L’Aquila andava rasa al
suolo e ricostruita, salvando solo i monumenti più importanti.
Il 6 aprile 2009, oltre
quattro anni fa, la terra ha tremato a L’Aquila e in molti centri vicini. 308
persone hanno perso la vita, moltissimi sono rimasti feriti e a decine di
migliaia hanno perso la loro casa. Questa è storia recente, nessun italiano la
ignora.
Non ha senso oggi
ritornare a quei giorni, dopo le nuove tragedie che hanno toccato altri luoghi;
ci sono cose più urgenti, visto che tutti gli sfollati di allora hanno trovato
una nuova sistemazione. Forse alcuni questo lo credono.
Io però non cedo a questa logica. È da quei giorni che ci penso, ed è solo per pudore e rispetto
che sino ad ora non ho quasi mai espresso in modo esplicito, se non occasionalmente e quasi
sempre privatamente un’idea che mi cresce dentro, con rabbia.
Premesso che la cultura ed i
nostri beni artistici sono valori fondamentali, tra i pochi che ci siano
rimasti, e che quindi vanno salvaguardati, assieme al nostro paesaggio, e che i
centri medievali sono preziosi e vanno difesi, non bisogna oltrepassare il limite invalicabile del rispetto delle
persone.
Questo limite con gli aquilani è stato
superato ed oggi sembrano essere stati colpiti da una
maledizione divina e costretti a subire una nuova diaspora.
Non entro nelle polemiche e
negli scandali che hanno coinvolto persone intercettate poche ore dopo il sisma
a far calcoli sui loro affari futuri, non mi riferisco ai potenti a capo
di organizzazioni che avrebbero dovuto proteggerci, non parlo di ricostruzione
con materiali scadenti e neppure di accuse reciproche tra membri della comunità
scientifica sull’allarme che andava dato e sulla prevedibilità o meno dei terremoti.
Non mi interesso, qui, neppure dello sciacallaggio politico operato su quelle vittime,
tutto immagine e niente sostanza.
No, io qui voglio riflettere su una
scelta di fondo, e cioè quella di mantenere il patrimonio artistico e
di sacrificare la popolazione che quel patrimonio rendeva vivo, attuale, pulsante,
e non un'immagine da cartolina come ormai è ridotta Venezia, senza quasi più
abitanti e tuttavia piena di operatori turistici di ogni specie. Una Venezialand
insomma, snaturata e ormai quasi persa.
Aver costruito altrove abitazioni semipermanenti allontanando i residenti ha ucciso per sempre
L’Aquila. Non sarà più come prima. Non avremo mai i fondi per ricostruirla
salvando tutto l’originale, e quando finalmente sarà ricostruita (mai completamente) vi abiteranno altri, non
quelli che vi hanno perso la casa e che ora vivono altrove.
Cerco di spiegarmi meglio. A
Rovereto si sta ultimando il recupero del teatro Zandonai, bisognoso di
interventi urgenti legati alla sua stabilità e sicurezza. Un amico geologo mi
ha spiegato che abbatterlo e ricostruirlo sarebbe costato molto meno, forse la
metà. Ma non si è fatto, perché è un edificio protetto dalla Commissione Beni Culturali, e quindi da preservare in toto.
A Ferrara, colpita dal sisma del 20 e 29 maggio 2012, moltissimi palazzi
sono stati dichiarati inagibili, non certo come è avvenuto a L’Aquila, ma questo
ha comunque obbligato centinaia di persone a cercare una sistemazione
provvisoria, in attesa di opere di messa in sicurezza. Per molti di questi
palazzi l’abbattimento e la ricostruzione sarebbero stati meno onerosi degli
interventi programmati, e gli edifici avrebbero potuto conservare l’aspetto
originale portando inoltre al 100% la sicurezza, secondo gli aggiornati
parametri richiesti per le nuove costruzioni nella zona. Gli interventi decisi non porteranno mai a tale percentuale di sicurezza antisismica i
vecchi ma non particolarmente pregiati palazzi.
A Venezia, per tornare alla laguna, il campanile di San Marco, posto in
una delle piazze più famose del mondo, crollò il 14 luglio 1902 ma venne
ricostruito “dov’era e com’era” ed oggi non tutti ricordano quell’episodio. La
piazza non è per questo meno bella o meno visitata.
Io però non sono un geologo, né un
ingegnere o un architetto, un urbanista o un politico. Io conto nulla.
Esprimo solo opinioni personali. Resto convinto che se L’Aquila fosse stata rasa al suolo e ricostruita,
almeno per quanto riguarda molti degli edifici abitativi non di particolare
pregio, oggi gli aquilani sarebbero già tornati esattamente dove vivevano
prima, e la città sarebbe più viva. E sono trascorsi 4 anni e 7 mesi.
Silvano C.©( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte. Grazie)
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