieme lei, per la prima volta, ha dato una lezione a lui. E si sono rappacificati, hanno capito, pur nella distanza incredibile che li separa, che il ciclo da lui aperto tanto tempo prima ora deve essere finalmente chiuso.

L’illusione di eternità, di sfiorare e modificare le leggi, di creare vie nuove dal nulla, ecco, quella è finita. Non è veramente finita, a dire il vero, perché Costanza è ancora viva, ma manca ormai poco. Lui ha compreso ed ha approvato. Lei ha deciso e non muterà idea. Il suo potere, quello che ha rifiutato di usare, morirà con lei. E la vita, quella di tutti, non ne subirà alcun danno.
Il bisogno di normalità, di pace, di non rifiutare il dolore che arriva, di continuare sino alla fine deve essere soddisfatto senza usare alcuna scorciatoia, senza nascondersi, perché non esiste un luogo dove nascondersi. Il potere di Costanza è quello di rifiutare il potere stesso.



                                                                                                        Silvano C.©   

(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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