Ippolito era morto per eccesso di gamberoni, si raccontava, concludendo una vita certo nobile ma ben poco santa, malgrado fosse cardinale, e intanto, il quel 1520, era scoppiata la peste, che aveva l’usanza di non guardare con benevolenza alcuno, se non coloro che la fuggivano.
Ben da riflettere è codesta circostanza, che chi più fugge
più si salva, e chi non può, muore. Che il coraggio sia inutil cosa? Non so
dirlo, e mi fermo.
Con la peste erano giunti a morte l’Ambrogio dei Maniscalchi
e la moglie, l’adorata Isolina, lasciando sola l’unica figlia, che
miracolosamente ne era stata scampata senza danni, ma pure senza mezzi, da
quella tragedia, oltre che provata da tanto dolore.
Prima della pestilenza ogni giovine l’aveva ammirata e
desiderata, la bella Francisca, ma lei non sembrava interessata a nessuno di
loro. Troppo attenta a non dare voci alle male lingue, è il pensiero mio, se ti
può interessare.
Durante la diffusione del morbo il terror di malattia aveva
tenuto quasi tutti distanti, in particolar specie quando si erano ammalati e
periti i suoi genitori. Solo uno, tra questi ammiratori, apparentemente il più
timoroso di quelli che l’avevano desiderata, in quella circostanza si era
avvicinato a darle aiuto.
L’aveva infatti ospitata in una sua piccola casa oltre
l’abitato, fuori dal centro urbano, dove viveva con la sua famiglia, essendo da
sempre, lui ed i suoi, contadini al servizio degli Estensi, fornitori delle
cucine del castello di San Michele di verdure, frutti, uova e pollame.
Il suo nome era Paolo, e come il santo del quale portava il
nome, pure lui aveva subito così un mutamento nella sua vita, venendo prima
accecato dalla bellezza di lei, e poi da quella salvato, salvandola a sua
volta.
Raccontano le cronache che finita la pestilenza i due
giovani si erano recati assieme dal parroco della chiesa di Santa Maria in Vado
e che lui aveva chiesto di averla in sposa, giurando di averla rispettata per
tutto il tempo che lei era stata ospite in casa dei suoi, e che ora desiderava
farla sua davanti a Dio spinto solo dall’amore, che lei ricambiava.
Uniti in matrimonio i due scelsero di abitare nella casa di
lei, in quella via che oggi, a Ferrara, chiamano dell’Assiderato.
Il nome pare derivare dal ritrovamento di un morto
assiderato per il freddo steso sui sassi di fiume che costituivano la tipica
copertura della strada, per altri invece questo deriva da una storpiatura
dialettale di sidrata, perché in quel quartiere c’erano coltivazioni di
agrumi, tra i quali cedri.
A me però piace pensare che l’Assiderato, o la sidrata,
in realtà volesser significare solo la desiderata. Poi si sa come la
lingua e i dialetti storpiano e modifican le parole. Io non so la verità, però,
io racconto solo storie.
Silvano
C.©
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