domenica 6 novembre 2016

Andar per sacrestie

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Se me lo dicevano, anni fa, solo pochi anni fa, non ci avrei creduto.
Eppure ho scoperto che curiosare, chiedere se un interno si può visitare, arrivare da sconosciuti o quasi e solo dopo presentarsi e motivare un po’ la propria curiosità rivela situazioni impreviste ed imprevedibili e fa conoscere in modo diverso altre persone.

A volte ottengo un rifiuto, anzi, questa circostanza occorre sempre metterla al primo posto delle eventualità possibili.
Altre volte invece incontro un’impiegata un po’ stupita della richiesta, perché ritiene di lavorare semplicemente in un posto pubblico e niente di più, e se spiego che in quell’edificio dovrebbe starci una certa stanza particolare prima non capisce, e poi, coinvolgendo tutte le colleghe, lei arriva alla conclusione che quella stanza in effetti dovrebbe esistere, ed essere esattamente quella del direttore, che in quel momento è assente.
Quella stanza però è un ufficio e non è accessibile al pubblico. E tuttavia, nel giro di un minuto, l’impiegata mi fa cenno di seguirla, ha una chiave in mano, mi precede per una scala e poi lungo un corridoio, arriva ad una porta e la apre. Mi invita ad entrare, e mi fa vedere quello che cercavo, che sapevo che avrebbe dovuto esserci, che non avrebbe dovuto essere visibile perché non fa parte di un ambiente aperto al pubblico, e non è neppure un museo.

Quella piccola stanza fa parte della storia, e non è lontana dai soliti luoghi che frequento, e l’ho vista. E sino a pochi giorni prima, prima di leggere un libro, anche io non ne sapevo nulla.

Mi capita poi di passare per una chiesa, e di intravedere una sacrestia. Ci sono un paio di signore che fanno pulizie, chiedo se posso entrare e fare qualche foto, ma non me lo consentono, giustamente. Devo chiedere al parroco. Quel parroco? Quello sempre immusonito?

Passa un mese, e ripasso nella chiesa. Non è ora di messa, solitamente non frequento le funzioni religiose, ma vedo il parroco. Ha l’aria stanca e che sembra dire: stammi alla larga!
Io però sono lì, al massimo mi può dire di no, non mi costa nulla.
Mi avvicino. Chiedo. Non capisce perché è un po’ sordo. Mi spiego meglio e a voce più alta. Capisce tutt’altro. Ripeto la terza volta: sacrestia.
Allora si alza, mi fa cenno di seguirlo, e mi fa entrare. Mi lascia fotografare e non mi chiede nulla. Sposta il suo cappello che stava sul tavolo. Si nasconde dietro la porta quando fotografo la parete con la porta da dove sono entrato.

Anche nelle sacrestie si può entrare, ora lo so. A volte basta solo chiedere.

                                                                                                                            Silvano C.©   

(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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