Guardavo una stella, ieri sera, e mi è venuto
naturale immaginare che, se la vedevo, in qualche modo l’avevo raggiunta. Eppure
non è così, non è mai stato così. Vedere non vuol dire avere. Vedere con gli
occhi, in questo caso, è poco più che sognare. Se avessi chiuso gli occhi,
insomma, avrei potuto immaginarla quella stella, magari anche più vicina, ma
non per questo l’avrei avuta. Se poi fosse stato un suo ipotetico pianeta non
avrei potuto certo mettervi sopra i miei piedi, ma solo pensare di vedere una
strana vegetazione, monti e panorami fantastici, forse altro; insomma, avrei
potuto solo sognare di farlo.
Ed allora quando leggo e non sono un
personaggio del libro, che succede? Mi devo fidare di chi ha scritto e quindi
credere che William io lo conosca un po’ meglio? E, soprattutto, credere che
lui esista, e che, se esiste, sia esattamente come descritto? No, mi ci perdo
se inseguo questo ragionare. Tornando a ieri sera ho visto un filo invisibile, cioè il mio sguardo procedere verso quel
puntino luminoso, in linea retta, assolutamente retta. E subito la geometria
euclidea mi ha ricordato a sua volta di essere un’invenzione giovanile dell’umanità,
esattamente come i numeri naturali 1, 2, 3, 4… Neppure quelli esistono, come la
geometria primitiva, ma sono utilissimi per rappresentare il mondo in modo
comprensibile ai bambini, prima di raccontare loro che sono come cappuccetto
rosso e babbo natale.
Non ho modo alcuno, ora, di andare in linea
retta verso qualcosa. Neppure per spostarmi da una stanza all’altra, oppure, su
un prato, muovermi da un punto all’altro. È semplicemente impossibile quindi
dalla Terra raggiungere la stella come un raggio luminoso che non subisce
deviazioni per il fatto banale che la luce viene deviata e che dove io stavo
puntando lo sguardo la stella non c’era.
Ma perché allora dobbiamo credere che sia così,
che ogni cosa sia facile, o che alcune cose lo siano, almeno alcune? Certo ci
tranquillizza avere qualche rassicurazione, ed è umano cercarla, o crederci,
con un atto di fede indimostrabile. Allo stesso tempo però occorre crescere, a
costo di perdere le belle certezze consolatorie e ritrovarsi su una superficie
instabile non meno bella ma certamente più difficile da accettare.
Ed allora il libro di prima diventa non più un
mondo da credere, ma un mondo possibile. Se parlo con te devo sapere che tu non
dici la verità assoluta, ma una possibile verità, una delle tante esistenti. Esattamente
come devo rendermi conto che neppure questa è la verità, ma è solo una delle
possibili, forse neppure la più importante, anzi, decisamente non la più
importante. È impossibile semplificare, dobbiamo smettere di farlo, e
svezzarci. Forse saremo più soli, forse no.
Silvano C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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