Eppure
ho scoperto che curiosare, chiedere se un interno si può visitare, arrivare da
sconosciuti o quasi e solo dopo presentarsi e motivare un po’ la propria
curiosità rivela situazioni impreviste ed imprevedibili e fa conoscere in modo diverso altre persone.
A
volte ottengo un rifiuto, anzi, questa circostanza occorre sempre metterla al
primo posto delle eventualità possibili.
Altre
volte invece incontro un’impiegata un po’ stupita della richiesta, perché ritiene
di lavorare semplicemente in un posto pubblico e niente di più, e se spiego che
in quell’edificio dovrebbe starci una certa stanza particolare prima non capisce,
e poi, coinvolgendo tutte le colleghe, lei arriva alla conclusione che quella
stanza in effetti dovrebbe esistere, ed essere esattamente quella del direttore,
che in quel momento è assente.
Quella
stanza però è un ufficio e non è accessibile al pubblico. E tuttavia, nel giro
di un minuto, l’impiegata mi fa cenno di seguirla, ha una chiave in mano, mi
precede per una scala e poi lungo un corridoio, arriva ad una porta e la apre. Mi
invita ad entrare, e mi fa vedere quello che cercavo, che sapevo che avrebbe
dovuto esserci, che non avrebbe dovuto essere visibile perché non fa parte di
un ambiente aperto al pubblico, e non è neppure un museo.
Quella
piccola stanza fa parte della storia, e non è lontana dai soliti luoghi che
frequento, e l’ho vista. E sino a pochi giorni prima, prima di leggere un
libro, anche io non ne sapevo nulla.
Mi
capita poi di passare per una chiesa, e di intravedere una sacrestia. Ci sono un
paio di signore che fanno pulizie, chiedo se posso entrare e fare qualche foto,
ma non me lo consentono, giustamente. Devo chiedere al parroco. Quel parroco? Quello
sempre immusonito?
Passa
un mese, e ripasso nella chiesa. Non è ora di messa, solitamente non frequento
le funzioni religiose, ma vedo il parroco. Ha l’aria stanca e che sembra dire:
stammi alla larga!
Io
però sono lì, al massimo mi può dire di no, non mi costa nulla.
Mi
avvicino. Chiedo. Non capisce perché è un po’ sordo. Mi spiego meglio e a voce
più alta. Capisce tutt’altro. Ripeto la terza volta: sacrestia.
Allora
si alza, mi fa cenno di seguirlo, e mi fa entrare. Mi lascia fotografare e non
mi chiede nulla. Sposta il suo cappello che stava sul tavolo. Si nasconde
dietro la porta quando fotografo la parete con la porta da dove sono entrato.
Anche
nelle sacrestie si può entrare, ora lo so. A volte basta solo chiedere.
Silvano
C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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